«Ruth», la corresse Thelma, «lui non ha una coscienza.»
«Ma tutti ce l’hanno, anche i peggiori fra noi. Così ci ha fatti il Signore.»
«Shane», la mise in guardia Thelma, «preparati ad assistermi in un esorcismo. La nostra Ruth è ancora una volta posseduta da quello spirito cretino di Gidget.»
In un insolito impeto di generosità, la signora Bowmaine trasferì Tammy e Rebecca in un’altra stanza e consentì a Laura di sistemarsi con Ruth e Thelma. Per il momento il quarto letto rimase vacante.
«Sarà il letto di Paul McCartney», propose Thelma mentre con Ruth aiutava Laura a sistemarsi. «Tutte le volte che i Beatles saranno in città, Paul potrà venire qui e usarlo. E io userò Paul!»
«A volte», la rimproverò Ruth, «sei veramente imbarazzante.»
«Ehi, sto solo esprimendo un sano desiderio sessuale.»
«Ma Thelma, hai soltanto dodici anni!» la riprese Ruth in tono esasperato.
«Quasi tredici, prego. Da un giorno all’altro possono venirmi le mestruazioni. Ci sveglieremo un bel mattino e ci sarà tanto sangue in questa stanza che sembrerà che ci sia stato un massacro.»
« Thelma! »
Sheener non si presentò neppure il giovedì. I suoi giorni di riposo, quella settimana, erano venerdì e sabato, perciò il sabato sera Laura e le gemelle cominciarono a fare delle congetture sul fatto che l’Anguilla non si sarebbe più fatto vedere, che probabilmente era stato investito da un camion, oppure che aveva contratto il beriberi.
Ma la domenica mattina Sheener era di nuovo al suo posto. Aveva gli occhi neri, l’orecchio destro bendato, il labbro superiore gonfio, una lunga ferita gli segnava la guancia sinistra e gli mancavano due denti davanti.
«Forse è stato colpito da un camion», sussurrò Ruth mentre procedevano lungo il bancone del self-service.
Anche altri bambini stavano commentando lo stato di Sheener, e alcuni ridacchiavano. Ma dato che tutti provavano paura o disprezzo, nessuno si preoccupò di chiedergli che cosa gli fosse successo.
Laura, Ruth e Thelma si fecero silenziose e più si avvicinavano a lui, più appariva malconcio. Dovevano essere già trascorsi un paio di giorni, ma gli occhi erano ancora tumefatti; all’inizio dovevano essere stati così gonfi da non riuscire nemmeno ad aprirli. Il labbro era pieno di profonde escoriazioni. In quelle parti del volto che non presentavano lividi o abrasioni, la pelle, solitamente bianca come il latte aveva uno strano colore grigiastro. Sotto la massa di capelli rossicci, la sua figura era ridicola: sembrava un clown che fosse rotolato giù da una rampa di scale senza sapere bene come atterrare.
Non guardò in faccia nessuno dei bambini che stava servendo, ma tenne gli occhi fissi sui cartoni del latte e sulle paste. Sembrò agitarsi all’arrivo di Laura, ma non alzò lo sguardo.
Giunte al loro tavolo, Laura e le gemelle sistemarono le sedie in modo tale da poter osservare l’Anguilla. Solo un’ora prima non avrebbero mai previsto un simile capovolgimento della situazione. In quelle condizioni appariva quasi più indifeso che temibile. Invece di evitarlo, passarono la giornata a seguirlo mentre svolgeva i suoi lavori, cercando di avere l’aria di capitare proprio per caso dove si trovava lui e osservandolo furtivamente. Fu presto chiaro che era conscio della presenza di Laura, ma che evitava in tutti i modi di guardarla. Con gli altri bambini si comportava in modo diverso, anzi, in un’occasione si era addirittura fermato un attimo nella sala dei giochi a parlare con Tammy Hinsen, mentre sembrava temere lo sguardo di Laura.
Sul finire della mattinata Ruth dichiarò: «Laura, ha paura di te».
«È proprio vero», confermò Thelma. «Non sarai per caso stata tu a ridurlo così, Shane? Non ci avrai nascosto il fatto che sei cintura nera di karaté?»
«È veramente strano, vero? Perché ha paura di me?»
