Tutti quanti ammiravano LuAnn, così bella, così forte e così in gamba. Davvero? Shirley si sentì strangolare dalla bile. Adesso si sarebbe occupata lei della signorina LuAnn Tyler. E dopo si sarebbe fatta matte risate stando a sentire in che termini tutti quanti avrebbero ammirato la nuova signorina LuAnn Tyler.
La sagoma della roulotte apparve tra la vegetazione. Shirley si chinò in avanti, procedendo con estrema cautela di albero in albero. La grossa decappottabile era ancora parcheggiata accanto alla roulotte. Shirley notò tracce di pneumatici che indicavano una qualche violenta manovra sul terreno fangoso. Superò la macchina, dando una rapida occhiata da uno dei finestrini. Era vuota. Ma di chi poteva mai essere quella macchina con tutte quelle cromature? C’era forse qualcun altro nella roulotte?
Un sorriso sghembo apparve sulla sua faccia dai lineamenti grossolani. Magari LuAnn si stava facendo sbattere alla faccia di Duane. Giustizia poetica. Però stava arrivando il suo turno, di scappare urlando tra i boschi nuda come un verme.
All’improvviso, nella radura si verificò una sorta di invisibile mutamento, come se fosse calata un’insopportabile quiete. Il sorriso di Shirley Watson si congelò. Diede un’occhiata nervosa intorno a sé. Perfino la brezza era svanita, come risucchiata nel nulla. Shirley si avvicinò alla zanzariera. Estrasse un grosso coltello da caccia e strinse con più forza la latta. Era piena di acido da batteria, e se l’acido non fosse bastato a sfigurare l’amazzone idrofoba, avrebbe completato il lavoro con il coltello. Shirley aveva scuoiato cacciagione e pesce di fiume fin da quando era bambina. Adesso avrebbe visto che effetto faceva scuoiare la faccia di LuAnn, quanto meno nelle parti risparmiate dall’acido.
Il tanfo la colpì come un pugno in piena faccia. Un tanfo di uova marce, di decomposizione. Si guardò intorno. Non aveva sentito un odore simile nemmeno durante il suo breve periodo di lavoro alla discarica pubblica di Rikersville. Shirley si compresse un fazzoletto su naso e bocca e trafficò per svitare il tappo della latta, tanfo o non tanfo.
Scivolò dentro la roulotte. Subito si affrettò a sbirciare nell’ala notte. Vuota. Forse LuAnn e il tipo che se la sbatteva si erano addormentati sul divano. Shirley si voltò e tornò sui propri passi avanzando nel corridoio, angusto e pieno di ombre. Sciami di mosche ronzavano dappertutto come nere molecole impazzite. Sentendosi soffocare, Shirley raggiunse la soglia del soggiorno e si preparò a lanciare la secchiata di acido. Scattò in avanti ma inciampò in qualcosa e franò a terra, con l’acido della batteria che schizzava da tutte le parti, finendo con la faccia nel putridume in decomposizione che era la fonte di quel tanfo atroce.
L’urlo isterico di Shirley Watson venne udito fin sulla strada statale.
— Non hai comprato granché — disse Charlie dando un’occhiata alle poche borse sul pavimento dell’anticamera della suite.
LuAnn emerse dal bagno dove si era cambiata con jeans e felpa bianca. I lunghi capelli erano trattenuti in una coda di cavallo.
— Mi bastava guardare le vetrine. E poi, santo cielo, qui ci sono dei prezzi da far paura.
— LuAnn, ci avrei pensato io — protestò Charlie. — Ormai ho perso il conto di quante volte te l’ho detto.
— Ma io non voglio che tu spendi i tuoi soldi per me.
— Non sono soldi miei — disse Charlie accomodandosi su una sedia. — Ho un fondo spese. Qualsiasi cosa tu voglia, puoi averla.
— È questo che il signor Jackson ti ha detto?
— Qualcosa del genere. — Charlie ebbe come un sogghigno. — Chiamiamolo un acconto sulla tua futura vincita.
LuAnn sedette sul letto, con le dita delle mani strettamente intrecciate, la fronte aggrottata. Lisa era nel suo nuovo passeggino, intenta a giocare con alcuni pupazzetti che Charlie le aveva comprato. I suoi gridolini di felicità echeggiavano per la stanza.
