«Grimes ha chiamato bambola la dottoressa Solari?»
«Ehm, non ricordo esattamente.»
«È un medico, Tarvis. Cioè dodici anni di studi dopo il liceo. Credo si sia guadagnata qualcosa di più rispettoso di un semplice ‘bambola’ da parte tua. Verrà qui anche Grimes?»
«Ha detto che sarà qui tra poco per interrogarla.»
«Fa’ esattamente quello che ti dice.»
«È proprio quello che ha detto lui.»
«Cosa?»
«Ha detto che devi aspettare e fare esattamente quello che ti dice.»
Matt sospirò. «Senti, appostati qui fuori. Assicurati che o tu o una delle infermiere conosca personalmente chiunque venga qui a visitarla. Io devo lasciare l’ospedale per alcune ore. Terrò sempre acceso il cercapersone. Chiama il centralino dell’ospedale se hai delle domande e la telefonista mi troverà.»
«Ho capito, Ledge», commentò Lyons. «Giochi ancora a pallacanestro?»
«Sì, sì, anche se non ho più un gran braccio e, a dire il vero, nemmeno gambe.»
«Sei sempre stato un gran tiratore, Ledge.»
«Grazie, Tarvis. Tieni d’occhio la dottoressa Solari.»
Matt si fermò sull’uscio e lasciò che gli occhi si abituassero alla fioca luce della camera. Nikki dormiva, respirando rumorosamente attraverso la maschera a ossigeno. Preoccupato per ciò che aveva detto Crook, non vedeva l’ora di arrivare alla fattoria degli Slocumb. Corse nella saletta delle infermiere e prescrisse un controllo neurologico ogni mezz’ora per due ore, quindi uno ogni ora per cinque ore. Un’ultima occhiata a Tarvis Lyons che stava portando fuori da una stanza vuota una sedia, e via di corsa alla motocicletta.
Il viaggio fino alla fattoria gli parve interminabile. Ancora una volta, tutti i sensi di colpa che Matt aveva provato per avere messo in pericolo la vita di Lewis Slocumb riemersero. Crook era uno stupido, ma aveva ragione. Lui aveva passato il segno. Forse sarebbe stato meglio lasciar cadere l’intera faccenda, dimenticare la discarica tossica e ammettere di non poter dare del filo da torcere alla Belinda Coal Coke più di quanto avesse potuto fare suo padre. Gli vennero poi in menti i volti sfigurati di Darryl Teague e Teddy Rideout. Quanti altri come loro ce ne saranno? Quanti altri già ce ne sono? No, decise, mentre si fermava davanti alla fattoria, per nulla al mondo avrebbe fatto marcia indietro. Avrebbe soltanto fatto attenzione a non mettere nessun altro in pericolo in nome della sua crociata.
Proprio come Lewis l’aveva atteso sulla veranda la notte della loro escursione nella miniera, così ora ad attenderlo vi era Frank. Se ne stava appoggiato alla balaustra, un fucile dall’aspetto efficiente tra le braccia. Matt si chiese se i fratelli avessero in qualche modo saputo che stava arrivando. «Come sta?» domandò Matt.
«Se la sta passando piuttosto male, soprattutto per il dolore alla spalla. Ma è ancora vivo e non fa che imprecare.»
«Questo è un buon segno. Frank, mi spiace veramente di averci messo così tanto per tornare. Ho avuto molto da fare in ospedale. Non ho potuto allontanarmi prima.»
«Sapevamo che saresti tornato appena ti fosse stato possibile.»
Nessun accenno di irritazione o di diritto acquisito. Questi uomini, duri e forti, erano abituati a prendere la vita come veniva e a concedere ai loro amici il beneficio del dubbio. Lewis, che indossava solo un paio di jeans sbrindellati e nulla dalla vita in su, era nella camera al piano superiore, appoggiato a due cuscini in una poltrona dallo schienale diritto in legno di quercia. Aveva un ottimo colorito e la benda attorno al torace era inzuppata di sangue, come era prevedibile. Il sistema di drenaggio era intatto e la garza che aveva avvolto alla meglio all’estremità del preservativo era impregnata di sangue secco e di sangue che si stava seccando. Chiaramente l’apparato stava funzionando bene.
