Le dita di lui le aprirono il colletto della camicetta, esponendo la gola. Jackson ricoprì anch’essa con altro fondotinta, scendendo fin quasi all’incavo tra i seni. Infine le riabbottonò la camicetta e guidò LuAnn a sistemarsi nuovamente sul sedile opposto.
— Non vuole darsi un’occhiata allo specchio? Ne può trovare uno nel compartimento al suo fianco.
LuAnn prese lentamente il piccolo specchio e lo resse di fronte al proprio viso. Respirò a fondo, quindi guardò… E adesso veramente avrebbe voluto urlare. C’era una sconosciuta nello specchio. Una donna dai corti capelli rossi, dalla carnagione tanto bianca da apparire cadaverica, dalle troppe lentiggini. Una donna con occhi piccoli e ravvicinati, con un naso largo deviato a destra, con il mento sfuggente e con labbra eccessive, vagamente negroidi. Una donna che LuAnn non aveva mai visto, che non aveva mai neppure ipotizzato potesse esistere.
— Che lavoro formidabile, non è d’accordo anche lei? — Jackson le gettò qualcosa in grembo.
Un passaporto. LuAnn lo aprì e studiò la foto. Era la faccia della sconosciuta nello specchio.
Quando alzò lo sguardo, Jackson fece scattare un interruttore e una luce lo illuminò.
LuAnn ebbe uno shock. C’era una seconda sconosciuta, identica alla prima, a fissarla dal lato opposto dell’abitacolo. Stessi capelli rossi, stessi lineamenti, stessa carnagione livida. Era come se avesse appena scoperto una gemella! L’unica differenza era che LuAnn indossava jeans e la gemella aveva un vestito.
— Gli applausi sono superflui — disse lentamente l’uomo, la donna , che si faceva chiamare Jackson. — Tuttavia, considerando le condizioni di lavoro disagevoli, ritengo che il mio lavoro su di lei meriti un certo riconoscimento.
LuAnn poté solo continuare a fissarlo a bocca semiaperta.
— Ho già impersonato delle donne, ma questa è la prima volta che impersono qualcuno che a sua volta impersona qualcun altro. La foto sul suo secondo passaporto falso è mia, scattata questa mattina. Solamente la misura del petto è un po’ diversa. In ogni caso, neppure i gemelli sono perfettamente identici. O no?
LuAnn chiuse gli occhi e li riaprì, tentando di accettare l’inaccettabile.
Jackson batté due brevi colpi sul cristallo divisorio tra il vano passeggeri e il sedile di guida e la limousine si rimise in movimento. Uscirono dal garage e in poco più di mezz’ora erano all’aeroporto John Fitzgerald Kennedy.
L’autista smontò per primo e si preparò ad aprire la portiera.
— Non indossi né cappello né occhiali scuri — intimò Jackson prima di scendere. — Potrebbero rovinare il trucco. Regola numero uno: quando si tenta di nascondersi, la migliore cosa da fare è esporsi al massimo. La vista di due gemelle in età adulta è una cosa piuttosto rara. La gente ci guarderà, anche la polizia ci guarderà. Ma nessuno sospetterà. Cercano una donna sola. Non due gemelle con una bambina in fasce. Verremo automaticamente escluse dalla lista dei sospetti. Atto del tutto coerente con la natura umana. Specialmente quando ci si trova sotto pressione.
Jackson allungò un braccio per prendere Lisa, ma LuAnn di scatto gli intercettò il polso.
— LuAnn, io sto solo facendo del mio meglio per mandare lei e la sua bambina molto lontano da questo paese. Tra breve, ci troveremo a superare cordoni di polizia e di agenti dell’Fbi. E tutti con un unico, preciso ordine: arrestare LuAnn Tyler. Mi creda, io non ho alcun interesse a tenere sua figlia, ma in questo momento ne ho bisogno per una ragione ben precisa.
LuAnn lo lasciò fare. Jackson prese Lisa tra le braccia e scesero dalla limousine. Con i tacchi, Jackson era un poco più alto di lei. LuAnn ne notò la figura alta e slanciata, addirittura sensuale nell’elegante vestito scuro da donna. Un lungo soprabito nero completava il suo abbigliamento.
— Muoviamoci — le disse voltandosi appena.
Lei ebbe un sussulto.
Jackson aveva parlato con la voce di LuAnn.
— Dov’è Charlie? — chiese LuAnn qualche minuto dopo, mentre entravano nel terminal.
