«Bene, ecco qui dei fogli di carta. Vorrei che tu annotassi tutto ciò che ricordi su quell’uomo. Il suo aspetto, i vestiti, il suo modo di fare, le frasi che ha detto, ogni singola cosa.»
«A che servirà?»
«Ancora non lo so, ma, come era solita dire mia nonna, non potrà nuocere. Forse ti verrà in mente qualcosa che hai dimenticato.»
«Forse. Voglio trovarlo, Rudy, voglio trovarlo e… e fargli del male. Chiudo gli occhi alla sera ed ecco che quel volto odioso mi guarda con malignità. Mi sveglio nel bel mezzo di un sogno, inzuppata di sudore. Questa mattina sono stata realmente male. Avrei tanto voluto andare alla polizia, ma, dopo ciò che ha detto, non potevo.»
«Stai attenta, El. Io ti aiuterò. Se è là fuori, lo troveremo. Ma prima, annota tutti i fatti sulla carta. Mi conosci. Ho bisogno di informazioni. Intanto vado a preparare dell’altro tè.»
«Poi mi racconterai cosa hai fatto tu?»
«Poi te lo dirò», rispose Rudy.
Lo studio di Rudy occupava tutto il primo piano, una volta adibito ad attico, della casetta. Il soffitto a lucernari, illuminato come una cattedrale, i pannelli in legno di pino nodoso e gli scaffali alti fino al soffitto e colmi di libri rendevano la stanza confortevole come lo stesso Rudy. Buona parte dello spazio era occupata da una grande scrivania in legno di quercia, su cui troneggiavano un computer e altri sofisticati apparecchi elettronici. Una zona lettura con due poltrone in pelle logora e un divano costituiva il resto. Accanto all’unica finestra, un telescopio era puntato verso il laghetto.
Dopo avere annotato tutto ciò che ricordava dell’elegante ed eloquente killer, Ellen si liberò delle scarpe e si accomodò in una delle poltrone. Rudy prese l’altra. Mentre distendeva le lunghe gambe sul divano, sfiorò con i piedi nudi quelli di Ellen. Li allontanò di colpo e si scusò, un’espressione mezzo imbarazzata e mezzo… mezzo cosa? si chiese Ellen, prima di notare quanto fosse avvampato.
«Allora?» chiese Ellen, mentre lui poggiava i piedi sul divano, a una distanza decorosa dai suoi.
«Conosci il problema in cui ho continuato a imbattermi cercando di indagare sull’Omnivax. Non è che ci siano dati di ricerca incriminanti. Il fatto è che, per un progetto di tale portata, non vi sono poi tanti dati. Da statistico quale sono, mi piace giocare con mucchi e mucchi di dati quasi quanto amo pescare. Il megavaccino è stato sperimentato sul campo, ma senza serie verifiche e i componenti sono stati tutti testati singolarmente e in alcune combinazioni, ma neppure questa volta con verifiche. Ogni elemento di questo stupido vaccino sembra funzionare benissimo, ma solo per quanto è stato valutato. Non dubito affatto che l’Omnivax protegga la gente contro ognuna delle infezioni citate.»
«Sento che sta per arrivare un ma.»
«Ma, se questa fosse una nuova medicina contro l’artrite o una nuova pillola di contraccezione, non verrebbe di certo approvata per l’uso generale sulla base di dati tanto insufficienti.»
«Per quanto ne so, non è mai stata fatta una ricerca randomizzata sotto stretto riscontro di un vaccino.»
«Per quanto ne so io, hai ragione. Medici e ditte farmaceutiche e alcuni dei miei cari amici al CDC e all’FDA, preferirebbero rischiare problemi con un vaccino piuttosto che privare la popolazione della protezione contro anche uno solo dei loro cari bricconi microbici.»
«Vai avanti.»
«Come credo di averti già detto, avevo deciso di concentrare quel poco di tempo e risorse che avevamo per esaminare gli anelli più deboli della catena dell’Omnivax. Mi sono messo così a vagliare i pacchetti di dati disponibili su ogni malattia poco comune, quelle che chiamo i giocatori marginali. E, come già menzionato, il vaccino contro la febbre di Lassa è in testa a quella lista. È relativamente nuovo, come lo è l’epidemia per proteggerci dalla quale è stato creato. Ha avuto l’approvazione dell’FDA per i trattamenti di massa circa dieci anni fa. Da un punto di vista statistico, o almeno dal mio punto di vista statistico, il suo impiego è stato approvato troppo rapidamente e troppo presto.»
