Dean Koontz - Lampi

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Lampi: краткое содержание, описание и аннотация

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In una tempestosa notte di gennaio Laura Shane viene miracolosamente alla luce grazie all’intervento di uno sconosciuto che annuncia il proprio arrivo con un lampo. Il destino però ha in serbo per lei ben più terrificanti pericoli che supererà con l’aiuto del misterioso personaggio. Ma chi è l’enigmatico protettore? Nel giorno del suo tredicesimo compleanno per Laura è pronta un’agghiacciante rivelazione…

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Quando ebbe finito di programmare il tunnel, controllò l’indicatore di latitudine e longitudine per assicurarsi che sarebbe arrivato approssimativamente nell’area di Big Bear. Quando guardò l’orologio che indicava il tempo di arrivo, rimase sbigottito nel vedere che segnava le otto di sera del 10 gennaio 1989, invece del 1988. Ora il tunnel lo avrebbe trasportato a Big Bear non qualche ora dopo la morte di Danny, ma un anno dopo.

Era sicuro che i suoi calcoli fossero corretti. Aveva avuto tempo a disposizione per farli e ricontrollarli, durante le due precedenti settimane. Evidentemente, nervoso com’era, aveva commesso un errore nell’introdurre i dati. Avrebbe dovuto riprogrammare il tunnel.

Meno di tre minuti all’esplosione.

Studiò i numeri sul foglio di carta, il prodotto finale dei suoi lunghi calcoli. Mentre stava per azionare una manopola di regolazione per cancellare l’attuale programma e reinserire nuovamente i dati, nel corridoio al pianterreno echeggiò un grido di allarme. Sembravano provenire dall’ala nord dell’edificio, più o meno dalla zona in cui si trovava la stanza dell’archivio.

Qualcuno aveva trovato i corpi di Januskaya e Volkaw.

Udì altre grida. Gente che correva.

Guardò nervosamente la porta chiusa che dava sul corridoio e decise che non c’era tempo per riprogrammare. Si sarebbe dovuto accontentare di ritornare da Laura un anno dopo che l’aveva lasciata.

Con la Colt Commander munita di silenziatore nella mano destra, puntò verso il tunnel. Non volle rischiare di perdere tempo per recuperare il cappotto nell’angolo dove l’aveva lasciato un’ora prima.

Il rumore nel corridoio si fece più vicino.

Era a due passi dall’entrata del tunnel, quando la porta del laboratorio fu spalancata con una tale forza che colpì il muro con uno schianto.

«Fermo dove sei!»

Stefan riconobbe la voce, ma gli parve impossibile che potesse essere vero. Alzò la pistola mentre si girava per affrontare l’uomo che aveva fatto irruzione nel laboratorio: Kokoschka.

Impossibile. Kokoschka era morto. Kokoschka lo aveva seguito a Big Bear la notte del 10 gennaio 1988 e lui aveva ucciso Kokoschka su quella strada.

Sbigottito, Stefan sparò due colpi, entrambi a vuoto.

Kokoschka rispose al fuoco. Una pallottola colpì Stefan al petto, in alto a sinistra, mandandolo a sbattere contro il bordo del tunnel. Rimase in piedi e sparò altri tre colpi, obbligando Kokoschka a tuffarsi a terra per ripararsi e a rotolare dietro un bancone del laboratorio.

Mancavano meno di due minuti all’esplosione.

Stefan non sentì dolore perché era sotto choc. Ma il suo braccio sinistro era inutilizzabile, ciondolava inerte. Una macchia nera, oleosa, insistente, cominciò a farsi strada nel suo campo visivo.

Solo qualche luce era stata lasciata accesa, ma all’improvviso e in modo uguale tutte tremolarono e si spensero, lasciando la stanza vagamente illuminata dal debole luccichio dei quadranti e degli indicatori. Per un istante Stefan pensò che la luce che si stava estinguendo fosse un ulteriore segno che la sua coscienza lo stava abbandonando. Poi capì che era venuta nuovamente a mancare l’energia elettrica, evidentemente in seguito all’opera di sabotatori perché non si erano udite le sirene che avvertivano l’imminenza di un attacco aereo.

Kokoschka sparò due volte dall’oscurità e le scintille che uscirono dalla bocca dell’arma indicarono la sua posizione. Stefan sprecò gli ultimi tre colpi che aveva in canna, sebbene non avesse alcuna speranza di colpire Kokoschka attraverso il marmo del bancone.

