In quel periodo, poiché il lavoro di ricerca non era più focalizzato sullo sviluppo del tunnel in sé, il laboratorio principale era frequentato dal personale dell’istituto solo per la manutenzione ordinaria delle macchine e, ovviamente, quando era in corso una spedizione. In caso contrario, Stefan non sarebbe mai stato in grado di fare i numerosi viaggi segreti e non autorizzati che aveva intrapreso per controllare, e a volte correggere, gli eventi della vita di Laura.
Non era insolito trovare il laboratorio deserto per la maggior parte della giornata, ma ora era piuttosto strano, perché avevano mandato Kokoschka a fermarlo e sicuramente stavano aspettando di sapere come se la fosse cavata sulle gelide montagne della California. Dovevano aver considerato la possibilità che Kokoschka fallisse e che dal 1988 ritornasse l’uomo sbagliato, e quindi il tunnel avrebbe dovuto essere sorvegliato finché la situazione non si fosse risolta. Dov’era la polizia segreta? Dov’erano i fucili con cui si era aspettato di essere accolto?
Guardò il grande orologio sulla parete e vide che erano le undici e sei minuti, ora locale. Era come sarebbe dovuto essere. Il suo viaggio aveva avuto inizio alle undici meno cinque del mattino e ogni spostamento terminava esattamente undici minuti dopo la partenza. Nessuno sapeva il perché, ma indipendentemente dalla permanenza del viaggiatore del tempo nel luogo di destinazione, alla base passavano solo undici minuti. Era rimasto sulle San Bernardino Mountains per circa un’ora e mezzo, ma nella sua vita del suo tempo erano trascorsi solo undici minuti. Se fosse rimasto con Laura per mesi prima di premere il pulsante giallo sulla cintura, attivando il segnale, sarebbe comunque ritornato all’istituto undici minuti dopo la sua partenza.
Ma dov’erano le autorità, le armi, i colleghi furiosi che esprimevano la loro indignazione? Dopo aver scoperto la sua ingerenza nella vita di Laura, dopo aver mandato Kokoschka a sorprendere lui e Laura, perché se n’erano andati dal tunnel quando dovevano attendere solo undici minuti per sapere il risultato di quel confronto?
Stefan si tolse gli scarponi, il cappotto, la fondina e li nascose in un angolo dietro delle attrezzature. Lì aveva lasciato il camice bianco quando era partito per il viaggio. Lo indossò. Perplesso, ancora preoccupato nonostante non avesse trovato comitati ostili ad accoglierlo, uscì nel corridoio e andò in cerca di guai.
Alle due e mezzo di domenica, Laura era davanti allo schermo del computer nello studio accanto alla camera da letto padronale. Indossava il pigiama e una vestaglia e fra un sorso e l’altro di succo di mela lavorava al nuovo libro. L’unica luce nella stanza proveniva dalle lettere verdi sullo schermo e da una piccola lampada da tavolo puntata su alcune pagine che erano state stampate il giorno precedente. Accanto al manoscritto era posata una rivoltella.
La porta che dava sul corridoio era aperta. Laura non chiudeva mai le porte, tranne quella del bagno, perché una porta chiusa avrebbe potuto impedirle di sentire i passi furtivi di un estraneo in un’altra parte della casa. La casa aveva un sistema d’allarme sofisticato, ma lei teneva comunque le porte interne aperte, per sicurezza.
Udì i passi di Thelma nel corridoio e si voltò proprio quando l’amica fece capolino dalla porta. «Scusa se ho fatto rumore e ti ho svegliato», le disse.
«No. Noi artisti lavoriamo fino a tardi. Però dormo fino a mezzogiorno. E tu? Di solito sei in piedi a quest’ora?»
«Non riesco più a dormire bene. Quattro o cinque ore per notte mi sono sufficienti. Invece di stare a letto, a rimuginare, mi alzo e scrivo.»
Thelma prese una sedia, si sedette e appoggiò i piedi sulla scrivania di Laura. Il suo gusto per la biancheria intima era ancora più eccentrico di quando era bambina: un pigiama di seta molto ampio con un disegno astratto di quadrati e cerchi rossi, verdi, blu e gialli.
«Mi fa piacere vedere che porti ancora le pantofole con il coniglietto», notò Laura. «Dimostra una certa costanza nella personalità.»
