Michael Palmer - Sindrome atipica

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Sindrome atipica: краткое содержание, описание и аннотация

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Il dottor Rutledge ha la certezza che ci sia qualcosa di sospetto nelle morti dei suoi pazienti. Troppe banali influenze degenerate in incomprensibili complicanze non hanno lasciato scampo ai malati. L’uomo nutre un sospetto: che nell’evoluzione fatale delle malattie sia coinvolto il giacimento di carbone, la cui aria nera copre il cielo della sua città, nel West Virginia. Ma presto il dottore capisce che le sue indagini lo stanno portando a scoprire segreti molto più pericolosi di quanto potesse immaginare.

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«I miei fratelli non stavano affatto sorridendo furbescamente, dottore. È solo che…»

Il sibilo forte e ripetitivo di un segnalatore acustico lo interruppe. Immediatamente si sentirono pesanti passi sul pavimento in legno a pianoterra e su per le scale.

«Scusami, dottore», esclamò Lewis, alzandosi, sganciando la flebo dall’uncino improvvisato e trascinando la sedia in corridoio. «Abbiamo dei visitatori.»

Matt si affrettò dietro di lui, chiudendo la valvola regolatrice del flusso per evitare che il sangue rifluisse nel tubo della fleboclisi. I passi che aveva sentito erano quelli dei tre fratelli che si spostavano per la casa come se si fossero esercitati per questo momento molte volte. Qualcuno aveva già interrotto l’allarme. Kyle corse su per le scale e infilò una lastra di metallo di un metro e ottanta per novanta centimetri tra dove si era posizionato Lewis e la balaustra. Aprì poi l’armadio del corridoio e cominciò a impilare armi sul pavimento. Questa volta Matt notò una decina di schioppi, alcune pistole, parecchi fucili con potenti mirini e due armi semiautomatiche. Kyle lasciò due degli schioppi, una grossa pistola e un fucile vicino a Lewis, quindi gli mise in grembo una scatola in metallo nero con tastierino e numerosi interruttori. Passò poi le armi a Lyle attraverso la balaustra.

Stupito dalla dimensione e dalla portata del loro arsenale, Matt non poté fare altro che starsene alle spalle di Lewis e guardare.

«Quanti?» gridò Lewis.

«Quattro, credo», rispose Frank. «Mi pare che tra loro vi sia anche il vecchio Lonnie Tuggle. Non mi era mai piaciuto.»

Fotocamere! pensò Matt, incredulo. Da qualche parte tra gli alberi là fuori, i fratelli Slocumb, quelle leggendarie rozze creature del bosco, avevano installato un sistema d’allarme e fotocamere di sorveglianza.

«Frank», disse ad alta voce, «là fuori c’è la mia Harley. Vuoi che la sposti?»

«Dottore, pensi forse che lasceremo che accada qualcosa a quella tua splen-di-da moto? È già al sicuro nel granaio.»

«Lewis, sapevi che quegli uomini stavano arrivando?»

«Abbiamo sentito che poteva succedere.»

«Gesù», borbottò Matt. «Siete proprio degli strani eremiti. Ehi, fate attenzione», gridò. «Non voglio che vi capiti qualcosa di brutto. Nemmeno a me, a dire il vero.»

«Non è di noi che devi preoccuparti, dottore», ribatté Lewis. «Ora entra in quella stanza e tieni la testa bassa, nel caso fossero più stupidi di quanto pensiamo.»

Matt ubbidì e si lasciò cadere sulle ginocchia dietro la porta parzialmente aperta, a pochi passi da Lewis. Il più vecchio degli Slocumb, con tutti i suoi sessantadue o sessantatré anni, rimase al suo posto, con nel torace l’improvvisato tubo di drenaggio che ancora faceva colare il sangue attraverso il preservativo, il sacchetto della flebo sul pavimento ai suoi piedi, la mano destra stretta attorno alla pistola, la sinistra poggiata sulla scatola nera.

«Eccoli qui!» gridò Frank. «Due ancora in macchina. Due che stanno aggirando la casa a piedi.»

«Rimanete calmi, ragazzi», ordinò Lewis. «Non lasciatevi prendere dalla frenesia. Tutti zitti, tranne Frank.»

In quel momento si sentirono tre forti raspate alla porta d’entrata.

«È aperta», gridò Frank. «Fatemi vedere le mani entrando.»

Dal sud punto di osservazione, sbirciando oltre la lastra di metallo e attraverso la balaustra, Matt riuscì a vedere la porta che si spalancava. La grossa guardia di sicurezza della BC C che l’aveva scortato fuori della riunione con Armand Stevenson mise un piede dentro. Era alto almeno un metro e novanta per circa centotrenta chili, con la testa rasata poggiata sulle spalle come un pallone da pallacanestro. Matt non poteva vedere Frank, ma lo immaginò dall’altra parte della stanza, lo schioppo pigramente poggiato nella curvatura del gomito.

