— Grazie, starò attenta.
La donna sbirciò alle spalle di LuAnn: — Non ha bagaglio?
— Oh, preferisco viaggiare leggera. E poi ho dei parenti a New York. — LuAnn si girò e cominciò a muoversi verso l’area partenze. — Grazie ancora.
La donna dietro lo sportello la guardò allontanarsi, ed ebbe un sussulto nell’udire una voce secca: — New York.
L’uomo era apparso dal nulla, come se fosse spuntato dal pavimento. Un tipo alto e ben piantato, con un giubbotto di pelle scura.
— Solo andata — aggiunse gentilmente.
Anthony Romanello lanciò un’occhiata verso LuAnn. Al 7-Eleven, attraverso i cristalli della vetrina, l’aveva vista acquistare il biglietto della lotteria. Aveva continuato a tenerla d’occhio mentre lei chiamava da un telefono pubblico, ma senza andarle troppo vicino per ascoltare la conversazione. Poi in autobus da Rikersville ad Atlanta, e ora in treno da Atlanta a New York. LuAnn Tyler era in pieno movimento. Forse stava semplicemente scappando il più lontano possibile dai due cadaveri della roulotte. O forse aveva un motivo molto più importante. In un caso o nell’altro, Anthony Romanello avrebbe scoperto come stavano le cose, era solo questione di tempo. Inoltre, New York era la sua città, il suo principale campo operativo. Ritirò il biglietto e si diresse a sua volta verso i binari.
Quando il Crescent entrò in stazione in leggero ritardo, LuAnn si tenne a distanza di sicurezza. Un addetto l’accompagnò al vagone letto.
Lo scompartimento DeLuxe ViewLiner era dotato di cuccetta inferiore, cuccetta superiore, poltrona imbottita e toilette con doccia. Era già tardi, così l’addetto procedette a sistemare lo scompartimento per la notte abbassando i piani delle cuccette. LuAnn preparò un biberon per Lisa e la cullò in poltrona mentre il Crescent scivolava fuori dalla stazione di Atlanta.
Il paesaggio verde della Georgia, immerso nel crepuscolo, fluiva oltre gli ampi finestrini panoramici. LuAnn si dedicò a sua figlia giocando e cantando qualche canzoncina per un’oretta, finché Lisa si addormentò nel suo seggiolino.
Adesso LuAnn poteva finalmente rilassarsi. Era la prima volta in vita sua che saliva su un treno, e il lieve dondolio e i leggeri e costanti scatti ritmici del convoglio sui giunti delle rotaie ebbero su di lei un effetto quasi ipnotico. Non riusciva a ricordare con precisione quando aveva dormito l’ultima volta, e si abbandonò.
Si risvegliò che fuori era buio pesto. Doveva essere circa mezzanotte, o anche più tardi. Si affacciò nel corridoio del vagone e chiese a un inserviente se fosse possibile mangiare qualcosa.
Un poco sorpreso, l’uomo consultò l’orologio da polso. — Mi dispiace proprio, signora. L’ultimo turno della cena è stato tre ore fa. La carrozza ristorante adesso è chiusa.
— Capisco… — mormorò LuAnn. Non era la prima volta che restava digiuna. E quanto meno, Lisa aveva mangiato.
L’inserviente notò fugacemente il seggiolino con Lisa addormentata, nonché l’aspetto visibilmente provato della madre. Allora sorrise con fare comprensivo e disse: — D’accordo, mi dia un quarto d’ora.
Ritornò venti minuti più tardi con una cena completa. Addirittura gliela servì usando la cuccetta inferiore come tavolo improvvisato. LuAnn lo ringraziò con una mancia generosa e attese che se ne fosse andato prima di divorare l’intero pasto.
Più tardi si soffermò a osservare il biglietto della lotteria, spostando di tanto in tanto lo sguardo sulla piccola forma addormentata di sua figlia. C’era un lieve sorriso sul volto della piccola, le sue manine si muovevano seguendo l’oscillazione del treno. La sua bambina stava facendo un bel sogno. LuAnn sorrise tra sé e si protese a sussurrarle dolcemente all’orecchio: — Adesso la tua mamma potrà prendersi cura di te, tesoro mio. Nel modo in cui ha sempre voluto fare. Lo sai che cosa ha detto quell’uomo? Che possiamo andare dove vogliamo. Che possiamo fare quel che vogliamo. — Con il dorso della mano le accarezzò la soffice guancia. — Dov’è che vuoi andare, bambolina? Lo dici alla mamma? Tu dillo alla mamma e noi ci andiamo. Non è bello, piccolina? Eh, ti piace?
