«Certo. Hanno arrestato il responsabile di recente… Oh.»
«Esatto. Pomeroy gli aveva fornito una nuova identità. E un mese dopo, vengo a sapere che sono sulle tracce di Johnny Guardo.»
«Johnny Guardo!» Weiss emise un debole fischio.
«Proprio lui.»
«Ma che cosa intende fare? Vuole consegnarli uno alla volta?»
«Uno alla volta, e molto lentamente», disse Ketchum. «Secondo i federali potrebbe andare avanti per anni.»
«Ma in cambio di che cosa? Che cosa vuole?» chiese Weiss. «Una riduzione della pena?»
«Esattamente il contrario. Vuole anche le aggravanti, le adora, non può fare a meno di quel cazzo di aggravanti. Tutto quello che gli preme è di restare rinchiuso almeno fino al secondo avvento del messia. Insomma, vuole essere protetto restando rinchiuso. Se si potesse scavare un pozzo fino al centro della terra, vi si infilerebbe volentieri.»
Weiss era sempre più perplesso. «Tutto ciò non ha senso. Potrebbe ottenere una nuova identità con il programma di protezione, quello vero, intendo.»
«Non gli basta. Vuole essere chiuso nella più dimenticata delle prigioni, con tanto di sorveglianza e guardie.»
«Andiamo. È da pazzi.»
«Ed è quello che ti ho detto: è matto. A furia di succhiare cazzi ti bruci il cervello.»
«No, no, no. Per stare rinchiuso quando potrebbe rifarsi una vita, deve essere terrorizzato. Ci dev’essere qualcosa che lo spaventa a morte. O qualcuno. Ma chi, Godzilla?»
Weiss aveva parlato in modo pacato, ma Ketchum disse: «Merda. Sapevo che ti saresti subito agitato».
«Non sono agitato.»
«Sì che lo sei, Weiss.»
«Dannazione, non sono agitato.»
«Lo sei, solo che non lo sai ancora.»
Weiss sbuffò. «Perché, c’è dell’altro? Di che cosa ha paura Whip? Di chi diavolo ha paura?»
Ketchum strinse gli occhi a fessura prima di rispondere. «Ha paura di Shadowman», disse.
Era dolce possederla nel buio dell’estate. Gli piaceva toccare quei seni pesanti. Gli piaceva come la bocca di lei lo cercava avidamente e le dita forti gli si aggrappavano alle spalle, alla schiena. Si sollevò sulle braccia e abbassò lo sguardo sul suo ventre, sulle massicce cosce aperte per accoglierlo. Era bello stare dentro di lei e sentire i suoi gemiti brevi, soffocati.
Alla fine si strinsero forte, un respiro trattenuto all’unisono. Poi lui rimase disteso sopra di lei, ad ascoltare il suo respiro. Sentiva quel corpo alzarsi e abbassarsi sotto il suo. Minuto dopo minuto, era una bella sensazione.
Quando Bishop scivolò al suo fianco, Kathleen si accoccolò sotto il suo braccio, giocando con i peli del petto senza dir nulla. Riposarono insieme nel buio, il ronzio del condizionatore che escludeva i suoni del mondo esterno. La stanza sembrava un’isola di silenzio in mezzo al mormorio del mare. Bishop cominciò a sentirsi come quando volava o andava in moto: lucido e rilassato, non più contratto, teso e pieno di preoccupazioni. Baciò piano i capelli di Kathleen. Gli piaceva una donna che riusciva a star zitta per un po’.
Passarono dieci minuti. Poi Kathleen si mosse al suo fianco. «Ehi», disse, «posso parlarti di una cosa?»
Bishop inspirò profondamente attraverso le narici, poi lasciò sfuggire lentamente l’aria dalle labbra. Si tornava al lavoro. «Certo.»
«Be’, ecco… forse sto diventando paranoica, ma…» Alzò il viso verso di lui, che le baciò la fronte. «Comincio ad avere paura.»
«Perché? C’entra Chris?»
Aveva ancora le labbra sulla fronte di lei, e sentì che annuiva. Avvertì, il suo respiro tiepido mentre sospirava e diceva: «Penso che qualcuno lo stia seguendo».
Bishop si sforzò di non variare il ritmo del respiro per non farle percepire il suo interesse. Finalmente qualcosa di concreto, forse di importante. «Davvero?» mormorò.
