Andrew Klavan - Shadowman

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Shadowman: краткое содержание, описание и аннотация

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Un investigatore romantico, arguto e profondo conoscitore dell’animo umano; un motociclista e pilota, cinico e testardo, che non esita a menare le mani, e infine un giovane apprendista detective, idealista e sognatore. Sono questi i tre eroi della Weiss Investigations, un’agenzia che, sullo sfondo mutevole di San Francisco, si trova coinvolta in una fitta trama di casi che alla fine convergono in un unico grande complotto. Sembra, infatti, che dietro a tutti i delitti, gli attentati e le trame criminali ci sia un killer che nessuno ha il coraggio di nominare.
, l’uomo ombra, и una realtа o soltanto un nome, dato per spaventare poliziotti e delinquenti? И un astuto criminale o solo un fantomatico personaggio inventato per archiviare i troppi delitti irrisolti? Ma la presenza di
и reale, presente in ogni tassello di un complesso mosaico di azioni criminali finalizzate a un piano che lui solo conosce. E che solo gli agenti della Weiss Investigations sapranno svelare…
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«Paura…?»

Scosse la testa per esprimere tutti i suoi dubbi, poi però aggiunse: «Be’, c’è quel tizio che chiamano Shadowman…» e trangugiò il suo scotch.

A questo punto devo dire che, nella mia posizione di aspirante scrittore, non mi sentivo solo un tuttofare dell’Agenzia. Mi piaceva pensare a me stesso come a uno che si informava, che, senza farsi notare, ascoltava e osservava. Avevo quindi già sentito parlare di questo uomo ombra, di questo Shadowman. Il suo nome veniva sempre scandito lentamente, in modo melodrammatico e misterioso. Mi era parso di capire che fosse legato a un qualche vecchio caso di cui Weiss si era occupato quando era ancora nella polizia. Più precisamente, sembrava che la ragione per cui Weiss aveva deciso di licenziarsi fosse connessa con quegli avvenimenti. Non avevo mai avuto il fegato di chiederlo a lui direttamente. Ero giovane e, per dirla tutta, l’esperienza e la serietà di Weiss mi mettevano in soggezione. Quella sera però era stato lui a parlarne e, apparentemente, mi aveva fatto entrare per chiarire a se stesso, chiacchierando con me, alcuni dubbi che lo tormentavano.

Così mi feci coraggio e con un tono per quanto possibile disinvolto gli chiesi: «E chi mai sarebbe questo Shadowman?»

Weiss si appoggiò allo schienale e si spinse indietro. «Be’», disse, «dipende dalla persona a cui lo chiedi.» Fece un gesto nell’aria per esprimere la vasta gamma di risposte. «Secondo i poliziotti — quanto meno la maggior parte di loro — è una montatura. Non una persona reale, ma l’insieme di tanti pezzi montati ad arte da un giornalista. Insomma, un’invenzione della fantasia.»

Annuii sorseggiando lo scotch e pensando. «Come il tipo che avrebbe ucciso Wally Spender?»

Weiss alzò e abbassò il mento, il che in genere significava che stava per scoppiare a ridere. Pensai che, almeno, ero riuscito a divertirlo. «Proprio così, come quel tipo che ha ucciso Spender, solo che questo… ti ricordi quel caso, il massacro di South Bay?»

Non me ne ricordavo, in parte perché quando era accaduto ero ancora sulla costa orientale e in parte perché a quel tempo ero un bambino. Ma in Agenzia ne avevo sentito parlare, più che altro sotto forma di pettegolezzo da corridoio. «Più o meno», dissi. «Si trattava di immigrati clandestini morti affogati.»

«Morirono in otto, otto bambini.» Weiss non rialzò il mento, lo sguardo fisso sulla scrivania. «Non annegarono, furono uccisi con due colpi alla testa per ciascuno. I corpi furono gettati in acqua e portati via dalla corrente. Poi un giorno, una donna che portava il cane a passeggio lungo China Beach li vide galleggiare a qualche metro dalla riva.»

Mi lasciai sfuggire un fischio leggero. «Santo cielo, ma chi erano?»

«Solo bambini tailandesi. Si è pensato che li stessero portando qui per venderli… sai, come schiavi, sfruttamento sessuale, chi lo sa. Comunque, sembra che qualcosa sia andato storto e che il venditore abbia avuto la necessità di sbarazzarsi delle prove. La più grande poteva avere undici anni. Probabilmente hanno ucciso lei per prima, mentre i più piccoli guardavano e aspettavano il loro turno.»

