— Quant’è che costa il biglietto del treno?
— Circa millecinquecento dollari.
LuAnn strinse i denti. Dove mai avrebbe potuto trovare… Ma di colpo le venne in mente Duane, e il suo gruzzolo di soldi sporchi. LuAnn fermò nuovamente la macchina sul ciglio della strada, posò il ricevitore, frugò sotto i sedili e trovò una borsa di cuoio marrone. Era zeppa di banconote. Abbastanza da comprare non un solo posto per New York ma l’intero treno per New York.
— Okay, signor Jackson… C’è questa donna che lavora insieme a me, e suo marito le ha lasciato dei soldi quand’è morto. Posso chiedere a lei i soldi del treno. Tipo un prestito. Lei me li dà sicuramente. E con i soldi in contanti quelli della ferrovia non me li chiedono i documenti, giusto?
— Nella nostra società il denaro è sovrano, LuAnn. Sono certo che l’AmTrak le troverà una confortevole sistemazione. Si limiti a non usare il suo vero nome. Scelga un nome semplice ma che al tempo stesso non suoni falso. Ora vada a comprare il biglietto della Lotteria Nazionale e mi richiami immediatamente. Sa come arrivare fino ad Atlanta?
— È un posto bello grande. Lo troverò.
— Indossi qualcosa che le mascheri il viso. Foulard, occhiali scuri. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento è che lei venga riconosciuta prima dell’estrazione.
— Questo lo capisco, signor Jackson.
— Lei è quasi in porto, LuAnn. Congratulazioni.
— Non ho tanta voglia di fare festa.
— Le verrà. Avrà un’intera vita per fare festa.
LuAnn posò il telefono e si guardò intorno. I finestrini erano affumicati, era improbabile che qualcuno l’avesse riconosciuta, ma comunque non poteva continuare a correre quel rischio. Doveva disfarsi di quella macchina da pappone. E farlo anche in fretta. Il problema era dove. LuAnn non voleva che la vedessero smontare. Una donna alta, dalla faccia striata di sangue secco che trascina una bambina in fasce fuori da una quattro ruote zeppa di cromature, e con sul cofano un fregio pornografico. Non esattamente il ritratto della brava mammina americana. Ma all’improvviso le balenò un’idea. Forse un tantino pericolosa. In ogni caso non c’era alternativa.
LuAnn eseguì un’inversione a U e accelerò. Impiegò una ventina di minuti per arrivare allo sterrato che s’inoltrava tra i boschi. Allungò il collo e scrutò in avanti, oltre il dosso. Finalmente vide la roulotte. Nessun altro veicolo. Nessun movimento. Ma il corpulento figlio di puttana poteva essere ancora in agguato, pronto a metterle nuovamente le mani intorno al collo, pronto a sollevare nuovamente la lama su di lei.
— Se vedi lo stronzo che viene fuori — disse LuAnn ad alta voce a se stessa — lo stiri come uno straccio sotto queste due tonnellate di ferraglia.
La macchina si fermò davanti alla roulotte. Tutto era fermo. LuAnn abbassò il finestrino e rimase in ascolto. Nessun suono, né dentro né fuori la Airstream. Tolse un fazzolettino di carta dalla borsa di Lisa. Ripulì metodicamente il volante, le maniglie e il telefono cellulare. Poi tutte le superfici che aveva toccato, o che credeva di aver toccato, all’interno dell’auto. Anche lei aveva guardato alcuni episodi di America’s Most Wanted , il famoso programma televisivo in cui il pubblico poteva aiutare a catturare pericolosi criminali in fuga. Anche lei aveva imparato qualche trucco. E se ci fosse stato meno pericolo, sarebbe anche entrata nella roulotte e avrebbe ripulito il telefono. Ma era inutile. In quel lercio rimorchio ci aveva vissuto per oltre due anni, le sue impronte erano dappertutto.
LuAnn scese dalla macchina, infilò nel seggiolino portatile di Lisa tutto il contante che le riuscì di far entrare. Cercò di sistemarsi alla meglio la maglietta strappata, con il braccio funzionante afferrò il seggiolino con Lisa e si incamminò per la radura, in direzione della stradina.
