Perché mi state facendo questo? Perché?
Nikki avrebbe voluto fermarsi e gridare quel perché. Quelli, comunque, erano uomini con ordini e nessuna risposta. Si tuffò, invece, in avanti, cadendo in un basso torrente e cercando, per alcune decine di metri, di percorrerlo di corsa. Doveva esserci qualche posto dove nascondersi, o un sentiero su cui accelerare il passo e mettere una certa distanza tra sé e gli uomini. Scivolò sulle pietre bagnate, scivolò di nuovo. Alla fine, rinunciò e si arrampicò su per la sponda fangosa.
«È nel torrente», gridò Verne. «No, eccola là, sull’altra riva. Da questa parte! Da questa parte!»
Crepitarono altri due spari. Uno spezzò un ramo proprio vicino al viso di Nikki. A meno di non avere un po’ di spazio per correre, l’avrebbero colpita. Tagliò a destra, correndo china per essere un bersaglio meno visibile e per evitare che i cespugli le sferzassero gli occhi. Era tarda estate e sul terreno non vi erano sufficienti foglie morte da nasconderla. Respirava a fatica, cercando di mantenere il ritmo. Sapeva comunque che stava rallentando. Una voce dentro di lei cominciò a dirle di rannicchiarsi a terra dietro un albero e di mettersi semplicemente a pregare che non la vedessero. Quale altra possibilità aveva?
Si poggiò su un ginocchio e rimase immobile, mentre cercava di riprendere fiato. Per dieci secondi, forse quindici, calò il silenzio. Li aveva forse distanziati tanto in così poco tempo? A quella domanda rispose pochi istanti dopo il rumore di un bastone che si spezzava e il fruscio di alcuni cespugli. Almeno uno di loro era vicino, molto vicino. Era in preda al panico e non aveva più idee. La voce interiore le disse di rimanere ferma e di rischiare. L’istinto la esortò ad agire in altro modo. Balzò in piedi e riprese a correre, muovendosi rumorosamente attraverso la fitta boscaglia.
«Da questa parte! Laggiù!» gridò Verne.
Nikki irruppe da alcuni cespugli e si fermò di botto. Era in piena luce sul bordo superiore di una cengia. Davanti a lei si stendeva un lago, annidato in una conca di verdeggiante bosco. La cengia pendeva leggermente per una decina di metri verso un salto di una quarantina di metri sopra la superficie del lago. In lontananza riuscì a malapena a distinguere un paio di barche. Era questo ciò che Verne aveva inteso quando aveva detto che lei presto non sarebbe più andata da nessuna parte. La sua tipica calma era completamente svanita. ‘Cubetto di ghiaccio’ non esisteva più. Era in trappola e stava per morire e l’unica cosa che pensava di poter fare era urlare.
Sentì i due killer sopraggiungere. Non poteva più sfuggire loro. La sua unica mossa era il lago, tuffarsi completamente vestita e sperare di non finire come un pesce nel bidone raccoglipioggia. Nell’attimo in cui si voltò per precipitarsi lungo il pendio in granito, vi fu uno sparo, seguito immediatamente da un altro. La seconda pallottola le scalfì il cuoio capelluto, appena sopra l’orecchio. Stordita, roteò e cadde pesantemente. Sbatté con forza la testa contro la roccia. Impotente e a malapena cosciente, rotolò giù per la china e cadde dalla cengia.
Colpì la superficie del lago con la faccia, consapevole soltanto dell’acqua fredda che l’avvolgeva e del fatto che non si stava muovendo in modo coerente e finalizzato. La caduta le aveva tolto quasi tutta l’aria dai polmoni e, come entrò in acqua, cominciò subito a sprofondare. Nel giro di dieci secondi aveva raggiunto il fondo roccioso. Per alcuni istanti rimase cosciente, sconvolta dall’orrore della situazione. Poi, quando l’oscurità e la pace calarono su di lei, trasse un profondo respiro.
Erano già passate le dieci del mattino quando finalmente Matt si sentì abbastanza tranquillo da lasciare Lewis ai fratelli. Frank parve assumere spontaneamente il ruolo di capo nell’assistere il fratello e, paragonato a Lyle e Kyle, era proprio lui il fratello che Matt stesso avrebbe scelto per quel compito. Gli diede un sacco di istruzioni su come curare la ferita e su quali osservazioni generali fare, lo implorò di portare Lewis in ospedale, se si fosse presentato qualsiasi peggioramento, e promise di tornare appena il lavoro glielo avesse permesso. Mandò su di giri la Vulcan e si diresse verso casa per fare una doccia, cambiarsi e chiamare Mae.