Frank Slocumb e i suoi fratelli avevano dimostrato di essere degli infermieri in gamba. La stanza era sorprendentemente pulita e gli parve che le lenzuola fossero state lavate da quando era stato lì l’ultima volta. I tre uomini rimasero in un angolo della stanza, fieri e rispettosi, mentre lui lavorava.
«I tuoi fratelli sono stati bravi, Lewis», dichiarò Matt, auscultando con lo stetoscopio e notando che i suoni respiratori si estendevano in ogni area di entrambi i polmoni.
«Sapevano cosa sarebbe successo loro se non lo fossero stati. Allora, vivrò?»
«Frank ha detto che eri troppo irascibile per morire, e aveva ragione.»
Matt sistemò l’attrezzatura per una endovenosa e chiese che appendessero al soffitto un grosso filo di ferro che servisse da uncino. In meno di due minuti Lyle aveva inchiodato esattamente ciò di cui aveva bisogno. Matt vi appese il piccolo sacchetto in plastica che conteneva un potente antibiotico e lasciò che il farmaco entrasse nel braccio di Lewis.
«Questo garantirà che non insorga un’infezione», spiegò.
«Che mi dici di questo aggeggio?» chiese Lewis, indicando il tubo di aspirazione.
«Ecco», rispose Matt, «per quanto incredibile sia, pare che questo aggeggio ti abbia salvato la vita.» Senza alcun dubbio, pensò, doveva assolutamente inviare una lettera all’autore di Chirurgia d’urgenza. «Adesso, per come la vedo io, abbiamo tre opzioni. Lasciarlo dov’è, tirarlo fuori o cambiarlo.»
«Vuoi che votiamo?» domandò Frank.
I quattro fratelli risero alla sua battuta, che Matt non aveva afferrato.
«Come ritieni giusto tu, dottore», disse Lewis. «Preferirei comunque che non mi infilassi più niente nel petto. Non ho avuto il coraggio di dirtelo, ma quelle pinze che mi hai infilato l’ultima volta hanno fatto un male del diavolo.»
Per rispetto di Matt, i tre fratelli in piedi sghignazzarono il più sottovoce possibile.
«D’accordo, Lewis», accettò Matt, «lascerò le cose come stanno. Il problema è che, se tolgo il tubo troppo presto, il polmone potrebbe collassare di nuovo, e se lo lascio troppo a lungo, potrebbe insorgere un’infezione. In ogni caso, ragazzi, ascoltate, se dovesse insorgere un’infezione con febbre, tosse, dolore, pus o rossore attorno al foro, o altro di simile, tagliate immediatamente i punti e tirate fuori il tubo. Capito?»
«Capito», rispose Frank. «Hai fatto un bel lavoro, dottore.»
Matt tolse le bende, pulì la ferita e la fasciò di nuovo.
«Sentite», esordì. «Devo parlarvi di un’altra cosa. Credo che quelli della miniera sappiano che sono stato io a entrare in quella discarica di rifiuti. Non so per certo se sanno che c’era anche Lewis, ma volevo avvertirvi. Questo cretino all’ospedale, Crook, è nel consiglio. Mi ha fatto capire che qualcuno sarebbe rimasto ferito o ucciso per ciò che ho fatto, e che la colpa sarebbe ricaduta su di me.»
Lyle e Kyle si scambiarono occhiate furbesche.
«Che c’è?» domandò Matt. «Che avete voi due?»
Questa volta rispose Lewis.
«Sapevano che ero io, dottore. Ne siamo certi. A differenza di ciò che un sacco di gente di qui pensa, abbiamo anche noi degli amici, buoni amici per di più. Sentiamo molte cose.»
«E allora, che avete intenzione di fare per difendervi?»
I fratelli si scambiarono di nuovo occhiate d’intesa.
«Sappiamo prenderci cura di noi», rispose Lyle. «Credimi.»
Matt raccolse le sue cose, quindi fece cenno ai tre fratelli di uscire dalla stanza.
«Lewis, vuoi che ti aiuti a tornare a letto?» chiese.
«Ce la faccio da solo. Ma se il dottore è d’accordo, preferirei stare seduto in poltrona ancora un po’.»
«Mi fa piacere che te la stia cavando bene. Mi addolora ancora molto ciò che è successo. Non so per quale motivo Frank e i ragazzi continuassero a sorridere furbescamente, ma temo veramente che quei bastardi della miniera abbiano intenzione di darvi la caccia.»
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