Si girò di scatto, guardandosi intorno. Alcune auto stavano arrivando in senso inverso. La cappotta. Doveva chiuderla. Subito! LuAnn scavalcò lo schienale e si protese oltre i sedili posteriori. Afferrò per l’estremità la bianca copertura, la trasse prima verso l’alto e poi a chiudersi su Lisa e su di lei come una valva protettiva. Infine serrò le maniglie di bloccaggio, si lasciò cadere di nuovo dietro al volante e ripartì di gran carriera.
Anche Duane trafficava droga. Chi avrebbe creduto che lei non ne sapeva niente? Chi avrebbe accettato quella verità? Nessuno, assolutamente nessuno. Nemmeno lei riusciva ad accettarla. Era in trappola, con le spalle al muro. E questa era un’altra verità, molto più brutale. LuAnn la sentì propagarsi lungo i suoi nervi e dentro la sua mente, divorante come un incendio di sterpaglie. Fu costretta a compiere uno sforzo violento per non mettersi a urlare. Uno sforzo ancora più violento per allontanare l’immagine di sua madre.
Non posso farcela, mamma. Non ho più scelta.
Perché adesso era costretta a fare quella telefonata a Jackson.
Lo sguardo di LuAnn schizzò alla plancia, al piccolo orologio cromato al centro del cruscotto. E di nuovo, si sentì mancare il respiro.
Alle dieci e un minuto…
Come se i suoi polmoni non riuscissero a spingere l’aria dentro e fuori.
l’offerta sarà scaduta.
Come se il suo sangue stesse evaporando all’interno del sistema circolatorio.
Scaduta per sempre.
L’orologio segnava cinque minuti dopo le dieci.
LuAnn arrestò l’auto sulla banchina e si afflosciò in avanti, la fronte contro il volante. Jackson aveva parlato sul serio. Su questo non poteva sussistere neppure l’ombra di un dubbio. Lisa… Che cosa ne sarebbe stato di lei se sua madre fosse finita dietro le sbarre? Duane… Quello stupido, maledetto figlio di puttana. L’aveva fottuta da vivo e la stava fottendo anche da morto, in modo addirittura peggiore.
LuAnn sollevò la testa, si guardò intorno stringendo le palpebre sugli occhi pieni di lacrime. Lentamente, il paesaggio tornò a fuoco.
C’era una banca, dalla parte opposta della strada. Una struttura di cemento dall’aspetto impenetrabile, quasi minaccioso. Se avesse avuto con sé una pistola, LuAnn avrebbe seriamente considerato la possibilità di giocarsi la rapina a mano armata. A questo punto, che cosa aveva da perdere? Solo che oggi era domenica: il parcheggio era deserto, la banca chiusa. La cifra dei minuti scattò sull’orologio digitale sulla parete esterna, e l’improvviso fiotto di adrenalina che ne derivò la scosse come una scarica elettrica ad alto voltaggio.
Le dieci meno cinque.
E i bancari sono gente precisa. E anche i loro orologi devono esserlo.
LuAnn affondò una mano in tasca, frugando freneticamente alla ricerca del foglietto con su scritto il numero di Jackson. Dov’era quel maledetto?… Lo trovò. Strappò dal supporto il ricevitore del telefono cellulare e cercò di premere i pulsanti, con la propria coordinazione motoria che pareva andata in cortocircuito. Tempo… Quanto gliene rimaneva? Il ponte radio completò la connessione. Chissà dove, un telefono doveva essersi messo a suonare. Una volta. Due volte…
— Stavo cominciando ad avere qualche perplessità nei suoi confronti, LuAnn — disse la voce di Jackson.
LuAnn se lo figurò seduto in un locale in penombra, mentre consultava il proprio orologio, meravigliandosi di quanto vicino al limite estremo lei fosse potuta arrivare.
— Penso che… — LuAnn deglutì a fatica, riprendendo fiato — che mi è proprio volato vìa il tempo, ecco. Ho avuto un sacco da fare.
— Quale prodigiosa disinvoltura da parte sua, LuAnn. Quanto mai sorprendente, mi consenta.
— Cosa succede adesso?