LuAnn tirò il chiavistello della porta dello scompartimento, sistemò Lisa sul letto e verificò che le cinghie di sicurezza fossero sufficientemente strette. Si sdraiò raccogliendosi protettivamente intorno a sua figlia, Mentre osservava il buio che pareva premere contro il finestrino, non poté fare a meno di interrogarsi su quanto l’aspettava.
Il Crescent aveva accumulato ritardi a catena lungo il percorso. Erano quasi le tre e mezzo del pomeriggio quando LuAnn e Lisa si ritrovarono nel disorientante caos della Pennsylvania Station. LuAnn non aveva mai visto in vita sua una simile concentrazione di persone, tutte nello stesso posto e tutte in movimento simultaneo. Gente e bagagli parevano volare intorno a loro come proiettili e LuAnn strinse con più forza la presa intorno alla maniglia del seggiolino. Il braccio continuava a farle male. Ma se qualcuno avesse tentato di fare il furbo, sarebbe comunque riuscita a piazzargli un solido diretto sul grugno.
LuAnn continuò a procedere lentamente lungo il binario, allungando il collo alla ricerca di un segnale che indicasse l’uscita. Vide un cartello con su scritto MADISON SQUARE GARDIN. Ricordava vagamente di aver seguito un incontro di pugilato trasmesso in diretta dal Madison. Poteva essere quella una via per uscire dalla stazione? E dov’era la persona che, a sentire Jackson, avrebbe dovuto incontrare? Come accidenti sarebbe riuscita a trovare lei e Lisa nel mezzo di quella Babele?
— Signorina Tyler?
LuAnn sì ritrasse istintivamente. L’uomo aveva occhi bruni e baffi spruzzati di grigio sormontati da un naso appiattito. Per un istante LuAnn si chiese se fosse lo stesso uomo che aveva visto battersi sul ring del Madison qualche anno prima. No, non poteva essere. Questo individuo aveva almeno cinquant’anni: troppo vecchio. E comunque aveva le spalle larghe e le orecchie a cavolfiore di un pugile di professione.
— Mi manda il signor Jackson — la sua voce era bassa ma chiara.
LuAnn annuì, porgendo la mano destra: — Chiamami pure LuAnn. Tu come ti chiami?
— Non ha importanza. Se ora vuole seguirmi… — accennò l’uomo avviandosi. — Una macchina ci sta aspettando.
LuAnn non si mosse. — A me piace sapere il nome di quelli che incontro.
L’uomo tornò sui propri passi. L’ombra di un sorriso mitigava l’accenno di irritazione sui suoi lineamenti.
— D’accordo, LuAnn. Che ne dici di Charlie?
— Charlie va bene. Così tu lavori per il signor Jackson. Sono i vostri nomi veri?
— Vuoi che porti io la piccola? — Charlie accennò a Lisa, ignorando del tutto la domanda. — Quel seggiolino ha l’aria di pesare parecchio.
LuAnn represse una smorfia di dolore. — Non c’è problema.
— Sicura? — Lo sguardo di Charlie si spostò al cerotto sul mento di lei. — Si direbbe che qualcuno ti abbia fatto assaggiare un diretto.
— Ho detto che non c’è problema.
Charlie la guidò fuori da Pennsylvania Station, poi oltre una lunga fila di persone in attesa di prendere il taxi. Le aprì la portiera di una limousine nera in attesa lungo il marciapiede. Prima di salire, LuAnn sgranò gli occhi per un attimo al cospetto di quella specie di transatlantico su ruote. Continuò a tenerli sgranati anche osservando il lussuoso interno in pelle e legno luccicante.
— Saremo all’albergo in una ventina di minuti — la informò Charlie accomodandosi sul sedile dirimpetto a lei. — Vuoi qualcosa da bere? O da mangiare? Il cibo delle ferrovie fa abbastanza schifo.
— Ho mangiato ben di peggio, ma un po’ di fame ce l’ho. Però non fermarti apposta.
Читать дальше