Il suo appartamento si trovava a Irvine, fuori della città universitaria, e per potersi pagare l’affitto lo divideva con altre due studentesse, Meg Falcone e Julie Ishimina. All’inizio Laura pensò persino che fosse stata una di loro a spedirle il rospo. Ma scartò la possibilità poiché non aveva rapporti stretti né con l’una né con l’altra. Erano sempre occupate con gli studi e con i loro interessi e poi vivevano con lei solo da settembre. Dichiararono infatti di non sapere nulla del rospo.
Si chiese allora se fosse stato il dottor Matlin, il docente della facoltà che seguiva la rivista letteraria all’UCI, a mandarle quella statuina. Da quando, al secondo anno, aveva seguito il corso di Matlin sulla scrittura creativa, lui l’aveva incoraggiata a coltivare il suo talento e a raffinare la sua abilità. Gli era piaciuta in modo particolare la Storia di un anfibio, e magari era stato lui a mandarle il rospo giusto per dimostrarle la propria approvazione. Ma perché anonimo, senza neppure un biglietto? Perché tutta quella segretezza? No, non era nel carattere di Harry Matlin.
All’università aveva qualche amico, ma con nessuno aveva stretto una vera e propria amicizia. Le mancava il tempo per coltivare legami più profondi. Gli studi, il lavoro e lo scrivere assorbivano tutte le ore disponibili. Non riuscì a immaginare chi potesse aver avuto un’idea tanto bizzarra.
Un mistero.
Il giorno seguente aveva la prima lezione alle otto e l’ultima alle due del pomeriggio. Alle quattro meno un quarto fece ritorno alla sua vecchia Chevy parcheggiata nel campus, aprì la portiera, si sedette e rimase sbalordita vedendo un altro rospo sul cruscotto.
Questo era alto cinque centimetri e lungo dieci. Anche questo era in ceramica, verde smeraldo, con un braccio piegato e la testa appoggiata sulla mano. Sorrideva con aria sognante.
Era sicura di aver lasciato la macchina chiusa e infatti lo era quando era tornata alla fine delle lezioni. L’enigmatico donatore di rospi aveva evidentemente dovuto affrontare non poche difficoltà per aprire la Chevy senza la chiave; doveva aver fatto passare attraverso il finestrino un fil di ferro per cercare di sbloccare il dispositivo di chiusura e poter infine lasciare il rospo.
Più tardi mise il nuovo ospite sul comodino, accanto all’altro con il cappello a cilindro. Trascorse la serata a letto, a leggere. Di tanto in tanto il suo sguardo andava alle statuine in ceramica.
Il mattino seguente, quando lasciò l’appartamento, trovò un pacchetto davanti alla porta. All’interno c’era un altro rospo sempre accuratamente confezionato. Era di peltro e sedeva su un tronco tenendo un banjo tra le zampe.
Il mistero si faceva più fitto.
In estate, cominciò a lavorare a tempo pieno come cameriera all’ Hamburger Hamlet, a Costa Mesa, ma durante l’anno scolastico le lezioni erano così impegnative da consentirle di lavorare solo tre sere la settimana. L’ Hamlet era un ristorante di categoria abbastanza elevata, nel quale si servivano cibi di buona qualità a prezzi ragionevoli, in un ambiente moderatamente lussuoso, con pannelli di legno alle pareti e comode poltrone. Qui i clienti erano più soddisfatti di quelli che Laura aveva avuto occasione di servire in altri locali.
Anche se l’atmosfera fosse stata diversa e i clienti meno gentili, non avrebbe lasciato il lavoro; aveva bisogno di denaro. In occasione del suo diciottesimo compleanno, quattro anni prima, aveva appreso che suo padre aveva stabilito un fondo fiduciario, costituito dal patrimonio liquidato dopo la sua morte, e che quel fondo non era stato utilizzato dallo Stato per pagare il suo mantenimento all’istituto McIlroy e all’istituto Caswell. Raggiunti i diciotto anni era entrata in possesso di quel fondo, che le era servito per il suo mantenimento e per pagare le spese dell’università. Suo padre non era ricco; c’erano solo dodicimila dollari di interessi maturati, appena sufficienti per quattro anni di affitto, cibo, vestiario e tasse scolastiche, perciò aveva bisogno del suo salario come cameriera.
