Stefan, che era tornato all’istituto sicuro che lo avrebbero arrestato, si sentì confuso rendendosi conto che il suo tradimento non era stato scoperto e sbigottito nel sentirsi addirittura elogiare da quel verme disgustoso. Aveva suggerito di collegare il tunnel a un generatore autonomo non perché volesse vedere il loro vile progetto trionfare, ma perché non voleva che le sue escursioni nella vita di Laura fossero interrotte dall’insufficiente fornitura di energia elettrica.
«Lo scorso ottobre non avrei mai pensato che si potesse arrivare a una situazione come quella odierna, dove non ci si può più fidare dei normali servizi pubblici», proseguì Januskaya, scuotendo la testa tristemente, «l’ordine sociale è così totalmente turbato. Che cosa non deve sopportare il popolo per vedere lo stato socialista trionfare, non è vero?»
«Questi sono tempi oscuri», rispose Stefan, intendendo cose molto diverse da quelle che aveva voluto dire Januskaya.
«Ma trionferemo», esclamò Januskaya in tono energico e con un lampo di follia negli occhi. «Attraverso la Via del Lampo, noi trionferemo.»
Gli diede un colpetto sulla spalla e proseguì lungo il corridoio.
Stefan lasciò che lo scienziato arrivasse in prossimità degli ascensori, poi disse: «Oh, dottor Januskaya?»
Il grosso verme bianco si voltò e lo guardò. «Sì?»
«Ha visto Kokoschka oggi?»
«Oggi? No, non l’ho ancora visto.»
«Ma è qui, non è vero?»
«Oh, immagino di sì. Di solito è qui finché c’è qualcuno che lavora, questo lo sa. È un uomo diligente. Se avessimo più Kokoschka non avremmo dubbi sul trionfo finale. Ha bisogno di parlargli? Se lo vedo, devo mandarlo da lei?»
«No, no», rispose Stefan. «Non è urgente. Non voglio distoglierlo da altri lavori. Sono sicuro che prima o poi lo vedrò.»
Januskaya arrivò agli ascensori e Stefan entrò nel suo ufficio, chiudendo la porta dietro di sé.
Si rannicchiò accanto allo schedario che aveva spostato leggermente per celare un terzo della grata del condotto di aerazione nell’angolo. Nello stretto spazio retrostante era a malapena visibile un fascio di cavi di rame che fuoriuscivano dall’ultima feritoia della grata. I cavi erano collegati a un semplice timer del tipo a disco combinatore, che a sua volta era collegato con una presa a muro che si trovava dietro lo schedario. Nulla era stato disattivato. Avrebbe potuto infilare un braccio dietro l’armadio, fissare il timer e nel giro di pochissimi minuti, l’istituto sarebbe stato distrutto.
Che diavolo stava succedendo? si chiese.
Rimase seduto per un po’ alla sua scrivania, fissando lo squarcio di cielo che poteva vedere da una delle due finestre: qua e là nuvole grigiastre si spostavano pigramente su uno sfondo azzurro.
Alla fine lasciò l’ufficio, si diresse verso le scale nord e salì rapidamente fino al solaio. La porta si aprì con un leggero scricchiolio. Alzò l’interruttore della luce ed entrò nella lunga stanza, camminando con circospezione sul pavimento di assi di legno. Controllò tre delle cariche al plastico che aveva nascosto fra le travi due notti prima. Gli esplosivi non erano stati toccati.
Non aveva bisogno di controllare le cariche che aveva sistemato nello scantinato. Lasciò il solaio e tornò nel suo ufficio.
Ovviamente nessuno conosceva né la sua intenzione di distruggere l’istituto né i suoi tentativi di modificare la vita di Laura. Nessuno a parte Kokoschka. Dannazione! Kokoschka doveva sapere, perché era spuntato su quella strada di montagna con un Uzi.
Perché Kokoschka non l’aveva detto a nessun altro?
Kokoschka era un funzionario della polizia segreta, un vero fanatico, un obbediente e avido servo del governo, personalmente responsabile della sicurezza della Via del Lampo. Scoprendo un traditore nell’istituto, Kokoschka non avrebbe esitato a chiamare squadre di agenti per circondare l’edificio, sorvegliare il tunnel e interrogare tutti.
