«Ce l’hai fatta! Ce l’hai fatta!»
«Lo spero proprio, perché sto per dare il tocco finale.»
Nikki strinse bene il nodo e, un attimo dopo, Matt allentò la compressione che aveva mantenuto durante tutto l’intervento. Dall’incisione e dalla ferita colò ancora un po’ di sangue, ma l’area attorno alla vena lacerata era asciutta. La safena era la vena che veniva di solito utilizzata nei bypass aorto-coronarici. Le vene collaterali sarebbero subentrate per riportare il sangue al cuore. Se Carabetta fosse riuscito a superare questo episodio e a uscire dalla caverna, entrambi due grandi se, tutto quello che gli sarebbe rimasto sarebbe stato, di tanto in tanto, un gonfiore alle caviglie.
«Ben fatto», la lodò Matt. «Riuscire a girare attorno a quella vena senza strapparla in due è stato veramente fantastico.»
In quell’attimo, la respirazione di Colin Morrissey parve farsi ancora più difficile.
«Forse dovremo fargli una tracheotomia», disse Nikki. «Puoi andare a controllarlo di nuovo?»
«Lo farei, ma devo continuare a comprimere la ferita di Fred.»
«Lo farò io», disse una voce accanto a loro. Una donna anziana, malconcia come tutti loro, era strisciata lì da qualche parte della caverna che non avevano ancora ispezionato. «Voi andate a controllare il ragazzo», disse. «Io farò del mio meglio qui. Mi chiamo Ellen Kroft.»
Nikki sapeva che la caviglia era fratturata. Aveva sentito il crac dell’osso che si spezzava e l’esplosione di dolore quando la donna, che Matt chiamava Tarzana, ottanta, ottantacinque chili al minimo, l’aveva aggredita di sorpresa. Ora non poteva fare altro che mordicchiarsi le labbra e fare del suo meglio per sopportare il dolore. Si trovavano in una situazione spaventosa con una riserva d’aria limitata e nessun modo evidente per uscire dalla caverna. L’ultima cosa di cui gli altri avevano bisogno era preoccuparsi per lei.
La nuova arrivata, Ellen Kroft, sostanzialmente illesa, comprimeva la ferita di Fred Carabetta, mentre Matt usava l’orecchio come stetoscopio per auscultare i polmoni di Colin Morrissey.
«Penso stia muovendo sufficiente aria», osservò, «almeno per ora. Anche il suo stato di coma si sta alleggerendo.»
«Speriamo sia sano di mente quando si sveglia.»
«Con la laringe tanto gonfia che è quasi chiusa, non credo che darà grossi problemi. Come va la gamba?»
«Bene», rispose Nikki, forse un po’ troppo velocemente, per cui soggiunse: «Fa un po’ male».
«Pensi di poterci appoggiare su un po’ di peso?»
«Ne… ne dubito.»
«Vi ho osservati lavorare su quest’uomo da laggiù», s’intromise Ellen indicando il buio alla sua destra. «Siete entrambi medici?»
«Io sono Matt Rutledge, un internista di Belinda, e lei è Nikki Solari, di Boston. Patologa.»
«Quante altre persone ci sono qui, oltre a noi?»
«Sa di qualcun altro?»
«No. Per un certo tempo mi hanno tenuta legata, poi mi hanno iniettato qualcosa che mi ha fatto perdere i sensi. Quando ho ripreso conoscenza ero coperta di polvere e pezzi di roccia. Presumo che Grimes mi abbia slegata mentre ero svenuta e che poi abbia fatto esplodere la caverna. È il capo della polizia di qui.»
«Oh, sappiamo chi è. E lei presume la cosa giusta. Oltre a quell’uomo e a noi quattro, vi sono due persone — una donna e una ragazza — con noduli sul viso come questi. Non sembrano gravemente ferite, ma la donna è impazzita. L’abbiamo dovuta legare. La ragazza è ancora priva di sensi.» Matt abbassò la voce. «Vi sono poi due guardie di sicurezza della miniera. Una è morta, l’altra probabilmente è paralizzata.»
«E due uomini che erano con noi sono dispersi», aggiunse Nikki.
«Sapete perché Grimes ha fatto questo?» chiese Ellen.
«Non so perché abbia incluso anche lei», rispose Matt, «ma, come può vedere, la miniera ha illegalmente ammassato qui dentro sostanze chimiche tossiche. Noi stavamo per rivelare l’intera faccenda. E Grimes è legato ai proprietari della miniera.»