«Temevano che si stesse sviluppando un’epidemia qui negli Stati Uniti.»
«Lo so, solo che non è successo, almeno allora. Ecco, non ho riscontrato gravi problemi con quel vaccino, ma di certo non è stato verificato a fondo.»
«Questo lo so», osservò Ellen, sperando che il tono non riflettesse la profonda delusione. «È questo che hai?»
Rudy comprese la sua reazione e per alcuni secondi rimase seduto, in silenzio. Poi scosse la testa e sorrise con orgoglio.
«No», rispose. «In verità, non è tutto ciò che ho. Ho fatto alcune telefonate, una a un mio vecchio amico del CDC con cui facevo progetti. Si chiama Arnold Whitman ed è un epidemiologo e un microbiologo. Di soppiatto, Arnold ha esaminato queste epidemie di febbre di Lassa. Se lo beccano a girovagare in territorio altrui, potrebbe perdere il posto di lavoro. In ogni caso, ciò che ha trovato potrebbe non avere alcun valore, ma Arnie non pensa sia così, e lui è davvero in alto nella mia Usta di persone molto intelligenti che non sbagliano quasi mai quando si tratta di scienza.»
«Dovresti esserci tu su quella lista», lo interruppe Ellen.
«Oh, ci sono. Ma ora senti questo. Il periodo di incubazione della febbre di Lassa dall’esposizione ai sintomi è da sette a quattordici giorni, ventuno al massimo. Diciotto dei casi manifestatisi qui negli Stati Uniti erano rimasti infettati in Africa. Si ritiene che gli altri abbiano preso il virus da quei diciotto. Essendo noto il periodo di incubazione, sembra che ognuno di quei diciotto casi sia rimasto infettato il giorno stesso o suppergiù nel momento in cui è partito dall’Africa per venire negli Stati Uniti.»
«Strano.»
«Più che strano, mia cara amica. Sono queste le cose che le mie statistiche devono cercare di capire. E indovina un po’?»
«Non ci sono riuscite?»
«Esattamente! Non riescono a comprendere come mai questi diciotto casi siamo rimasti tutti infetti quando stavano per partire per gli Stati Uniti, perché c’è qualcosa di sbagliato.»
«Ma cosa?»
«È questo il rompicapo. Non posso risolverlo, almeno per ora. Ma aspetta, c’è di più. Nei paesi dove si manifesta spesso, la febbre di Lassa ha una precisa predominanza stagionale nei mesi di gennaio e febbraio. Ecco qui un piccolo diagramma che ho messo insieme con i casi avvenuti tre anni fa e che ho ricavato da un rapporto del ministero della Sanità della Sierra Leone, tramite il mio amico Arnie.»
«Impressionante», commentò Ellen.
«Non tanto, ma lo schema gennaio/febbraio di cui parla il testo esiste veramente. Guarda ora i nostri diciotto casi.»
Ellen mise il secondo grafico vicino al primo: vi era un solo caso in gennaio, nessuno in febbraio. La maggior parte degli altri casi si erano avuti in estate.
«E le tue statistiche dicono che?»
Rudy premette un immaginario cicalino, aggiungendo l’effetto sonoro.
«Ancora una volta i numeri dicono che c’è qualcosa che non va. Devo forse ricordarti che queste sono le mie cifre e che le mie cifre non mentono mai? Per quello che ho capito, è molto più facile che tu venga infettata dalla febbre di Lassa nei mesi di maggio, giugno e luglio volando verso gli Stati Uniti che restando in Africa.»
«Che si fa con questa informazione?»
«Cerchiamo di trasformarla in una ipotesi di lavoro», rispose lui, «in uno scenario che combaci con i dati e li spieghi. Abbiamo bisogno di tirare fuori qualche fatto.»
«Partendo da dove?»
«Io direi di partire dall’ambasciata della Sierra Leone a Washington. Un amico al dipartimento di Stato sostiene che loro hanno accesso alla lista dei passeggeri di ogni volo che decolla dal loro paese. Mi piacerebbe inoltre sapere quanti americani si sono presi la febbre di Lassa in Africa rispetto a quelli nei quali si è manifestata a casa. Penso che potrai ottenere questa informazione dalle autorità della Sierra Leone. Dati! Voglio, ardentemente voglio, dati!»
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