Klietmann non era certo un perfetto esemplare della razza ariana ed era perfettamente consapevole dei suoi difetti fisici. Il nonno materno era polacco, un disgustoso incrocio slavo a causa del quale Klietmann era solo per tre quarti tedesco. Inoltre, anche se gli altri tre nonni e i genitori erano biondi, con gli occhi azzurri e con tratti nordici, Erich aveva occhi color nocciola, capelli scuri e i lineamenti marcati di quel selvaggio di suo nonno. Klietmann si detestava e per compensare i difetti fisici cercava di essere il nazista più vigile, il soldato più coraggioso e il più acceso sostenitore di Hitler in tutta la Schutzstaffel , compito assai arduo perché molti ambivano a quell’onore. A volte aveva persino disperato di poter conquistare la gloria. Ma non si era arreso mai e ora eccolo lì, a soli due passi dal successo.
Voleva uccidere Stefan Krieger personalmente, non solo perché si sarebbe guadagnato i favori del Führer, ma perché Krieger era il perfetto ariano, biondo, con gli occhi azzurri, i tratti nordici e di razza pura. Con tutti i vantaggi dalla sua parte l’odioso Krieger aveva scelto di tradire il suo Führer e questo faceva impazzire di rabbia Klietmann, che invece doveva lottare.
Ora, quando mancavano solo due minuti al rientro del gruppo di ricerca, Klietmann guardò i tre subordinati, tutti vestiti come giovani dirigenti di un’altra era e sentì nascere dentro di sé un senso di orgoglio tale che quasi si commosse.
Tutti avevano origini umili. Unterscharführer Felix Hubatsch, il sergente di Klietmann, era figlio di un operaio alcolizzato e di una madre sciattona, che lui disprezzava. Rottenführer Rudolph von Manstein era figlio di un povero contadino, la cui vita fallimentare lo faceva vergognare. Rottenführer Martin Bracher era orfano. Nonostante provenissero da quattro zone diverse della Germania, i due caporali, il sergente e il tenente Klietmann avevano in comune una cosa che li rendeva come fratelli: avevano compreso che il legame più vero, più profondo e più caro di un uomo non era nei confronti della famiglia ma dello Stato, della patria e del suo capo. Lo Stato era l’unica famiglia che importasse. Questo frammento di saggezza li elevava e li rendeva degni padri della futura razza superiore.
Klietmann si sfiorò gli angoli degli occhi con il pollice, asciugandosi le lacrime che non era riuscito a trattenere.
Ancora un minuto e il gruppo di ricerca sarebbe tornato.
I macchinari ticchettavano e ronzavano.
Alle tre di venerdì pomeriggio del 13 gennaio, un camioncino bianco entrò nel piazzale del motel, si diresse direttamente verso l’ala posteriore e parcheggiò accanto alla Buick che portava le targhe di una Nissan. Il camioncino doveva avere circa cinque o sei anni. La portiera dalla parte del passeggero era ammaccata e sulla lamiera ricurva si vedevano macchie di ruggine. Il proprietario evidentemente stava risistemando il camioncino poco per volta, perché alcuni punti erano stati ritoccati, ma non ancora ridipinti.
Laura osservò il camioncino da dietro le tende appena scostate della finestra della stanza. In una mano teneva l’Uzi.
I fari del camioncino si spensero, i tergicristalli si arrestarono e un attimo dopo una donna dai capelli biondi e ricci uscì e si diresse verso la porta di Laura. Bussò tre volte.
Chris era dietro la porta e guardava sua madre.
Laura annuì con la testa.
Chris aprì la porta e disse: «Ciao, zia Thelma. Accidenti, che parrucca orribile!»
Thelma entrò e stringendo a sé Chris replicò: «Be’, grazie tante. E che cosa mi racconti se ti dicessi che quella specie di proboscide con cui sei nato te la devi proprio tenere, mentre io la parrucca me la posso togliere quando voglio, eh? Che cosa mi racconti adesso?»
Chris ridacchiò. «Nulla. Perché so di avere un bel nasino.»
