— La prego, signor Jackson, mi faccia avere un altro nome. Ma se per lei è troppo difficile, lo capisco. — LuAnn trattenne il fiato, sperando che Jackson raccogliesse la sfida.
— Non lo è — rispose Jackson in tono secco. — In realtà, è molto semplice… Se si hanno gli agganci giusti. Agganci che io ho. Bene, LuAnn, suppongo che lei non abbia già pensato a un nome nuovo, giusto?
LuAnn lo sorprese buttandogliene lì immediatamente uno, con tanto di città di provenienza.
— Peculiare. Sembra che lei stia pensando da molto tempo a un nome nuovo, o sbaglio? Anche senza quei cinquanta milioni di dollari.
— Lei ha i suoi segreti, signor Jackson, io ho i miei.
— Va bene — disse lui sospirando. — Sebbene la sua richiesta sia senza precedenti, provvederò a soddisfarla. Tuttavia, lei deve ancora dirmi dove vuole andare.
— Certo, signor Jackson. Ci penso su e poi glielo faccio sapere.
— Mi dica ancora una cosa, LuAnn: per quale ragione ho l’improvvisa sensazione di aver commesso un errore a selezionare proprio lei per quest’avventura? — Nella sua voce pareva esserci una vaga allusione che a LuAnn provocò un tremendo brivido. — Mi metterò nuovamente in contatto dopo l’estrazione. Per adesso, è tutto. Si diverta nella sua visita a New York City. Qualsiasi cosa le serva, non ha che da dirlo a…
— Charlie.
— Esatto, Charlie. — Jackson riappese di colpo.
Le ci voleva un birra. Forse anche due. LuAnn cominciò con l’aprire la prima, lasciando Lisa libera sulla soffice moquette che copriva il pavimento. Proprio in quegli ultimi giorni la sua bambina aveva cominciato a muoversi con disinvoltura a quattro zampe, e adesso era eccitata all’idea di esplorare tutto l’esplorabile in quel grande ambiente. LuAnn scese sulla moquette con lei e la accompagnò nella sua perlustrazione, fino a quando la piccola non si stancò e venne il momento di metterla a dormire.
LuAnn passò allora nella stanza da bagno, aprì i rubinetti dell’ampia vasca e si guardò nello specchio per controllare il taglio sul mento. Stava rimarginandosi in fretta, ma di sicuro sarebbe rimasta una cicatrice. L’idea non la turbò. Avrebbe potuto essere molto peggio.
Aprì la seconda birra e rientrò nel bagno. Scivolò nell’abbraccio dell’acqua calda, sorseggiando il sapore asprigno del luppolo. Una sola cosa sapeva. Le ci sarebbero volute parecchie altre birre, e una quantità ancora più consistente di acqua calda, per superare i giorni a venire.
L’ineffabile Charlie si ripresentò puntualmente a mezzogiorno.
Con sé aveva alcuni borsoni di Bloomingdale’s, il più celebre grande magazzino di New York, più altre borse di Baby Gap. LuAnn provò parecchi vestiti, godendoseli come mai avrebbe pensato.
— Perfetta — la ammirò Charlie. — Assolutamente perfetta.
— Grazie. E grazie anche per tutta questa roba. Hai proprio azzeccato le misure in pieno.
— Che diavolo, LuAnn, hai l’altezza e il fisico di una modella. È proprio per gente come te che fanno vestiti come questi. Piuttosto, ci hai mai pensato?
— A cosa?
— A fare la modella.
— Forse qualche volta, quando ero una ragazzina — rispose LuAnn con una scrollatina di spalle. Poi indossò una giacca beige su una gonna nera a pieghe.
— Una ragazzina? Perché, adesso che cosa saresti, una signora di mezza età?
— Ho vent’anni. Ma dopo la bambina, me ne sento addosso molti di più.
— Lo posso immaginare.
— E poi non vado bene per fare la modella.
— Perché no?
— Perché non mi piace quando mi fanno le foto — rispose LuAnn scoccandogli un’occhiata. — E non mi piace guardare come vengo.
— Sei proprio un tipino fatto tutto a modo tuo — commentò Charlie scuotendo la testa. — La maggior parte delle ragazze della tua età, belle come te, bisogna fare a cazzotti per portarle via dallo specchio. Sono la personificazione del narcisismo… Ehi, ehi, aspetta un po’. Devi portare gli occhiali da sole, e anche il cappello. Jackson ha detto di tenerti imbacuccata. Probabilmente non dovremmo nemmeno andare in giro, ma in una città di dieci milioni di abitanti… — Le mostrò un pacchetto di sigarette. — Ti spiace se fumo?
