Michael Palmer - Sindrome atipica

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Sindrome atipica: краткое содержание, описание и аннотация

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Il dottor Rutledge ha la certezza che ci sia qualcosa di sospetto nelle morti dei suoi pazienti. Troppe banali influenze degenerate in incomprensibili complicanze non hanno lasciato scampo ai malati. L’uomo nutre un sospetto: che nell’evoluzione fatale delle malattie sia coinvolto il giacimento di carbone, la cui aria nera copre il cielo della sua città, nel West Virginia. Ma presto il dottore capisce che le sue indagini lo stanno portando a scoprire segreti molto più pericolosi di quanto potesse immaginare.

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«Chi potrebbe trovare una migliore raccomandazione di questa», ridacchiò Matt. «Sai almeno come si chiama?»

«Lo saprò. Ricorda, nipote, non abbiamo assunto quest’uomo per sfrondare il rododendro.»

«Capito.»

I due colpi alla porta furono come due spari, molto più forti di quelli di Carabetta. Hal spalancò la porta e tutti videro un uomo le cui spalle riempivano quasi il vano e la cui testa massiccia toccava quasi l’infisso orizzontale. L’uomo salutò con un cenno della testa ed entrò nella stanza. La sua enorme testa e la faccia piatta e stretta ricordarono a Matt il cattivo di un cartone animato di Dick Tracy. Aveva un grosso livido e una escoriazione in via di guarigione sopra l’occhio destro, e un cerotto quadrato gli copriva una qualche ferita sulla guancia sinistra.

Chissà se l’uomo che ha ammazzato Keller assomiglia a questo, stava pensando Matt.

«Sutcher», si presentò l’uomo. «Vin Sutcher.» Il suo nome faceva rima con butcher , macellaio.

Hal e Matt avevano deciso di parcheggiare in uno dei piccoli spazi all’inizio di una serie di sentieri. Da lì, avrebbero camminato per circa ottocento metri verso il crepaccio su un terreno che, secondo Hal, Carabetta, l’anello fisicamente debole della spedizione, sarebbe riuscito a superare senza troppa fatica. La galleria che portava alla caverna era forse un’altra storia, ma Matt era certo che ci fosse abbastanza spazio per quell’uomo, anche nei passaggi più stretti. Partirono con due macchine, Hal con la sua Mercedes assieme a Nikki e Carabetta, nella Grand Cherokee Matt e Vin Sutcher.

Matt si meravigliò nello scoprire che l’uomo era colto, aveva letto molto ed era disposto a parlare della sua vita e della sua professione. Sutcher aveva avuto una borsa di studio per la Penn State University, grazie alle sue doti di giocatore di football, ma si era rotto un ginocchio e aveva lasciato gli studi dopo il secondo anno. Per un certo tempo aveva venduto automobili e poi assicurazioni. Alla fine, grazie alla sua stazza e alla sua disponibilità a menare le mani, aveva trovato un impiego in un’agenzia che forniva guardie del corpo a divi del rock e di tanto in tanto anche a star del cinema. Viaggiava di continuo, ma aveva scelto una dimora nelle colline a ovest di Belinda come casa base, perché in quella zona la caccia e la pesca erano fantastiche e gli era sempre piaciuta la riservatezza. Era stato un caso che fosse in zona quando l’amico di Hal gli aveva telefonato.

L’arsenale di Sutcher era composto da una pistola infilata in una fondina da spalla appesa sopra una T-shirt nera a maniche lunghe e una specie di mitraglietta semiautomatica, che teneva con dimestichezza nella mano destra. Matt si chiese se avesse mai ucciso o sparato a qualcuno, ma di certo non glielo avrebbe mai domandato. Ciò nonostante, si sentiva molto più fiducioso e sicuro sapendo che quell’uomo li accompagnava.

Ci misero mezz’ora per raggiungere il crepaccio lungo un sentiero mal definito. Hal, tuttavia, conosceva la strada e guidò in silenzio la processione in fila indiana. Carabetta seguiva Hal, poi venivano Nikki, Matt e infine Sutcher.

«Sono veramente felice che tu sia qui», disse Matt a Nikki, mentre avanzavano a fatica.

«Sei molto carino quando parli così», gli mormorò lei.

Sebbene tutti avessero torce elettriche, solo Hal accendeva la sua e solo quando era necessario. La notte senza nuvole era rischiarata da una argentea luna gibbosa sufficientemente splendente da illuminare il sentiero. Il gruppo attraversò il largo torrente che ora Matt conosceva bene e senza alcuna difficoltà raggiunse il crepaccio.

«Ebbene, dottore», disse Hal, «Ora tocca a te. Facci entrare e facci uscire.»