Non dissi niente, ma provai un brivido lungo la schiena. Mi sembrò di vederli, spauriti, indifesi, che aspettavano la morte, la linea dell’orizzonte appena illuminata dal sole e i loro piccoli corpi sbattuti avanti e indietro dalle onde. Il solo pensiero metteva i brividi, soprattutto in quel momento, mentre mi trovavo da solo con Weiss, nel suo ufficio. L’Agenzia intorno a noi era vuota e silenziosa, avvolta nell’oscurità. I grattacieli al di là dei vetri formavano scacchiere di luci e ombre, le grandi nubi illuminate dalla luna passavano nel vento e il rumore del traffico ci arrivava attutito, con i clacson, i motori, i tram… Mi sembrava che il mondo là fuori fosse caotico e pericoloso, che l’Agenzia fosse un’isola felice di calore e sicurezza, che i corpi di quei bambini appartenessero a un racconto dell’orrore narrato intorno al fuoco in una serata di tempesta.

«Non avevamo alcuna traccia», proseguì a un tratto Weiss. «I giornalisti ci bersagliavano, ma noi non potevamo farci niente. Non un indizio, un segnale per poter identificare quei corpi. Solo un testimone. Un pescatore cinese che disse di aver visto una barca ancorata al largo di South Bay la notte precedente. Aveva anche notato un uomo che si muoveva sul ponte, ma alla luce della luna si era trattato per lo più di un’ombra. E su questo la stampa ha ricamato: l’ombra di un uomo, l’uomo ombra… Shadowman.» Weiss sembrò scacciare i pensieri con la mano. «Sai come sono i giornalisti. Un caso come questo, un massacro del genere, con dei bambini di mezzo… una di quelle storie che fanno gola, che danno materiale per mesi. Iniziarono a fare congetture su Shadowman: era un sicario, uno specialista? Poi ci fu l’articolo di quel Jeff Bloom, per l’edizione domenicale del Chronicle. Disse di avere una fonte che non poteva rivelare e fece lo scoop. Secondo lui Shadowman era responsabile di almeno metà degli omicidi rimasti irrisolti negli stati della costa ovest. ‘Una imprendibile Macchina della Morte’, così lo definì. Le vittime non avevano scampo: anche se nascoste, anche se inserite nel programma di protezione, anche se, per assurdo, fossero state rinchiuse a Fort Knox, lui le avrebbe trovate. Anche i delinquenti più incalliti lo temevano. Almeno fu questo che Bloom scrisse.»

Mi voltai per l’improvviso rumore dei vetri, colpiti da una folata di vento. «Incredibile», dissi con un filo di voce.

«La polizia ancora oggi sostiene che si tratta di una montatura, di fantasie, ma in ogni caso…» Si interruppe stringendosi nelle spalle.

«In ogni caso, qualcuno ha ucciso quei bambini», conclusi io.

«È proprio questo il punto», disse infine. «Quello che rende tutto così difficile: alla fine, uno Shadowman c’è stato, anche se in realtà non esisteva.»

Esitai un attimo a replicare. Ero sempre molto cauto nel parlare quando ero nell’Agenzia, perché non volevo sembrare troppo colto, snob o supponente. Non ero più al college e volevo inserirmi in quell’ambiente. Ma in quel momento, forse per l’atmosfera o la situazione, mi sorpresi a fare della filosofia.

«In effetti, la condizione dell’essere umano non è necessariamente legata alla razionalità», azzardai. «Alcune cose esistono pur non essendo reali.»

Weiss si lasciò sfuggire una sonora risata. «Che cosa diavolo significa questo?» Mi accorsi subito di aver commesso un errore. «Che vuol dire, che se anche mi giro, il tavolo non scompare? È questo che vi insegnano a Berkeley?»

Sentii le guance avvampare. «Cercavo solo di dire…»

«Che cosa dobbiamo fumarci per capire?»

«Intendevo solo che… le cose esistono in parte anche attraverso la nostra percezione… È una sorta di interfaccia.»

«Un’interfaccia? Tu sei un’interfaccia? ‘Pur non essendo reali.’ Ma fammi il piacere.» Rise ancora più sonoramente. «E io sono il re di Romania.»

Quella sera passai una buona mezz’ora a sbattere la testa contro il muro del mio appartamento, per punirmi di essermi comportato come un saccente buffone con Weiss. Ero certo che la storiella del mio intervento pseudofilosofico avrebbe fatto il giro dell’Agenzia fin dal mattino successivo, e che sarebbe stata fonte di grandi risate. Ciò mi feriva, perché volevo a tutti i costi cercare di far parte di quel gruppo.

Allora, ai miei occhi loro erano figure di riferimento, soprattutto Weiss e Bishop. Nella mia giovane mente, erano dei grandi: uomini che quotidianamente toccavano con mano il male, sfioravano la morte e rimanevano retti, e sapevano come funzionava il mondo. Certi giorni arrivavo a parlare come l’uno o l’altro di loro, a camminare o a vestirmi come lui, per mettermi alla prova. In ogni caso, pensavo spesso a loro, a come fossero veramente.

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