«Questa sono io. Solida come una roccia. Però adesso non trovo più pantofole così della mia misura, perciò compro un paio di pantofole di pelo per adulti e un paio di pantofole per bambini, stacco gli occhi e le orecchie da quelle piccole e le attacco a quelle grandi. Che cosa stai scrivendo?»
«Un libro sulla morte.»
«Proprio la cosa giusta per un divertente week end al mare.»
Laura sospirò e si rilassò nella poltrona dallo schienale molleggiato.
«È un romanzo sulla morte, sull’ingiustizia della morte. È un progetto folle, perché sto cercando di spiegare l’inspiegabile. Sto cercando di spiegare la morte al mio lettore immaginario, perché così forse alla fine riuscirò a capire qualcosa io stessa. È un libro sul perché dobbiamo lottare e andare avanti nonostante siamo perfettamente coscienti della nostra mortalità, sul perché dobbiamo lottare per esistere. È un libro triste, tetro, macabro, deprimente e amaro. Un libro profondamente preoccupante.»
«C’è un grosso mercato per questo genere?»
Laura rise. «Probabilmente non c’è affatto un mercato. Ma una volta che un’idea per un romanzo cattura lo scrittore… be’, è come un fuoco interiore che dapprima ti riscalda e ti fa sentire bene, ma poi comincia a mangiarti viva, ti consuma dall’interno. Non hai possibilità di fuggire dal fuoco; continua a bruciare. L’unico modo per liberarti è scrivere il dannato libro. E comunque, quando non riesco ad andare avanti con questo, mi dedico a un libro per bambini che sto scrivendo e che racconta la storia di Sir Tommy Rospo.»
«Sei proprio svitata, Shane.»
«Chi indossa le pantofole da coniglietto?»
Parlarono del più e del meno con quello spirito cameratesco che avevano condiviso per vent’anni. Forse fu a causa della solitudine di Laura, più acuta rispetto ai giorni immediatamente successivi all’uccisione di Danny, o forse la paura dell’ignoto, ma qualunque fosse la ragione iniziò a parlare del suo Custode. In tutto il mondo solo Thelma poteva credere a quel racconto. Infatti rimase subito affascinata, tirò giù i piedi dalla scrivania e si sedette composta sulla sedia, senza mai esprimere incredulità, mentre Laura raccontava la storia dal giorno in cui il tossicomane era stato ucciso fino a quando il Custode era svanito sulla strada di montagna.
Quando Laura ebbe domato quel fuoco interiore, Thelma chiese: «Perché non mi hai raccontato di questo… Custode anni fa? Quando eravamo al McIlroy?»
«Non so. Sembrava qualcosa di… magico. Qualcosa che dovevo tenere per me, perché se l’avessi condiviso con qualcun altro avrei spezzato l’incantesimo e non l’avrei mai più rivisto. Poi, quando mi lasciò sola ad affrontare l’Anguilla, quando non fece nulla per salvare Ruthie, credo che smisi semplicemente di credere in lui. Neanche a Danny ne feci parola. Quando lo incontrai, per me quella figura era ormai diventata irreale come quella di Babbo Natale. Poi, improvvisamente… eccolo di nuovo su quella strada.»
«Ma quella notte, in montagna, ti disse che sarebbe tornato dopo qualche giorno per spiegarti tutto…»
«Ma da allora non l’ho più visto. Sono sette mesi che aspetto e immagino che quando qualcuno improvvisamente si materializzerà davanti a me, potrebbe essere il mio Custode, oppure un altro Kokoschka con un fucile mitragliatore.»
Il racconto aveva elettrizzato Thelma tanto che cominciò ad agitarsi sulla sedia come se fosse percorsa da una corrente elettrica. Alla fine si alzò e cominciò a passeggiare avanti e indietro. «Che cosa si sa di questo Kokoschka? I poliziotti hanno scoperto qualcosa su di lui?»
«Nulla. Non aveva con sé nessun documento. La Pontiac che guidava era rubata, esattamente come la jeep rossa. Hanno controllato le sue impronte digitali in tutti gli archivi a loro disposizione, ma senza alcun risultato. E del resto non possono interrogare un cadavere. Non sanno chi fosse o da dove venisse, né perché volesse ucciderci.»
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