«Lonnie», lo salutò Frank.

«Frank. Ascolta, non vogliamo guai, ma ci hanno mandato qui per fare un lavoro. Sai come vanno le cose.»

«E quale sarebbe questo lavoro?»

«L’altra notte, due uomini si sono introdotti abusivamente nella proprietà della miniera. Pensiamo che uno dei due fosse il dottor Rutledge di giù in città.»

«E allora?»

«Crediamo anche che l’altro fosse uno dei tuoi fratelli.»

«Perbacco, che cosa ve lo fa credere?»

«Senti, Frank, ci conosciamo da tanto. Non dirmi stronzate e io non le dirò a te. Il signor LeBlanc delle miniera vuole incontrare quello di voi che lo ha fatto e anche il dottore. Sostiene che possano essere stati esposti a sostanze chimiche pericolose e che potrebbero essere in pericolo se non fanno la cosa giusta.»

«Lonnie, vai a dire al signor LeBlanc che hai fatto del tuo meglio, ma qui nessuno sapeva di che cosa stavi parlando.»

«Frank, dove sono Lewis e gli altri?»

«La mia parola non ti basta?»

Matt sbirciò di nuovo dalla balaustra proprio mentre Lonnie Tuggle estraeva una pistola dalla cintola.

«Frank, uno dei due che hanno sconfinato è stato colpito. C’era del sangue sulle pietre all’interno della miniera. Non era il medico, per cui, dov’è Lewis?»

«Lewis è proprio qui», ribatté Lewis, avvicinandosi alla balaustra e poggiandovi sopra la sua pistola. «Ora te ne puoi andare.»

«Mi sembri un po’ malaticcio, Lewis», osservò Tuggle. «Ti sei per caso beccato una pallottola di recente?»

Ogni muscolo del corpo di Matt era teso. Ci sarebbe stata una sparatoria, lo sapeva. Iniziò a strisciare verso gli schioppi che erano sul pavimento accanto a Lewis. Se si fosse aperto il fuoco, non avrebbe potuto fare altro che combattere a fianco degli Slocumb.

«Fermo!» mormorò Lewis senza girarsi.

Matt si appiattì sul pavimento.

«Mi hanno detto di portarti via con me, Lewis. Non posso andarmene senza di te.»

«Puoi e lo farai, a meno che tu non voglia andartene con i piedi in avanti.»

«Siamo in quattro. Uno di loro tiene sotto mira Frank proprio ora.»

«Lo vedo», dichiarò Lyle da sotto. «Farà bene a essere un pistolero dannatamente rapido per colpire Frank e non beccarsi una di queste pallottole in testa.»

«Lo stesso vale per te», esclamò Kyle, uscendo sulla balconata dalla stanza in fondo al corridoio, a tre metri da Lewis.

Lewis premette rapidamente alcuni numeri sul tastierino della scatola nera.

«Questo è un avvertimento, Lonnie», disse, premendo il pulsante d’innesco.

L’assordante esplosione proveniente dal largo cortile in terra battuta fece roteare Tuggle. In un attimo, Frank era dall’altra parte della stanza, lo schioppo contro la nuca di quell’uomo gigantesco.

«Butta a terra la pistola! Buttala ora, Lonnie!»

Riluttante, Tuggle ubbidì.

«Quell’esplosione era a circa tre metri dietro la vostra auto», gridò Lewis. «La prossima sarà esattamente sotto.»

«E i prossimi panettoni di questo schioppo finiranno nel tuo cervello», aggiunse Frank. «Forza, hai dieci secondi per riunire i tuoi ragazzi e andartene di qui. A quello ordina di mettere giù la pistola prima di muoversi.»

«Fallo, Cork», ordinò Tuggle.

Tuggle fece un cenno all’uomo dietro Frank e, un attimo dopo, apparve, spaventato e senza armi, alla vista di Matt. I due uscirono, indietreggiando, dalla porta d’entrata e chiamarono gli altri due.

«Questo lo rimpiangerai, Frank», sbraitò Tuggle. «Non sei l’unico capace di fare esplodere le cose.»

«Prima devi arrivare a noi, Lonnie. E questa volta non sei stato tanto bravo. Facci un favore e non riprovarci. Non ricaviamo un gran piacere dall’uccidere creature inermi. Di’ al vecchio LeBlanc che nessuno di noi era alla miniera. Neppure il dottore. E se dovesse succedergli qualcosa, sarai tu quello cui daremo la colpa. Capito? Capito?»

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