— Ma scherzi? — fece lei sorridendo. — Io lavoro in una tavola calda per camionisti. Quelli nemmeno ti lasciano entrare se non sopporti il fumo. Certe notti sembra che ci sia un incendio.
— In ogni caso, l’epoca delle tavole calde per camionisti è finita per te.
— Già. — LuAnn si calcò sui capelli il cappello a tesa larga. — Allora, come ti sembra, Charlie?
— Molto meglio di qualsiasi copertina di Cosmopolitan. Poco ma sicuro.
— E ancora non hai visto niente: aspetta di vedere la mia bambina — aggiunse LuAnn con orgoglio. — Lei sì che ti fa sognare. Eccome!
Un’ora dopo, con Lisa agghindata all’ultima moda di Baby Gap, LuAnn sollevò il seggiolino portatile e fu finalmente pronta per New York. — Noi ci siamo!
— Ancora un momento — disse Charlie aprendo la porta della suite e rivolgendole un’occhiata penetrante. — Bene, adesso chiudi gli occhi. Tanto vale che ce la giochiamo fino in fondo.
LuAnn lo guardò con aria sospettosa.
— Forza, chiudili! — insistette lui con un sogghigno.
LuAnn lo accontentò.
Pochi secondi dopo, Charlie disse: — Adesso, aprili.
Nel corridoio del Waldorf c’era un passeggino nuovo di zecca e molto costoso.
— Oh, Charlie… — esclamò LuAnn incredula.
— Adesso non avrai più bisogno di trascinarti in giro quell’aggeggio lì — disse Charlie indicando il seggiolino portatile.
LuAnn lo cinse in un fugace abbraccio, sistemò Lisa nel passeggino e tutti e tre uscirono ad affrontare la Grande Mela.
Shirley Watson era fuori di sé. Ci aveva pensato per un bel pezzo prima di escogitare l’appropriata vendetta per l’umiliazione patita da LuAnn. Al termine di lunghe e tormentate meditazioni in cui aveva fatto ricorso a tutta la sua prodigiosa furbizia sudista, l’aveva finalmente trovata.
Shirley fermò il suo scassato furgoncino in uno slargo della strada sterrata, a circa mezzo chilometro dalla radura. Circospetta, smontò tra le felci. Con la mano destra reggeva una piccola latta. Controllò l’ora. Perfetto. Dopo un’ennesima notte passata a servire salsicce e birra alle orde dei cafoni locali, LuAnn stava di sicuro dormendo come un sasso. Che ci fosse o no anche Duane, non gliene fregava niente. Così imparava a non averla difesa contro quella specie di amazzone idrofoba della sua ganza.
A ogni passo, Shirley sentiva il furore che continuava a montarle dentro. La sua vita e quella di LuAnn erano state sinistramente simili. Nessuna delle due aveva finito le scuole medie. Nessuna delle due si era mai allontanata da Rikersville. L’unica differenza tra loro era che LuAnn Tyler aveva sempre voluto andarsene, mentre Shirley Watson aveva sempre voluto restare.
Il che rendeva l’oltraggio perpetrato su di lei ancora più imperdonabile. La gente di Rikersville l’aveva vista tentare di sgattaiolare in casa nuda come un verme e livida per il freddo. Offesa, derisione e umiliazione allo stato puro. LuAnn le aveva scaricato addosso una colossale valanga di letame e Shirley sarebbe stata costretta a portarsi addosso quel tanfo per il resto dei suoi giorni. La storiella di quel fottuto mattino sarebbe diventata un vero e proprio tormentone. Tutti quanti le avrebbero riso dietro, e in faccia, fino al momento in cui lei fosse stata morta e sepolta. E forse avrebbero continuato a farlo anche dopo.
LuAnn Tyler era la causa di questo. E l’avrebbe pagata cara, molto cara. D’accordo, lei si era scopata Duane. E allora? Tutti quanti sapevano che Duane non aveva la minima intenzione di sposare LuAnn. E tutti quanti sapevano pure che piuttosto di avviarsi all’altare con quel povero coglione, LuAnn avrebbe preferito impiccarsi con il filo spinato. L’unica ragione per la quale LuAnn continuava a rimanere con lui era perché non aveva nessun altro posto dove andare. O perché non aveva il coraggio di andare in nessun altro posto. Di questo Shirley era certa. O in ogni caso pensava di esserlo.
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