Con la malattia letale causata dai prioni di Kathy non adeguatamente spiegata, Nikki non aveva mai ritenuto soddisfacente la tesi di Matt riguardo alla miniera.
«Non per intorbidare le acque», disse, «ma ciò che Matt non ha detto è che alcune persone di questa zona hanno sviluppato una sindrome di orribili noduli facciali e paranoia progressiva. Matt ritiene che abbia a che fare con queste sostanze chimiche. Io non ne sono tanto sicura. Lei ha qualcosa a che fare con la miniera?»
«No. Non ero mai stata qui prima.»
«Allora, perché?»
«Che mi crediate o no, sono venuta qui perché un uomo era entrato in casa mia a Glenside nel Maryland e aveva giurato che avrebbe ucciso mia nipote se io non avessi fatto ciò che voleva. Ero riuscita a scoprire chi poteva essere e il suo indirizzo qui a Tullis, ma prima dovevo dargli un’occhiata per essere sicura che fosse lui. Il capo della polizia avrebbe dovuto aiutarmi e registrare anche una mia dichiarazione, ma non siamo mai arrivati a quel punto.»
«Non capisco», borbottò Matt, girandosi per controllare Morrissey. «Chi era l’uomo per cui è venuta qui?»
«Si chiama Sutcher. Vinyl Sutcher.»
Sbalorditi, Nikki e Matt si fissarono.
«Forse dovrebbe raccontarci qualcosa di più», disse infine Nikki.
Fred Carabetta aveva perso i sensi. Il suo respiro rumoroso e regolare fece da sottofondo al racconto di Ellen: del suo posto nella commissione di studio sull’Omnivax, della promessa politicamente motivata di Lynette Marquand al popolo americano, del suo spaventoso incontro con Vinyl Sutcher e, dei frutti dell’ostinata ricerca di Rudy Peterson della verità dietro gli attacchi di febbre di Lassa. Infine, dopo che ebbe concluso, per un po’ nessuno parlò. Matt chiuse gli occhi mentre guardava nel caleidoscopio dei ricordi, cercando di connettersi a qualcosa… qualcosa che sapeva esserci.
All’improvviso fissò le due donne con un’espressione cupa.
«Il vaccino contro la febbre di Lassa è stato testato qui», affermò.
«Cosa?»
«Non so esattamente quando, penso più o meno nel periodo tra quando me ne sono andato all’università e quando sono tornato per esercitare qui la professione. Una società farmaceutica aveva pagato i medici della valle per ogni paziente che riuscivano a convincere a farsi iniettare il vaccino. Al mio ritorno, un giorno alcuni vecchi dottori si erano messi a scherzare su questa faccenda nella mensa dell’ospedale. Nessuno di loro aveva mai visto un caso di febbre di Lassa e ora, con un gruppo di cittadini immunizzati, nessuno di loro ne avrebbe mai visto uno. Era di questo che stavano ridendo. Un paio di loro neppure conosceva la malattia, anche se avevano convinto alcuni dei loro pazienti e avevano iniettato loro il vaccino. Ricordo che dicevano di aver ricevuto cento dollari per ogni paziente e che alcuni di loro avevano diviso quei soldi con i pazienti. Era una cosa perfettamente legale, per quanto ne so; medici e pazienti pagati per partecipare a protocolli di ricerca o per testare farmaci. Non so, tuttavia, quanti abitanti della valle abbiano ricevuto il vaccino.»
«Quattrocento», asserì Ellen. «Quattrocento persone di ogni età. Ho visto i riepiloghi della sperimentazione su campo, ma non ho mai preso nota di dove fosse stata condotta.»
«Quanti anni fa?» chiese Nikki.
«Non lo so», rispose Matt. «Forse dieci.»
«Oh, mio Dio», esclamò Nikki.
«Che c’è?»
«Matt, non capisci? Prioni. Il periodo di latenza tra l’esposizione al germe e lo sviluppo dei sintomi può essere di dieci anni o più. Ecco da dove deriva la sindrome di Belinda: dal vaccino, non da questi bidoni di veleno! Le cellule di coltura dei tessuti su cui è cresciuto il virus devono essere state contaminate con prioni fin dall’inizio. È probabile che abbiano usato tessuti di scimmie. Se così fosse, forse le scimmie da cui provenivano le cellule erano contaminate.»
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