«Ricevuto», rispose Matt, ponendosi alla testa della fila. «Fred, perché non sta dietro di me? Ci sono alcune strettoie e un punto dove dovremo strisciare per un paio di metri, ma sono certo che ce la farà.»

«Mio Dio», gemette Carabetta, «nessuno mi aveva mai parlato di dover strisciare sulla pancia.»

«Continui a pensare a tutti quei soldi e agli encomi che riceverà. La renderanno più magro. Avanzeremo anche lungo alcuni strapiombi. Lei non ci faccia caso.»

«Oh, Cristo», imprecò Carabetta.

Per Matt, la seconda camminata nel tunnel stretto e umido fu decisamente più facile della prima. Avanzava silenziosamente e con una certa sicurezza malgrado, di tanto in tanto, dovesse prendere per mano un Carabetta che bestemmiava sottovoce per fargli superare un salto o attraversare una sporgenza. La claustrofobia di Matt fu meno pesante di quanto aveva previsto, forse grazie alla familiarità con la via o perché era distratto, dovendo guidare gli altri.

Con sorprendente facilità, Carabetta superò lo stretto passaggio che tutti dovettero percorrere carponi. Davanti a uno ancora più stretto, tuttavia, si rifiutò di andare avanti.

«Basta, cazzo», imprecò facendosi sentire da tutti. «Qui mi fermo e lei può tenersi i suoi dannati soldi.»

«Fred, forza», lo esortò Matt. «Può farcela. E dopo circa tre metri potrà raddrizzarsi. Al ritorno prenderemo altri sentieri meno stretti.» A patto che riesca a trovarli.

«Niente da fare. Io resto qui.»

«Signor Carabetta, venga a parlare con me», ingiunse con voce rauca Vin Sutcher.

Senza mettere in discussione l’ordine, Carabetta passò accanto a Hal e Nikki e affrontò il gigante. Sutcher si chinò e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio. Anche in quella galleria quasi buia, Matt credette di vedere Carabetta impallidire.

«D’accordo», disse, fermandosi a metà frase per schiarirsi la gola, «ma se temessi di rimanere incastrato, io torno indietro.»

«Che gli ha detto?» chiese Matt a voce bassa a Sutcher, dopo che tutti e cinque avevano superato la bassa fenditura senza grosse difficoltà.

«Gli ho detto che, se non andava avanti, gli avrei strappato il braccio», rispose la guardia del corpo, senza un minimo di umorismo.

«Molto efficace.»

Ora, per la prima volta, Matt colse il pungente odore della discarica di prodotti chimici. Erano trascorsi quattro giorni da quando lui e Lewis erano entrati nella caverna, un tempo con ogni probabilità non sufficiente per svuotarla anche se Armand Stevenson avesse deciso di farlo. Assoldare killer e corrompere funzionari era molto meno costoso e molto più efficace, specialmente con il capo della polizia sul libro paga. Matt si ritrovò per un attimo a chiedersi chi fosse la persona — un uomo, pensava — che aveva infilato il biglietto sulla discarica sotto la sua porta. Qualsiasi fosse stata la molla contro la BC C che aveva spinto lo sconosciuto a scrivergli, ora sarebbe scattata.

«Lo sentite?» mormorò.

«Oh, sì», rispose Nikki.

«Toluene», giudicò Carabetta. «Toluene e forse creosoto.»

«Tenete pronte le macchine fotografiche», ordinò Hal. «Signor Sutcher, prenda per favore il suo posto.»

«Con piacere», rispose Sutcher, stringendo il mitra ancora di più.

«Avanti diritto», disse Matt. «Tenete il più possibile spente le torce elettriche e bassa la voce. Qualsiasi problema verrà dall’entrata opposta.»

Cautamente, con Sutcher in testa e Hal che chiudeva la fila, la colonna attraversò lo stretto, tetro tunnel, seguendo l’odore sempre più forte dei prodotti chimici.

«Là», esclamò Matt.

Davanti a loro, non molto distante, una fioca luce grigia forava l’oscurità.

«Andate avanti», li esortò Sutcher. «Io starò all’erta.»

Matt guidò il gruppo nella caverna. Il fiume sotterraneo, l’enorme piramide tridimensionale di bidoni, che si alzava per sei metri o più, lo sgradevole, nauseante odore dolciastro, l’apparecchio di protezione appeso lungo una parete rocciosa, tutto sembrava uguale a come l’avevano visto pochi giorni prima lui e Lewis. Usando la torcia, indicò a Carabetta di avvicinarsi e fece strada lungo il perimetro prima a lui, poi a Nikki.

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