«Bel nasino? Quanto sei presuntuoso!» Lasciò Chris, lanciò un’occhiata furtiva a Stefan Krieger, che era seduto in una delle poltrone accanto alla televisione, poi si rivolse a Laura: «Shane, hai visto con che roba sono arrivata? Sono o non sono intelligente? Mi stavo infilando nella mia Mercedes quando mi sono detta: Thelma — mi chiamo sempre con il mio nome — attirerai l’attenzione di tutti se arrivi in quel motel da quattro soldi con una macchina da sessantacinquemila dollari! Allora ho pensato di prendere in prestito la macchina del maggiordomo. Ma tu sai che macchina ha lui ? Una Jaguar. A quel punto ho dovuto farmi prestare il camioncino del giardiniere ed eccomi qui. Che cosa ne pensi di questo travestimento?»
Portava una parrucca bionda tutta ricci, imperlata di gocce di pioggia, occhiali con montatura di osso e una dentatura finta che la faceva somigliare a Dracula.
«Mi sembri molto più carina così», commentò Laura ridacchiando.
Thelma si tolse i denti finti. «Ascolta, una volta trovata la quattroruote che passava inosservata, ho capito che sarei stata io ad attirare l’attenzione, essendo una grande star e tutto il resto. E visto che i giornalisti avevano già scoperto la nostra amicizia e avevano cercato di farmi alcune domande su di te, la famosa scrittrice che va in giro con un mitra, ho deciso di venire in incognito.»
Appoggiò la borsa e i denti finti sul letto. «Questo travestimento l’avevo usato per uno dei miei spettacoli che ho portato sulla scena circa otto volte a Las Vegas. Fu un completo fallimento. Il pubblico mi sputava addosso, Shane. Hanno fatto intervenire le guardie che hanno cercato di arrestarmi, mi hanno addirittura contestato il diritto di condividere lo stesso pianeta con loro. Oh, sono stati così insolenti, Shane, sono stati così…»
S’interruppe improvvisamente nel bel mezzo del suo discorso e scoppiò in lacrime. Corse da Laura e le gettò le braccia al collo. «Oh, Laura, ero così spaventata, così spaventata. Quando ho sentito le notizie sulla sparatoria e le condizioni in cui hanno trovato la tua casa a Big Bear, ho pensato che tu… o forse Chris… ero così preoccupata…»
Stringendola in un abbraccio interminabile, Laura le disse: «Ti racconterò tutto, ma la cosa più importante è che ora stiamo bene, e forse abbiamo trovato un modo per uscire dal baratro in cui ci troviamo».
«Perché non mi hai chiamato, brutta stronza?»
«Ti ho chiamato.»
«Ma solo questa mattina! Due giorni che il tuo nome sui giornali appariva a caratteri cubitali. Sono quasi impazzita.»
«Scusami. Avrei dovuto farlo prima. Ma non volevo coinvolgerti.»
Thelma si staccò a fatica da lei. «Sono inevitabilmente, profondamente e disperatamente coinvolta, idiota che non sei altro, perché tu sei coinvolta.» Da una tasca della giacca di pelle scamosciata tirò fuori un Kleenex e si asciugò gli occhi.
«Ne hai un altro?» chiese Laura. Thelma le diede un Kleenex e tutt’e due si soffiarono il naso.
«Ce la stavamo dando a gambe, zia Thelma», spiegò Chris. «È difficile rimanere in contatto con le persone quando stai scappando.»
Thelma tirò un profondo, respiro, poi chiese: «Allora, Shane, dove tieni la tua collezione di teste decapitate? Nel bagno? Ho sentito che ne hai dimenticata una a San Bernardino. È un tuo nuovo hobby oppure hai sempre avuto una particolare attrazione per la bellezza della testa umana privata di tutte quelle stupide estremità?»
«Voglio presentarti qualcuno», l’interruppe Laura.
«Thelma Ackerson, questo è Stefan Krieger.»
«Piacere», disse Thelma.
«Mi scuserà se non mi alzo», disse Stefan. «Ma sono ancora convalescente.»
«Oh, se lei riesce a scusare questa parrucca, io posso scusare qualsiasi cosa.» Poi rivolta a Laura, chiese: «È lui?»
«Sì.»
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