Michael Palmer - Sindrome atipica

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Sindrome atipica: краткое содержание, описание и аннотация

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Il dottor Rutledge ha la certezza che ci sia qualcosa di sospetto nelle morti dei suoi pazienti. Troppe banali influenze degenerate in incomprensibili complicanze non hanno lasciato scampo ai malati. L’uomo nutre un sospetto: che nell’evoluzione fatale delle malattie sia coinvolto il giacimento di carbone, la cui aria nera copre il cielo della sua città, nel West Virginia. Ma presto il dottore capisce che le sue indagini lo stanno portando a scoprire segreti molto più pericolosi di quanto potesse immaginare.

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Ellen balzò in piedi e gettò le braccia attorno al collo di Rudy.

«Sapevo che avresti scoperto qualcosa. Rudy, sei sempre stato il mio migliore amico.»

«Non mi è stato di certo difficile», ribatté lui, guardando altrove.

18

«Codice blu, unità di Terapia Intensiva… Codice blu, unità di Terapia Intensiva…»

Matt era nel reparto di medicina e chirurgia 2 e stava annotando disposizioni concernenti il trasferimento di Nikki in una camera privata, quando risonò la chiamata in codice. Non dubitò per un attimo che l’oggetto di quella chiamata fosse il boscaiolo sui sessant’anni che aveva preso il letto di Nikki. Matt l’aveva visto mentre lo trasportavano nell’unità e aveva notato il pallore attorno alla bocca e la leggera chiazzatura della pelle, tutti segni indicanti che il cuore non stava pompando in modo efficace.

Matt corse nell’unità, e vi arrivò insieme a due infermiere e al tecnico dell’apparecchio respiratore. Sebbene non rimpiangesse la decisione presa di passare dal visitare e curare un paziente dopo l’altro al pronto soccorso al rapporto più intenso e profondo dell’assistenza di base, era rimasto una specie di ibrido, e l’intensa azione richiesta da un codice blu o da traumi multipli gli procurava ancora una gradita eccitazione.

Era nella stanza prima di rendersi conto che il cardiologo al capezzale dell’uomo era Robert Crook. Matt non aveva più affrontato la sua nemesi da quella riunione finita male alla BC C. Crook salutò il suo arrivo guardandolo in cagnesco e scuotendo la testa in modo derisorio.

«Ha bisogno d’aiuto?» chiese Matt con accentuata cordialità.

«Credo di averne a sufficienza», borbottò Crook. Da dietro le spalle di Crook, l’infermiera Julie Bellet scosse con forza la testa e disse, muovendo solo le labbra: «Rimanga!»

«Rimarrò qui in giro, se avesse bisogno di me.» «Faccia come vuole. Sia pronta a dargli una scarica elettrica da quattrocento joule, per favore.»

Centoventicinque dovrebbero bastare, pensò Matt. La Bellet gli lanciò un’occhiata implorante, ma lui non poté fare altro che scrollare le spalle. Quattrocento erano decisamente eccessivi, ma non un trattamento tanto grave da spingerlo a litigare con Crook.

Il cardiologo procedette, sistemando gli elettrodi del defibrillatore sul torace dell’uomo. «A posto!… Pronti, scarica!»

Julie Bellet premette il pulsante inviando quattrocento joule di elettricità nel petto del taglialegna. Quasi immediatamente, i caotici picchi della fibrillazione vennero sostituiti da un ritmo rapido e regolare.

«Bene», dichiarò Crook in un tono significativamente indifferente, «ora è in una piacevole tachicardia sovraventricolare. Diamogli un milligrammo di Propranolol via endovena.»

No ! gridò la mente di Matt. Diagnosi sbagliata, trattamento sbagliato. Si avvicinò a Crook.

«Robert», mormorò tanto sottovoce che la maggior parte dei presenti nella stanza non si rese conto che stava parlando, «Questa è una tachicardia ventricolare. Ne sono certo. Xylocaina, non Propranolol.»

Crook gli lanciò un’occhiata carica di odio. «Un milligrammo di Propranolol per endovena», ordinò di nuovo. «Anzi, due e immettetelo lentamente.»

Dannazione! pensò Matt, cercando, senza riuscirvi, di evitare la disperata occhiata di Julie Bellet che, con l’altra infermiera, stava rispondendo lentamente all’ordine di Crook, chiaramente temporeggiando. Stava per scoppiare la guerra.

«Robert», sussurrò di nuovo, «gli instilli della Xylocaina e forse riuscirà a evitare che entri in fibrillazione.»

L’occhiata di Crook fu ancora più pungente di prima.