«Sono due o tre giorni che di notte c’è una macchina posteggiata fuori da casa nostra. Una macchina nera, elegante, credo sia una BMW. L’ho notata solo perché non è il genere di auto che potrebbe avere la gente di qui. Tutte le volte che Chris è a casa, guardo fuori e… quel bastardo è là. Quando lui non c’è, anche l’auto scompare. Forse sto impazzendo. Pensi che mi stia preoccupando per niente?»
Le labbra di Bishop si mossero sulla pelle calda di Kathleen. «Non saprei», le disse, mentendo. «Ne hai parlato con Chris?»
«No, maledizione. Non voglio creargli altre preoccupazioni. Ultimamente è già nervoso, perde facilmente il controllo. Non esce quasi più e si aggira per casa come un animale in gabbia. Questa è anche la ragione per cui faccio tanta fatica a venire da te. A meno che non abbia un volo notturno, è sempre qui attorno.»
Bishop la abbracciò, massaggiandole la schiena e guardando il buio al di là della sua testa, mentre rifletteva. «Non va più a bere al Clover Leaf?» chiese.
«Negli ultimi tempi no, ma vorrei proprio che ricominciasse. Sta sul divano a monopolizzare la TV con il baseball, e mi chiede continuamente di portargli una birra.» Si staccò da lui e, sdraiata sulla schiena, osservò le ombre del soffitto. «Brontola come una pentola in ebollizione; questa costrizione rischia di farlo esplodere.» Sorrise. «Be’, meglio così: sono sicura che non resisterà a lungo senza andare al Clover Leaf.»
Anche Bishop ne era sicuro e si appoggiò su un gomito, accarezzandole i capelli con l’altro braccio. Poteva essere la sua occasione.
«Come vorrei non pensare più a queste stronzate», disse Kathleen in un soffio. «Il punto è che con Chris non è più vita. Ci divertivamo molto i primi tempi, prima che fosse espulso dall’esercito… Ridevamo moltissimo, praticamente facevamo solo quello.»
Era Hirschorn, Bishop ne era sicuro. Stava facendo seguire Chris per essere sicuro che non mandasse tutto all’aria, che non si mettesse a parlare in giro come già era capitato, rivelando i loro piani. Hirschorn aveva minacciato Chris quel giorno al posteggio, ordinandogli di rimanere a casa, di non bere, di non fare il fesso fino alla fine dell’operazione. Chris sapeva di doversi controllare, ma Kathleen aveva ragione: non ci sarebbe riuscito ancora a lungo.
«Vorrei che questo non finisse mai», stava dicendo Kathleen. «Sai cosa voglio dire. Noi due qui sdraiati a parlare, senza complicazioni, senza grane. Sai cosa intendo.»
Bishop giocò con una ciocca dei capelli castani di Kathleen. Stava pensando che Chris avrebbe ceduto presto. Era questione di un paio di giorni e sarebbe tornato al bar a vantarsi, a parlare troppo, a creare casino, e i mastini di Hirschorn lo avrebbero visto. Se lui fosse stato presente, avrebbe potuto gettare benzina sul fuoco, dare una spintarella a Chris, far arrivare a Hirschorn il messaggio che aveva scelto il pilota sbagliato, che lui era l’uomo adatto all’operazione.
A quel pensiero, Bishop avvertì una sensazione nuova nel petto, qualcosa di freddo e fastidioso.
«Sai che cosa voglio dire, Frank?» riprese Kathleen, dandogli una carezza. «Ci hai mai pensato? Hai mai pensato che questo potesse durare?»
La mano di Kathleen sul volto scosse Bishop, che si ricordò di essere lì con lei. Che cosa stava dicendo? Non aveva proprio ascoltato. Sviò l’attenzione prendendole le mani e baciandogliele, cercando di ricordarsi di che cosa stessero parlando. Poi capì.
«Certo», rispose. «Certo, lo vorrei anch’io. Ma lo sai anche tu, Chris rimane tuo marito.»
Kathleen gli mise una mano sulla nuca e lo attirò a sé. «Ma forse non m’importa», disse in un sussurro. «Potrebbe non importarmi più niente di lui.»
La baciò sulla guancia. «Hai detto che ci avrebbe ucciso.»
«Non me ne importa più niente. Non ho paura di lui e di quello che può fare.» Gli fece scorrere le dita lungo la schiena. «Tu non hai paura di lui, vero Frank?»
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