Fortunatamente il tunnel era ancora in funzione perché alimentato da un generatore autonomo. Stefan gettò la pistola e con la mano destra si afferrò al bordo del tunnel. Si spinse dentro e strisciò freneticamente verso un punto a tre quarti del passaggio, dove avrebbe attraversato il campo energetico per giungere a Big Bear, nell’anno 1989.

Mentre si addentrava carponi nell’oscuro passaggio, realizzò improvvisamente che il timer era collegato alla rete di distribuzione pubblica. Il conto alla rovescia era stato interrotto quando le luci si erano spente.

Con sgomento capì perché Kokoschka non era morto a Big Bear, nel 1988. Kokoschka non aveva ancora fatto quel viaggio. Solo ora Kokoschka era venuto a conoscenza della sua perfidia, quando aveva scoperto i corpi di Januskaya e Volkaw. Prima che l’energia elettrica fosse ripristinata, Kokoschka avrebbe perquisito l’ufficio di Stefan, trovato il detonatore e disinnescato gli esplosivi. L’istituto non sarebbe stato distrutto.

Stefan esitò, chiedendosi se fosse il caso di tornare indietro.

Dietro di sé udì altre voci nel laboratorio. Altri uomini della polizia segreta erano accorsi in aiuto di Kokoschka.

Continuò ad avanzare.

Che cosa ne sarebbe stato di Kokoschka? Il capo della polizia segreta evidentemente si sarebbe trasferito al 10 gennaio 1988 per cercare di uccidere Stefan sulla Statale 330. Ma sarebbe riuscito solo a uccidere Danny, prima di soccombere a sua volta. Stefan era abbastanza sicuro che la morte di Kokoschka fosse un destino immutabile. Ma aveva bisogno di pensare in modo più approfondito ai paradossi del viaggio nel tempo, per capire se vi fosse una qualche possibilità che Kokoschka potesse evitare di essere ucciso nel 1988, una morte a cui Stefan aveva già assistito.

Le complicazioni legate al viaggio nel tempo creavano una certa confusione anche quando venivano esaminate a mente lucida. Nelle sue condizioni, ferito e concentrato nello sforzo di rimanere cosciente, questo pensiero non fece che stordirlo ancora di più.

Più tardi. Ci avrebbe pensato più tardi. Dietro di lui, nel laboratorio avvolto nell’oscurità, qualcuno cominciò a sparare contro l’ingresso del tunnel, nella speranza di colpirlo prima che potesse raggiungere il punto di partenza.

Superò strisciando gli ultimi centimetri. Verso Laura, verso una nuova vita in un’epoca lontana. Ma aveva sperato di chiudere per sempre il tunnel fra l’era in cui viveva e quella in cui stava per calarsi. Invece il tunnel sarebbe rimasto aperto e loro potevano viaggiare attraverso il tempo per venire a prendere lui… e Laura.

9

Laura e Chris trascorsero il Natale con Thelma nella casa di Jason Gaines a Beverly Hills. Era una villa di venti stanze, stile Tudor, circondata da sei acri di terreno cintati. Era una proprietà incredibilmente grande dove il costo del terreno al metro quadro aveva già da tempo raggiunto cifre incredibili. Durante la costruzione, negli anni Quaranta, il proprietario era un produttore di commedie brillanti e film di guerra, non si era certo badato a spese. C’erano soffitti a cassettoni molto elaborati, alcuni in legno di quercia e altri in rame; le modanature erano minutamente intarsiate; le finestre avevano vetri a piombo colorati o in cristallo molato e penetravano così a fondo negli spessi muri che ci si poteva comodamente sedere sugli ampi davanzali. Gli architravi interni erano decorati con pannelli scolpiti a mano: tralci di vite e rose, putti e stendardi, cervi in corsa, uccelli; gli architravi esterni erano di granito scolpito e su due erano incastonati grappoli di coloratissimi frutti in ceramica, stile della Robbia. Il terreno che circondava la casa era un parco curato in modo molto meticoloso. Dei sentieri in pietra serpeggiavano in un paesaggio tropicale abitato da uccelli del paradiso e ricco di palme, fichi, azalee cariche di fiori di un rosso vivido, felci e fiori stagionali di ogni specie.

Laura e Chris arrivarono nel pruno pomeriggio di sabato, la vigilia di Natale, e Thelma li portò a fare un giro della casa e dei dintorni, dopo di che si sedettero a bere una cioccolata calda e mangiare dei dolcetti preparati dal cuoco e serviti da una cameriera sotto il portico che dava sulla piscina.

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