Dall’interno della roulotte, due occhi scuri stavano osservando la frettolosa partenza di LuAnn, cogliendone ogni dettaglio. Quando all’improvviso lei si girò per gettare tutt’intorno uno sguardo circospetto, l’uomo arretrò d’istinto in un ritaglio di tenebre più fitte. LuAnn Tyler non lo conosceva, ma non era il caso di correre rischi. La mano destra scese ad appoggiarsi sul calcio della 9mm semiautomatica infilata nella cintura dei pantaloni, sotto il giubbotto di pelle chiuso a metà. Fuori, LuAnn Tyler e sua figlia stavano scomparendo oltre la sommità del dosso.
Facendo bene attenzione a non mettere i piedi nelle pozze di sangue, l’uomo tornò ad avvicinarsi ai due uomini a terra. Era arrivato nel momento migliore, trovando il bottino di una battaglia che non aveva neppure dovuto combattere. Meglio di così… Tirò fuori di tasca una larga busta di plastica e la riempì con le bustine contenenti la droga, raccogliendole dal tavolino e dal pavimento. Si bloccò, e dopo averci pensato un attimo decise di lasciarne almeno metà là dove le aveva trovate. L’avidità è sempre una pessima consigliera. Quei due avevano lavorato per un’organizzazione. Nel momento in cui quella gente avesse appreso che la polizia non aveva trovato droga nella roulotte, quelli per il lavoro sporco si sarebbero messi alla ricerca di chi l’aveva presa. Ma se fosse mancata solamente metà della polvere bianca, avrebbero fatto l’ipotesi dei poliziotti marci. Ipotesi tutt’altro che campata in aria.
Vicino alla mano dell’uomo grasso, notò un pezzetto di tessuto strappato. Proveniva della maglietta della donna. Lo raccolse e se lo mise in tasca. Adesso la donna era in debito verso di lui. Poi osservò quanto restava del telefono e le posizioni dei corpi, dov’era caduto il coltello e le infossature che la colluttazione aveva causato nella parete della roulotte. La donna doveva essere arrivata nel bel mezzo della lotta tra i due uomini. Il grasso aveva inchiodato il magro. E la donna, in qualche modo, aveva inchiodato il grasso. Considerando l’enorme mole di questo, la sua ammirazione per la donna crebbe notevolmente.
Come se avesse udito quel commento, l’uomo grasso ebbe un lento movimento. Senza alcun indugio, il nuovo arrivato prese uno straccio da cucina, impugnò il coltello e glielo affondò nel petto. Una volta, due, tre. Altro sangue dilagò da quel ventre da bevitore di birra. La sue dita artigliarono la moquette lurida, ultimi spasmi di una breve agonia. Per un estremo, interminabile istante tutto il suo corpo s’irrigidì nella contrazione conclusiva, poi si rilasciò. Le dita tornarono ad aprirsi, le palme aperte appoggiate al pavimento. La faccia era girata di lato, e un unico occhio privo di vita fissava il vuoto.
Poi toccò a Duane Harvey. L’uomo rovesciò sulla schiena il suo corpo apparentemente inerte. Difficile vedere nella semioscurità se il suo torace effettivamente si muovesse. Non aveva importanza. Gli tagliò la gola da un orecchio all’altro.
Un attimo dopo era fuori dalla Airstream, attraversando la radura e i suoi relitti fino all’interno della fitta penombra della foresta.
Si fermò vicino alla sua auto, parcheggiata su un sentiero abbandonato che serpeggiava nel folto. Era una pista difficile, sconnessa, ma quello che contava era che lo avrebbe riportato sulla strada principale in tempo per riacquisire il suo bersaglio primario: LuAnn Tyler.
Non appena salì in macchina, il telefono dell’auto si mise a suonare. L’uomo afferrò il ricevitore.
— Il suo compito è da considerarsi concluso — disse la voce di Jackson.
— Concluso?
— Lei mi ha capito esattamente, signor Romanello. Il contratto che riguarda LuAnn Tyler è ufficialmente annullato. Il saldo del suo compenso le perverrà secondo i consueti canali. La ringrazio per la proficua collaborazione. Non mancherò di tenerla in considerazione per opportunità future.
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