La sera del 16 gennaio, Laura aveva quasi terminato il suo turno all’ Hamlet quando il gestore accompagnò un’anziana coppia, sulla sessantina, a uno dei séparé assegnati a Laura. Chiesero due birre, mentre studiavano il menu. Qualche minuto dopo, quando Laura fece ritorno recando sul vassoio le birre e due caraffe ghiacciate, sul loro tavolo vide un rospo di ceramica. Per la sorpresa quasi rovesciò il vassoio. Guardò l’uomo e la donna e vide che le stavano sorridendo, ma non dicevano nulla. Così Laura esclamò: «Siete voi che mi avete regalato i rospi? Ma se non vi conosco neppure!»
L’uomo replicò: «Oh, ne ha ricevuti altri?»
«Questo è il quarto. Non l’avete portato per me, non è vero? In effetti non c’era qualche minuto fa. Chi l’ha messo sul tavolo?»
L’uomo fece un cenno d’intesa alla moglie, che disse a Laura: «Ha un ammiratore segreto, cara».
«Chi?»
«Un giovanotto che era seduto a quel tavolo là in fondo», rispose l’uomo, indicando la sezione in cui serviva una cameriera di nome Amy Heppleman. Il tavolo ora era vuoto; l’inserviente aveva appena finito di portare via i piatti sporchi. «Appena si è allontanata per andare a prendere le nostre birre, il giovanotto si è avvicinato e ci ha chiesto se poteva lasciare questo per lei.»
Era un rospo, vestito come Babbo Natale, ma senza barba, e sulle spalle portava un sacco pieno di giocattoli.
La donna chiese: «Veramente non sa chi è?»
«No. Che aspetto ha?»
«Alto», rispose l’uomo. «Abbastanza alto e robusto. Capelli castani.»
«Anche gli occhi sono castani», aggiunse sua moglie.
«E ha una voce dolce.»
Rigirando il rospo fra le mani, Laura disse: «C’è qualcosa in tutta questa faccenda… qualcosa che mi rende inquieta».
«Inquieta?» ripetè la donna. «Ma è solo un giovanotto che è innamorato di lei, cara.»
«Davvero?» chiese Laura in tono pensoso.
Trovò Amy Heppleman dietro il bancone dove si preparavano le insalate e riuscì a ottenere una descrizione più dettagliata dello sconosciuto.
«Ha ordinato una frittata ai funghi, pane tostato integrale e una Coca-Cola», spiegò Amy, mentre riempiva due piatti di insalata servendosi di un paio di pinze. «Non l’hai visto quando si è seduto lì?»
«No, non l’ho notato.»
«Un ragazzone. Jeans, camicia azzurra a scacchi. I capelli tagliati forse un po’ troppo corti. Un tipo attraente comunque, se piace il genere orso. Di poche parole. Mi è sembrato abbastanza timido.»
«Ha pagato con una carta di credito?»
«No. In contanti.»
«Dannazione», esclamò Laura.
Si portò il rospo a casa e lo mise accanto agli altri.
Il mattino seguente, lunedì, mentre lasciava l’appartamento trovò un’altra scatola bianca davanti alla porta. L’aprì con riluttanza. Conteneva un rospo in vetro.
Quando Laura tornò dall’università, quello stesso pomeriggio, trovò Julie Ishimina seduta in tinello a leggere il giornale sorseggiando una tazza di tè. «Ne hai ricevuto un altro», disse, indicando una scatola sul bancone della cucina. «Arrivato con la posta.»
Laura aprì il pacchetto lacerandone l’elaborata confezione. Il sesto rospo in realtà erano due: una saliera e una pepiera.
Mise i nuovi arrivati accanto agli altri, sul suo comodino, e per un po’ rimase seduta sul bordo del letto a guardare con aria accigliata la strana collezione.
Alle cinque del pomeriggio chiamò Thelma Ackerson a Los Angeles e le raccontò dei rospi.
Thelma, al contrario di Laura, non poteva permettersi l’università ma, come lei stessa affermava, non era una tragedia perché in fondo non le interessava proseguire gli studi. Terminate le scuole superiori era andata direttamente a Los Angeles, con la ferma intenzione di sfondare nel mondo dello spettacolo come attrice comica.
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