«Mi faccia il santo piacere di…»

In quel momento, in una convulsione di battiti inefficienti, il ritmo instabile della tachicardia ventricolare del boscaiolo degenerò in una fibrillazione ventricolare pericolosa per la sua vita.

«Quattrocento joule», ordinò Crook, senza guardare Matt. «Iniettategli anche cento milligrammi di Xylocaina. Rimandiamo per ora il Propranolol.»

In quel momento, la rianimazione, che avrebbe dovuto essere semplice e ben riuscita, poteva prendere o una o l’altra strada. Fortunatamente, un potere più grande di chiunque in quella stanza decise che non era giunta l’ultima ora per quel boscaiolo. Alla defibrillazione elettrica seguì la Xylocaina che avrebbe dovuto ricevere immediatamente, che a sua volta fu seguita da un’altra scarica e all’improvviso eccoli là, un decente pattern sul monitor e una funzionale pressione sanguigna.

«Ben fatto», si congratulò Matt.

Robert Crook non si degnò di rispondere.

Nel giro di pochi minuti lo stato cardiaco del paziente si era stabilizzato. Il colorito era migliorato e la pressione era salita e si manteneva costante. Crook fece cenno a Matt di spostarsi in un angolo, dove avrebbe potuto parlargli sottovoce senza farsi sentire.

«Mi creda sulla parola», mormorò aspramente, «e inizi a cercare un altro posto dove esercitare la professione. Qualche posto molto lontano da qui.»

«Ma qui mi piace», ribatté Matt. «Sono cresciuto qui. Ho sempre pensato che sarei invecchiato qui.»

«Ebbene, può benissimo invecchiare da qualche altra parte. Cioè, se vuole invecchiare. Ha oltrepassato i limiti, Rutledge.»

«Non so di che sta parlando.»

«Ad alcune persone verrà fatto del male, e io non sarei affatto sorpreso se lei fosse una di quelle.»

«Mi sta minacciando…»

«Dottor Crook?»

Julie Bellet stava indicando lo schermo del monitor, dove erano apparsi alcuni battiti irregolari.

«Altri cinquanta milligrammi di Xylocaina per endovena», ordinò con rabbia Crook, prima di rivolgersi di nuovo a Matt: «Lei non fa fesso nessuno».

Matt allungò il braccio e afferrò l’uomo per la cravatta e la camicia, senza farsi notare dalle infermiere.

«Neppure lei», ribatté con voce stridula. «Non mi minacci mai più.»

Stupito, le guance infuocate, Crok si staccò e, sistemandosi cravatta e camicia, tornò al capezzale.

Matt non ricordava di avere mai aggredito fisicamente qualcuno da adulto. Stupido! Totalmente stupido! Era stata una fortuna che nessuno avesse visto cosa aveva fatto. Con i pugni chiusi, roteò su se stesso e, senza lanciare neppure un’occhiata all’indietro, lasciò l’unità di Terapia Intensiva. Era evidente, pensò, che Crook sapeva della loro incursione nella discarica tossica. Ma l’avvertimento proveniva da Armand Stevenson o il cardiologo aveva oltrepassato i limiti della sua posizione alla BC C? E precisamente, cosa aveva inteso dire sostenendo che: «ad alcune persone verrà fatto del male?» Quali persone?

Gli Slocumb!

Matt andò subito nella camera di Nikki per vedere se l’agente di polizia era arrivato. Era rimasto lontano da Lewis Slocumb anche troppo. Arrivò alla camera proprio mentre l’agente Tarvis Lyons percorreva a pesanti passi il corridoio. Lyons era stato compagno di classe di Matt al liceo regionale di Montgomery. Il soprannome di Tarvis, «Fossile», si riferiva alla velocità con cui faceva quasi tutto. Matt si era meravigliato che Tarvis fosse riuscito a prendere il diploma, per di più con la fedina penale pulita, ma era rimasto addirittura scioccato quando, tornato a casa dopo l’internato, aveva scoperto che era entrato nella polizia. Difficile credere che qualcuno potesse affidargli un paio di manette, per non parlare di una pistola di servizio.

«Ehi, Ledge, che succede», lo salutò Lyons, usando il soprannome di Matt al tempo del liceo. La sua voce era di un’ottava più alta di quanto ci si sarebbe aspettati dalla sua stazza.

«Grimes ha mandato te?»

Matt sperò di non avere dato troppo rilievo al «te».

«Oggi è la mia giornata libera, il che significa che sono disponibile per gli straordinari. Il capo ha detto che c’è una bambola da sorvegliare.»

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