Ma lei lo sapeva. Il suo Custode. Anche se aveva pensato che avrebbe dovuto affrontare Sheener da sola, il suo Custode era intervenuto ancora una volta, avvertendo Sheener di starle alla larga.
Non era ben sicura del perché fosse così riluttante a rivelare la storia del suo misterioso Custode alle Ackerson. In fondo erano le sue migliori amiche, si fidava di loro, ma sentiva che il segreto del suo Custode doveva rimanere tale, che quel poco che sapeva di lui era sacro e che non aveva nessun diritto di parlare di lui ad altre persone, facendone un argomento di pettegolezzo.
Nelle due settimane che seguirono, i lividi di Sheener si fecero sempre meno evidenti e quando si tolse la benda dall’orecchio si scoprì una profonda sutura che era stata praticata su un lembo di cartilagine che era stato quasi staccato. Continuava a mantenere le distanze da Laura e quando la serviva nella sala da pranzo non serbava più per lei i dolci migliori e continuava a rifiutarsi di incontrare il suo sguardo.
Tuttavia le lanciava qualche occhiata furtiva, ma, colto sul fatto, si voltava rapidamente, evitando il suo sguardo. Quegli occhi verdi non tradivano più desiderio animalesco, ma collera. Accusava lei dell’accaduto.
Venerdì, 27 ottobre, Laura apprese che il giorno seguente sarebbe stata trasferita in un’altra famiglia. Era una coppia di Newport Beach, il signore e la signora Dockweiler, ansiosi di averla con loro.
«Sono sicura che questa sarà una sistemazione più compatibile con la tua personalità», si augurò la signora Bowmaine, in piedi accanto alla scrivania. «Farai bene a comportarti meglio di quanto tu non abbia fatto in casa Teagel.»
Quella notte, nella loro stanza, Laura e le gemelle cercarono di farsi coraggio e di affrontare l’imminente separazione con lo stesso spirito sereno con cui avevano affrontato il primo distacco. Ma il loro legame nel frattempo si era fatto ancora più saldo, tanto che Ruth e Thelma avevano cominciato a parlare di Laura come se fosse una sorella. Una volta Thelma aveva detto: «Le sorprendenti sorelle Ackerson, Ruth, Laura e moi ». E Laura si era sentita desiderata, amata e viva.
«Vi voglio un mondo di bene», ammise Laura e Ruth singhiozzò: «Oh, Laura!» e scoppiò in lacrime.
Thelma corrugò la fronte. «Sarai indietro in men che non si dica. Questi Dockweiler devono essere persone orrende. Ti faranno dormire nel box!»
«Lo spero», ribattè Laura.
«Ti picchieranno con dei tubi di gomma…»
«Tanto di guadagnato.»
Questa volta il lampo che era venuto a colpire la sua vita era positivo, o perlomeno così parve all’inizio.
I Dockweiler vivevano in un’enorme casa in un ricco quartiere di Newport Beach. Laura aveva la sua stanza, che guardava sull’oceano. Il colore dominante era il beige.
Nel mostrarle la stanza, Carl Dockweiler spiegò: «Non sapevamo quali fossero i tuoi colori preferiti, perciò l’abbiamo lasciata così. Ma possiamo ridipingerla tutta come preferisci tu». Era un uomo sulla quarantina, grosso come un orso, con spalle enormi e una grande faccia paffuta, che le ricordava John Wayne, se John Wayne avesse avuto un aspetto divertente! «Forse una ragazzina della tua età preferisce una stanza tutta rosa.»
«Oh, no, mi piace com’è!» si affrettò a rispondere Laura. Ancora stupita per l’ambiente e la ricchezza che la circondava, si mosse verso la finestra e ammirò lo splendido panorama del porto di Newport, dove gli yacht dondolavano dolcemente sull’acqua che scintillava sotto i raggi del sole.
Nina Dockweiler raggiunse Laura e le posò una mano sulla spalla. Era una donna adorabile, con capelli scuri e occhi viola, una donna che ricordava le bambole di porcellana. «Laura, ci hanno detto che ami i libri, ma non sapevamo quale genere preferissi, perciò adesso facciamo un salto in libreria, così potrai scegliere quello che desideri.»
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