— Non sta dimenticando qualcosa?
LuAnn si sentì strangolare. — Che… che cosa? — La mente sembrò piombarle nel buio. Di cosa diavolo stava parlando? E se veramente fosse stato tutto un orribile scherzo?
— Io le ho fatto un’offerta, LuAnn. Se lei e io vogliamo stipulare un contratto che sia legalmente valido, lei deve accettare chiaramente la mia offerta. Forse è una formalità, ma sono comunque costretto a insistere.
— Accetto.
— Splendido. Posso darle completa assicurazione che non rimpiangerà la sua decisione.
LuAnn si guardò attorno con apprensione. C’erano due persone dall’altro lato della strada. Stavano osservando la macchina da pappone. LuAnn riavviò il motore e riprese a muoversi.
— Allora — chiese nuovamente a Jackson — che succede adesso?
— Dove si trova in questo momento?
— Perché? — La sua voce era suonata guardinga, e subito aggiunse: — Sono a casa.
— D’accordo. Vada alla più vicina ricevitoria e comperi un biglietto della Lotteria Nazionale.
— Che numeri gioco?
— Non ha alcuna importanza. Come lei sa, ha due opzioni. La prima: accettare un biglietto con numeri emessi automaticamente dalla macchina distributrice. La seconda: scegliere lei stessa i numeri. Nell’un caso e nell’altro, la combinazione viene inviata al computer centrale della Commissione Lotterie e da lì istantaneamente confrontata con le combinazioni già in memoria. Non sono ammesse due combinazioni identiche. Questo consente l’esistenza di un unico vincitore per l’intero montepremi. Se lei opta per scegliere i numeri, e se quei numeri sono già stati scelti da qualcun altro, il sistema glielo farà sapere. In quel caso, tutto quello che deve fare è selezionare numeri differenti.
— Ma non me li dà lei i numeri vincenti? Io pensavo che…
— Non pensi , LuAnn. È un processo che potrebbe arrecarle danni irreparabili. — Nella voce di Jackson c’era di nuovo quella vaga nota di minaccia. — Faccia quello che le dico e basta. Non appena avrà la combinazione, mi richiami a questo medesimo numero e me la comunichi. Penserò io a tutto il resto.
— Ma i soldi quando me li danno?
— Ci sarà una conferenza stampa…
— Conferenza stampa!?
Nel suo incontrollato sussulto, LuAnn deviò verso la corsia opposta. Controsterzò seccamente ed evitò per un pelo uno scontro frontale, continuando a tenere il telefono tra la spalla e il collo.
— Qual è il problema, LuAnn? Non mi dica che non ha mai guardato le premiazioni della Lotteria Nazionale. Il vincitore partecipa sempre a una conferenza stampa, di solito a New York. Viene trasmessa in diretta in tutti gli Stati Uniti, in tutto il mondo. Le faranno fotografie mentre riceve l’assegno con la vincita. Dopodiché i giornalisti le porranno le solite domande insulse: chi è lei, da dove viene, qual è la sua storia, quali sono i suoi sogni, che cosa intende fare con tutto quel denaro eccetera eccetera. È una pantomima del tutto grottesca, lo riconosco, ma la Commissione Lotterie ci tiene. La ragione è chiara: per loro si tratta di una formidabile forma di pubblicità. Non è un caso che le vendite dei biglietti siano raddoppiate ogni anno negli ultimi cinque anni. Un vincitore che se lo merita piace a tutti. Forse perché tutti pensano di meritarsi di diventare a loro volta vincitori. Nient’altro che una classica distorsione della natura umana.
— E devo farla anch’io?
— Di che cosa sta parlando?
— Io non ci voglio andare in televisione, tutto qua!
— Non ha scelta. Tenga a mente, LuAnn, che lei si metterà in tasca cinquanta-milioni-di-dollari. In cambio di quella cifra, la commissione si aspetta almeno una conferenza stampa di ringraziamento. E in tutta onestà, ha pienamente ragione ad aspettarsela.
— Così ci devo andare.
— Assolutamente.
— Devo usare il mio vero nome?
— Ha qualche ragione per cui non dovrebbe?
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