— Che differenza fa? — Jackson si muoveva con disinvoltura sui tacchi alti, precedendo un corpulento facchino che spingeva il carrello con i bagagli.
— Così, mi chiedevo — rispose LuAnn scrollando le spalle. — È stato con me fino adesso. Pensavo di vederlo qui.
— Il compito di Charlie è concluso.
— Oh.
— Non se ne abbia a male, in questo momento lei si trova in mani molto migliori.
Lo sguardo di Jackson si focalizzò sui quattro agenti di polizia in divisa che scrutavano tutti i passeggeri in ingresso.
— Ora si comporti in modo naturale, LuAnn. Naturale e rilassato. Siamo sorelle gemelle. Semplice, no? Ho anche tutti i documenti necessari per confermarlo, in caso venissimo fermate. Cosa che comunque non accadrà. Lasci parlare me.
Superarono il cordone dei poliziotti, seguite dai loro sguardi intensi. Uno di loro sbirciò le lunghe gambe di Jackson tra le falde del soprabito. Lui parve decisamente compiaciuto per l’attenzione ricevuta. Un attimo dopo, come Jackson aveva previsto, i quattro poliziotti si disinteressarono di loro, tornando a scandagliare la folla con i loro sguardi.
— Penso io al biglietto — disse Jackson puntando alle postazioni del check-in. — Lei vada ad aspettarmi al bar.
— Perché non posso fare da me?
— Quante volte ha già proceduto al check-in di un volo internazionale?
— Be’, volare non ho mai volato.
— Appunto. Io posso espletare l’operazione molto più velocemente di lei. Intanto vada al bar. Si faccia un cappuccino e cerchi di non attirare l’attenzione con qualche iniziativa inopportuna. Il personale delle compagnie aeree non sarà composto da campioni di efficienza, ma non sono neppure degli idioti. Sarebbe sorpresa da quanti dettagli possono notare.
— D’accordo. Non voglio mica mandare a monte tutto.
— Benissimo. Ora mi dia il passaporto, quello che le ho appena dato io.
LuAnn glielo porse e osservò Jackson che cambiava di mano il seggiolino portatile di Lisa e si dirigeva al check-in, con il facchino sempre dietro. Aveva addirittura assunto la mimica di LuAnn. Restò a guardarlo ancora un attimo, poi andò al bar.
Nel giro di pochi minuti Jackson l’aveva già raggiunta, con la carta d’imbarco. La fila della prima classe era sempre corta, e l’intera operazione era stata molto veloce.
— Per ora nessun problema, LuAnn. Ora, per i primi mesi non si dia troppo da fare a cambiare aspetto. La tintura con il tempo svanirà e i capelli le ricresceranno in fretta. A quel punto potrà cominciare a usare il passaporto che originariamente avevo preparato per lei.
— Ecco — riprese LuAnn. — Per tornare…
Ma Jackson la interruppe con un gesto secco. Con la coda dell’occhio aveva notato un terzetto, due uomini e una donna, in abiti civili. Nessuno aveva bagaglio. Tutti e tre si guardavano intorno con aria vigile. LuAnn vide che uno di loro aveva in mano un foglio. Con sopra una fotografia. Con la sua faccia, quella vera. Era una delle foto scattate alla conferenza stampa. Si sentì gelare, finché non avvertì la mano di Jackson scivolare fra le sue.
— Sono agenti dell’Fbi, ma si ricordi che stanno cercando un’altra donna. Non la donna che lei è ora, la donna in cui io l’ho trasformata.
La mano si ritrasse.
— Il suo volo decolla tra venti minuti. Mi segua.
Superarono i controlli, raggiunsero il cancello d’imbarco e si accomodarono nella sala d’attesa.
— Tenga.
Jackson le porse un pacchetto avvolto in carta anonima.
— Contante, carte di credito e patente internazionale di guida, tutto con il suo nuovo nome. La patente riporta le sue attuali sembianze.
Le dita di lui giocherellarono per un attimo con i capelli di LuAnn e scivolarono sui lineamenti finti di lei mentre l’imitazione di un sorriso appariva sul suo volto. — Be’, buona fortuna — le augurò. — Qualora si trovasse in difficoltà, qui c’è un numero di telefono al quale potrà trovarmi, giorno e notte, in qualsiasi punto del mondo mi trovi. Ma a meno che non sia una seria difficoltà, lei e io non c’incontreremo e non ci parleremo mai più.
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