— Tieni. — Charlie diede a LuAnn un fascio di foto scattate nel corso della giornata per le strade di New York. — Per il tuo album dei ricordi.
— Davvero non me l’aspettavo di vedere cavalli e carrozze, qui a New York. — LuAnn passò in rassegna le immagini con occhi scintillanti. — Mi sono divertita un sacco ad andare in giro per quel vecchio parco, e perdipiù piazzato proprio nel mezzo di quei palazzoni così alti.
— Andiamo, LuAnn, non dirmi che non hai mai sentito parlare di Central Park.
— Certo che l’ho sentito, ma credevo che fosse tutto inventato — disse LuAnn porgendogli due foto-tessera che la ritraevano.
— Oh, grazie per avermelo ricordato — fece Charlie nel prenderle.
— Sono per il passaporto, no?
— Esatto.
— A Lisa il passaporto non serve?
— È troppo piccola — disse Charlie. — Lei può viaggiare iscritta nel tuo.
— Ah.
— E tu vuoi un nuovo nome, se ho capito bene.
— Non è una buona idea? — chiese LuAnn mentre metteva da parte le altre fotografie e cominciava a darsi da fare con le borse degli acquisti. — Cioè, ricominciare tutto daccapo.
— Così mi ha detto anche Jackson. E se è questo che vuoi…
D’improvviso, LuAnn lasciò cadere le borse e affondò il viso tra le mani.
— Suvvia, LuAnn, cambiare nome non è poi così traumatico — disse lui guardandola teneramente. — Che cosa ti preoccupa?
Lei alzò lo sguardo. — Ma tu sei proprio sicuro che io domani vinco la lotteria?
— LuAnn, aspettiamo fino a domani, d’accordo? — Il suo tono era rassicurante. — Io non credo proprio che tu resterai delusa.
— Tutti quei soldi… Eppure non mi sento a posto, Charlie. Nemmeno un po’.
Lui si accese una sigaretta, ed esalò il fumo della prima boccata senza smettere di guardarla. — Adesso chiamo il servizio in camera. Tre belle portate, una bottiglia di buon vino, magari un caffè italiano, il dolce, e dopo ti sentirai meglio. — Aprì il libretto dei servizi dell’albergo e cominciò a scorrere il menù.
— Senti… Tu questo lo hai già fatto?
— Ordinare il servizio in camera?
— No, stare dietro alle persone che… cioè, quelle a cui il signor Jackson fa il suo contratto.
— Lavoro con lui da un po’ — disse Charlie alzando lo sguardo dal menù. — Ma di persona non l’ho mai visto. Comunichiamo solamente per telefono. È un tipo sveglio. Forse un po’ troppo paranoico per i miei gusti, ma veramente intelligente, LuAnn. In ogni caso, lui paga molto bene. E fare la balia a gente in un hotel a quattro stelle, ordinando per loro il servizio in camera, non è poi un brutto modo di guadagnarsi da vivere. Nel tuo caso però è diverso.
— Diverso come?
Charlie si aprì in un ampio sorriso. — Non mi sono mai divertito così tanto nel fare la balia a qualcuno.
LuAnn si chinò accanto al passeggino di Lisa e prelevò una scatola in confezione regalo sistemata sul piano portaoggetti. Gliela porse.
Charlie spalancò la bocca. — Cos’è?
— Per te. Da parte mia e di Lisa. Stavo cercando un regalo per te, poi lei si è messa a indicare qualcosa e a ridere.
— Quando lo hai comprato?
— Ti ricordi quando stavi dando un’occhiata ai vestiti da uomo…
— LuAnn, non dovevi…
— Lo so che non dovevo — rispose lei in fretta. — Per questo si chiama regalo, no? Lo compri perché vuoi, non perché sei obbligato.
Senza staccare lo sguardo da lei, Charlie tormentò l’involucro con le dita, chiaramente commosso.
— Forza, aprilo, che diamine.
Lisa si svegliò in quel momento. LuAnn la prese in braccio ed entrambe rimasero a osservare Charlie che cominciava a lacerare la carta variopinta.
— Ma tu guarda!…
Era un fedora color verde scuro, con una fascia di pelle alta almeno tre centimetri, e la bordatura interna di seta gialla.
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