Sicuramente non avrebbe permesso a Stefan di correre in aiuto di Laura su quella strada di montagna, per poi seguirlo e uccidere entrambi. E ciò per una semplice ragione: avrebbe trattenuto Stefan per interrogarlo e stabilire se aveva dei compiici nell’istituto.
Kokoschka aveva scoperto che Stefan si era intromesso nel flusso prestabilito di eventi nella vita di una donna. E aveva anche scoperto, o forse no, gli esplosivi nell’istituto. Probabilmente no, altrimenti li avrebbe perlomeno disinnescati. Poi, per ragioni personali, non si era comportato da poliziotto ma come individuo. Quella mattina aveva seguito Stefan attraverso il tunnel, in quel pomeriggio gelido del gennaio del 1988, con intenzioni che Stefan non comprendeva affatto.
Non aveva senso. Tuttavia questo era ciò che era accaduto.
Che cosa aveva in mente Kokoschka? Probabilmente non l’avrebbe mai saputo. Ora Kokoschka era morto su una strada nell’anno 1988 e presto qualcuno all’istituto si sarebbe accorto della sua assenza.
Quel pomeriggio, alle due, Stefan doveva intraprendere, come da programma, un viaggio autorizzato sotto la direzione di Penlovski e Januskaya. Stefan aveva intenzione di far saltare l’istituto all’una, un’ora prima dell’evento previsto. Ora, erano le undici e quarantatré e decise che doveva agire più rapidamente rispetto ai piani originali, prima che la scomparsa di Kokoschka mettesse tutti in allarme.
Si avvicinò a uno degli schedari più alti, aprì l’ultimo cassetto, che era vuoto, e staccandolo dalle guide lo estrasse completamente. Legata con un filo metallico alla parte posteriore del cassetto, c’era una pistola, una Colt Commander 9 millimetri Parabellum, con un caricatore a nove colpi acquistato durante una delle sue escursioni illegali e che aveva riportato all’istituto in tutta segretezza. Da sotto un altro cassetto estrasse due silenziatori ad alta precisione e altri quattro caricatori.
Ritornato alla scrivania, lavorò velocemente per paura che qualcuno potesse entrare senza bussare; avvitò uno dei silenziatori sulla pistola, tolse la sicura e sistemò l’altro silenziatore e i caricatori nelle tasche del suo camice.
Quando, per l’ultima volta, avrebbe lasciato l’istituto attraverso il tunnel, non avrebbe potuto contare sugli esplosivi per uccidere Penlovski, Januskaya e alcuni altri scienziati. L’esplosione avrebbe abbattuto l’edificio distruggendo tutte le macchine e i documenti, ma che cosa sarebbe successo se anche solo uno dei ricercatori chiave fosse sopravvissuto? Le informazioni necessarie per ricostruire il tunnel erano nelle menti di Penlovski e Januskaya, perciò Stefan progettò di uccidere loro e un altro uomo, Volkaw, prima di programmare il timer ed entrare nel tunnel per ritornare da Laura.
Con il silenziatore montato, la Commander era troppo lunga per entrare completamente nella tasca del suo camice, perciò rivoltò la tasca e ne tagliò il fondo. Con il dito sul grilletto, infilò l’arma nella tasca e la tenne lì, mentre apriva la porta del suo ufficio e si inoltrava nel corridoio.
Il cuore gli batteva all’impazzata. Quella era la parte più pericolosa del piano, l’omicidio, perché erano molte le possibilità che qualcosa andasse storto prima che avesse terminato quel «lavoro» e fosse ritornato nel suo ufficio per programmare il timer sugli esplosivi.
Laura era molto lontana e forse non l’avrebbe mai più rivista.
Lunedì pomeriggio Laura e Chris indossarono una tuta grigia, e dopo che Thelma li ebbe aiutati a srotolare uno spesso materassino da ginnastica nel patio sul retro della casa, si sedettero uno accanto all’altro e cominciarono a fare degli esercizi di respirazione.
«Quando arriva Bruce Lee?» chiese Thelma.
«Alle due», rispose Laura.
«Non è Bruce Lee, zia Thelma», esclamò Chris in tono esasperato. «Continui a chiamarlo Bruce Lee, ma Bruce Lee è morto.»
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