Michael Palmer - Sindrome atipica

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Sindrome atipica: краткое содержание, описание и аннотация

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Il dottor Rutledge ha la certezza che ci sia qualcosa di sospetto nelle morti dei suoi pazienti. Troppe banali influenze degenerate in incomprensibili complicanze non hanno lasciato scampo ai malati. L’uomo nutre un sospetto: che nell’evoluzione fatale delle malattie sia coinvolto il giacimento di carbone, la cui aria nera copre il cielo della sua città, nel West Virginia. Ma presto il dottore capisce che le sue indagini lo stanno portando a scoprire segreti molto più pericolosi di quanto potesse immaginare.

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«Mi hanno ingannato… quei bastardi…»

Nikki gli sollevò leggermente la testa e gli tolse ancora un po’ di polvere dal viso. Lui reagì al suo tocco. Smise di muovere la testa e la fissò.

«Sid, che lavoro fa? Chi l’ha ingannata?»

«Lei è… veramente un medico?»

«Sì.»

«Le mie gambe… credo di non sentirle più.»

Matt esaminò entrambe le gambe dell’uomo, quindi fissò Nikki e scrollò la testa cupamente.

«La visiteremo e faremo tutto ciò che possiamo», lo rassicurò Nikki.

«Co… cosa è successo?»

«C’è stata un’esplosione, siamo in una caverna dove depositavano sostanze chimiche. Le entrate sono bloccate. Chiunque abbia fatto questo voleva ucciderci, ma il soffitto non è crollato. E così siamo qui. Abbiamo solo questa torcia elettrica, che possiamo accendere di tanto in tanto. Mi capisce?»

«Ci sono… un sacco di torce… Grandi.»

«Cosa?» esclamarono all’unisono Nikki e Matt.

«L’armadio dall’altra parte del… fiume. Guanti, torce elettriche, maschere antigas, cassette del pronto soccorso, attrezzi.»

Sid cominciò a tossire in modo spasmodico. Nikki lo sollevò e lo appoggiò contro il suo ginocchio, badando a non muovere la zona attorno alla vertebre del basso torace, dove pareva che la spina dorsale fosse schiacciata o recisa.

«Chi è lei?» domandò Nikki.

«Io qui… faccio il guardiano. Tommy… Dov’è Tommy?»

Nikki lanciò un’occhiata verso la parte inferiore del corpo che sporgeva da sotto una tonnellata di pietre. Sid seguì il suo sguardo.

«Oh, merda! Oh, no! Bastardi bugiardi. Figli di buona donna. Aveva un figlio piccolino.»

«L’hanno ingannata quelli della miniera?» chiese ansioso Matt.

«No», rispose Sid. «È stato Grimes… quel fottuto Grimes, e altri tipi.»

«Per che cosa l’hanno pagata?»

«Per guardare dall’altra… parte, mentre lavoravano qui dentro. Credevo che stessero semplicemente… seppellendo tutto a causa di quei due che erano stati qui la settimana scorsa… Nessuno ha detto niente a proposito della presenza di qualcuno qui, mentre esplodeva… specialmente non la nostra presenza… Ci hanno iniettato qualcosa per farci svenire e ci hanno lasciati qui a… Dottore, le mie gambe. Deve aiutarmi.»

Lì vicino, la ragazza e Colin Morrissey cominciarono a lamentarsi ad alta voce.

«Qualsiasi cosa abbiano usato, sta svanendo», disse Nikki. «Matt, dobbiamo controllare quell’armadio.»

«Non lasciatemi», gridò Sid. «Non riesco a muovere le gambe.»

«Torneremo.»

Nikki lo adagiò a terra e prese Matt sottobraccio mentre aggiravano il cumulo di bidoni, molti dei quali avevano versato il loro contenuto oleoso sul pavimento in pietra. Tanti, comunque, soprattutto quelli alla base della piramide, erano intatti.

«Secondo te, come mai Grimes li ha messi al tappeto con un’iniezione invece che con una pallottola in testa?» chiese Nikki.

«Penso che volesse proteggersi nel caso qualcuno avesse scavato qui dentro e ci avesse trovati. Non ci sarebbe stata alcuna prova che eravamo stati tutti uccisi. Un gruppo che visitava la miniera, forse, o degli ambientalisti tanto sfortunati da trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Diavolo, le miniere e le esplosioni sono come la festa del Ringraziamento e il tacchino, specialmente questa miniera.»

Il fiume, largo tre metri, scorreva a circa trenta centimetri sotto il pavimento della caverna, dalla loro sinistra verso destra con una discreta corrente. L’attraversavano due piatti ponti con rustici parapetti in legno, ma uno era stato distrutto da parecchi massi di pietra. Il fiume superava l’ostruzione a fatica e l’acqua dietro la diga aveva iniziato a lambire il pavimento della caverna. Il secondo ponte sembrava transitabile.