«Dottor Rutledge, stavo per mandare la polizia a casa tua», lo rimproverò Mae.
«Scusami. Ieri notte ho fatto un lungo giro in moto e ho dormito sotto le stelle.»
«Non c’erano stelle la notte scorsa, signore», replicò Mae nel suo tono cantilenante. «Non c’è bisogno che racconti a me bugie. Io sono la tua più grande ammiratrice e crederò a qualsiasi cosa tu dica.»
«Va bene lo stesso, Mae. Credimi. Tutto a posto?»
«No, non è tutto a posto. Oggi è di rimpiazzo al pronto soccorso ed è da un’ora che stanno cercando di contattarla.»
«Gesù!»
«Pardon?»
«Ho detto che li chiamerò immediatamente.»
«L’infermiera ha detto qualcosa su un cinquantenne di Hawleyville con diarrea e febbre e nessun medico.»
«È fortunato. Ho ricevuto il premio ‘febbre e diarrea’ a Harvard. L’ambulatorio va bene?»
«L’ambulatorio è a posto… E tu?»
«Che cosa sei, una specie di strega?»
«C’è chi lo sostiene. Posso fare qualcosa?»
«Per il momento, nulla. Ma lasciami il pomeriggio il più libero possibile.»
«Farò del mio meglio.»
Matt telefonò al pronto soccorso e diede parecchi ordini diagnostici e terapeutici per l’agricoltore che sembrava avesse contratto un’infezione batterica intestinale, forse salmonella o Shigella. Si spogliò poi in camera da letto, con un calcio mandò i vestiti sporchi sotto una sedia, quindi s’infilò sotto una doccia, la più calda possibile. I graffi e le escoriazioni sul viso non erano brutti come aveva pensato, ma dovette fregarsi per alcuni minuti prima di rendersi conto che il nero attorno agli occhi non aveva nulla a che fare con l’unguento mimetizzante di Lewis e che non sarebbe scomparso lavandolo.
Mentre si asciugava, lanciò un’occhiata al libro che teneva sulla cassetta del water: Manuale di medicina e chirurgia d’urgenza. Sarebbe passata una vita intera prima che dovesse eseguire di nuovo uno di quegli interventi. Eppure… lo sfogliò brevemente, quindi lo mise in un posto più prestigioso, il comodino in camera da letto.
L’agricoltore con febbre e diarrea era disidratato e aveva moderati disturbi addominali. Matt lo esaminò, prescrisse una serie di esami e dettò la lunga cartella clinica di ricovero. Pregò che la giornata non fosse troppo convulsa, ma non venne esaudito. Venti minuti dopo, da una casa di riposo arrivò in ambulanza una novantenne colpita da ictus, che le aveva paralizzato il lato destro e tolto la capacità di parlare. Un tipico incubo medico ed etico, e naturalmente il suo medico di fiducia era in vacanza. Matt si chiese se fosse giusto sottoporla a trattamento. Rimase accanto al suo letto, tenendo la mano nodosa nella sua, fissando i suoi occhi appannati, ma senza ricevere alcun messaggio preciso. Sua madre era molto più giovane di quella donna e non era ancora arrivata a quel punto, ma l’Alzheimer stava progredendo costantemente e non sarebbero passati molti anni prima che lui dovesse chiedersi se il trattamento che le facevano era crudele o no. Per sua madre, tuttavia, oggi era oggi, proprio come lo era per quella povera donna. Sospirando, prese la cartella e prescrisse cure per l’idratazione, esami diagnostici e un consulto neurologico. Avrebbe avuto bisogno di saperne di più su di lei, prima di indossare il camice e iniziare a fare la parte di Dio.
Quando ebbe terminato una seconda lunga cartella di ricovero e visitato parecchi pazienti nel suo ambulatorio, il pomeriggio stava svanendo. Tornato al pronto soccorso, rilesse l’elenco di attrezzature e farmaci che avrebbe «sottratto» dall’ospedale per Lewis. Aveva appena messo insieme un vero apparato di drenaggio polmonare, quando vide avvicinarglisi di corsa un tecnico del servizio di emergenza su ambulanza. Si chiamava Gary Lydon ed era un giovane poco più che ventenne, serio, dal viso infantile.
Читать дальше