«Se questo posto comincia a riempirsi d’acqua», osservò Matt, «cosa pensi succederà prima? Soffocheremo o annegheremo?»

«Troveremo una via d’uscita, dottor Rutledge», rispose lei con tono fermo. «Ogni altro ragionamento negativo da parte sua verrà affrontato con la massima severità.»

«Allora ti ripropongo la domanda in altro modo: pensi sia meglio concentrare le nostre energie e usare l’ossigeno per uscire di qui o per stabilizzare le condizioni dei feriti?»

«Saresti capace di ignorarli?»

«Probabilmente no.»

«Perché hai posto questa domanda, allora?»

«Speravo che tu mi avresti convinto a farlo.»

L’armadio, in plastica dura e grigia, era dove aveva detto Sid. Fissato alla parete rocciosa, era alto più di due metri e altrettanto largo e profondo una cinquantina di centimetri. Conteneva quattro potenti lanterne a batterie, tre maschere antigas, mascherine chirurgiche, ogni genere di attrezzi, corde, nastro da idraulico, una tuta contro l’esposizione a sostanze chimiche e una grande e ben fornita cassetta di pronto soccorso.

«Si comincia», disse Matt, infilandosi sul viso una mascherina e porgendone un’altra a Nikki. «Sei pronta a giocare al dottore?»

«Pronta.»

Provarono le lanterne, tutte funzionanti, e le portarono via assieme alla cassetta del pronto soccorso. Ora poterono capire meglio lo stato della grotta. Le due entrate, a circa trenta metri di distanza una dall’altra, erano completamente bloccate da un enorme ammasso di detriti. La maggior parte dei bidoni pieni di rifiuti tossici, sebbene non più impilati a piramide, era ancora nel centro della caverna. Il soffitto, otto metri sopra di loro, reggeva e lasciava loro una bella quantità d’aria, anche se pesantemente contaminata dalle esalazioni.

«Chissà cosa sta facendo ai nostri polmoni questa roba», disse Matt.

«Forse, in questo momento, non è di questo che dobbiamo preoccuparci maggiormente. Da dove vuoi iniziare?»

«Il trauma alla gola di Colin Morrissey mi sembra un potenziale problema, ma prima assicuriamoci che non ci siano altre persone in giro, e continuiamo a cercare Hal, Vinny e Fred. Poi spostiamo tutti in una sola zona, vediamo chi è il più grave e facciamo tutto ciò che possiamo fare.»

La polvere e i detriti si stavano posando, ma ogni loro passo sollevava pennacchi di polvere. Le grida di dolore erano aumentate e con esse il senso di urgenza. Matt e Nikki posero l’attrezzatura vicino alla ragazza, che stava facendo alcuni movimenti incerti. Poi, ognuno con una lanterna in mano, percorsero la caverna alla ricerca di corpi.

«Laggiù!» esclamò Matt dopo solo pochi metri.

Fred Carabetta era disteso bocconi semicosciente, la faccia girata da una parte, bloccato sotto un cumulo di pietre da metà schiena fino ai piedi. Dall’orecchio sinistro colava sangue e ciò che riuscirono a vedere del suo volto assomigliava a quello di un pugile professionista ridotto a mal partito.

«Aiuta… temi… Aiuta… temi», ripeteva gemendo.

«Fred, sono Matt. Mi può sentire?»

«La… sento. Mi… aiuti.»

«Che facciamo, cerchiamo di tirarlo fuori ora o ispezioniamo in giro alla ricerca di altri?» domandò Nikki.

«Abbiamo bisogno di più mani.»

«Matt, non possiamo fare l’impossibile.»

«Cerchiamo allora di liberarlo. Fred, ora le togliamo tutte queste pietre di dosso.»

La pila di sassi che immobilizzava Carabetta era molto più piccola e più facile da spostare di quella che aveva paralizzato la guardia, eppure, dopo avere rimosso una quantità sufficiente di pietre per poterlo liberare, stavano sudando e respiravano a fatica.

Carabetta urlò di dolore quando lo rovesciarono sul fianco. Nikki e Matt sussultarono davanti a ciò che videro. I pantaloni della tuta nera di Carabetta e la camicia erano inzuppati di sangue, la maggior parte del quale usciva da una ferita a destra dell’inguine.

«Con tutte queste pietre, qui non c’è neppure spazio per inginocchiarsi», borbottò Matt. «Proviamo a trasportarlo vicino agli altri e a curarlo là.»

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