Adagio, ora, con calma.
Il colorito della donna era ancora brutto. Di secondo in secondo le cellule cerebrali venivano compromesse. Presto avrebbero iniziato a morire.
Forza, Rutledge. Mantieni la calma e non farti prendere dal panico. Lo puoi fare… Tu… lo… puoi… fare.
Trasse un profondo respiro, strinse il manico del laringoscopio e spinse la lama verso l’alto di un altro quarto di centimetro. Il movimento spostò ancora di più la lingua della vittima e sollevò l’epiglottide, la cartilagine che impedisce che i polmoni aspirino cibo o liquidi. Il lieve aggiustamento fece sì che l’acqua si ritirasse di quel tanto da esporre le due mezzelune argentee che erano le corde vocali.
Sì!
Infilò delicatamente il tubo tra le corde vocali.
«Ci siamo», esclamò, cercando, inutilmente, di suonare indifferente.
Si udì il sollievo dei due tecnici del soccorso e dei poliziotti.
«Bel lavoro», commentò uno dei due.
Matt utilizzò una grossa siringa per gonfiare il pallone fissato attorno all’estremità del tubo, e lo chiuse ermeticamente per evitare che l’aria fuoriuscisse. Kirsten Langham fissò rapidamente il pallone in lattice nero al tubo e lo collegò all’ossigeno. Nel giro di pochi secondi, il colorito grigiastro e chiazzato della donna cominciò a cambiare. Forse ce l’avrebbe fatta. Restava da vedere che cosa era successo al suo cervello.
Matt azionò il pallone di ventilazione, mentre i due paramedici spingevano la barella lungo il sentiero fino all’ambulanza. Mentre la donna veniva issata nella cabina posteriore, Matt prese da parte i ragazzi.
«Voi due avete fatto una cosa fantastica. È più che probabile che le abbiate salvato la vita.»
«È stata fortunata che fossimo lì», commentò uno dei due.
«Direi proprio di sì. Tu sei Harris?»
«Io sono Michael. Lui è Harris.»
«Capito. Due domande. In primo luogo, ripetete cosa è successo. Stavate pescando e lei è caduta in acqua proprio davanti a voi.»
«Sì.»
«Ed è andata a fondo?»
«Potrebbe essere rimasta a galla per un paio di secondi», s’intromise Michael, «ma nel complesso le cose sono andate proprio così. Mi sono immerso, ma non sono riuscito ad afferrarla prima di restare senza fiato. Poi l’abbiamo fatto insieme e l’abbiamo tirata su per i capelli.»
Due minuti, al minimo, valutò di nuovo Matt. Quattro al massimo, a seconda di quando hanno iniziato a farle la respirazione bocca a bocca e di quanto bene l’hanno fatta.
«Avete fatto la respirazione bocca a bocca?»
«È stato Harris. Io mi sono messo a chiedere aiuto a squarciagola.»
«Harris, le hai tenuto chiuso il naso?»
«Sissignore. E le ho anche inclinato la testa all’indietro.»
«Dove hai imparato a fare al respirazione bocca a bocca?»
«Ce lo hanno insegnato durante l’ora di igiene, signore. Abbiamo usato un manichino per impratichirci.»
«Non c’è che dire, siamo proprio felici che tu abbia prestato attenzione a quella lezione», scherzò. «E ora, riguardo a quegli spari?»
«Non erano spari», s’intromise Michael. «Troppo deboli. Forse era il rumore di rami spezzati o il ritorno di fiamma di una macchina sulla strada.»
«No, erano degli spari», insisté Harris. «Michael, ascolta, le pistole non fanno lo stesso rumore di un ritorno di fiamma. Ci sono stati due spari, forse tre.»
«Pronti», gridò Gary dal retro dell’ambulanza. «Kirsten l’aiuterà con il palloncino. Io guiderò.»
«Ragazzi, siete stati fantastici», ripeté il dottore. «Molte persone, inclusi medici, credono a volte di avere salvato la vita a qualcuno, mentre, in verità, potrebbero non averlo fatto. Credetemi, voi due l’avete veramente fatto.»
Saltò sull’ambulanza e salutò con la mano i due ragazzi, mentre Gary chiudeva lo sportello. Si sedette sulla panca di fronte a Kirsten e, per la prima volta, guardò attentamente la donna che per poco non moriva sotto la Niles Ledge.
Era ancora priva di sensi. Il gonfiore sopra l’occhio sinistro era pronunciato e cominciava a sbiadire. Matt lo toccò, ma non ebbe l’impressione che sotto vi fosse una frattura del cranio. L’incisione lineare sopra la tempia destra avrebbe potuto essere stata causata da una pallottola. Aveva graffi anche sulle guance e il mento, simili a quelli che si era fatto Matt solo dodici ore prima. Non era esagerato immaginarla attraversare correndo quel fitto bosco, atterrita, inseguita da qualcuno che le sparava contro.
Separò le palpebre e usò la penna luminosa per esaminare di nuovo la reazione delle pupille alla luce. Questa volta il risultato cambiò.
«Entrambe le pupille reagiscono», dichiarò.
«Fantastico», commentò Kirsten. «La saturazione di ossigeno nel sangue è novantasette.»
«Sufficientemente buona. Non saprei dire il perché, ma non mi sembra che il suo stato di incoscienza sia più tanto profondo.»
«So che cosa intende dire. Ha come iniziato a mordicchiare il tubo.»
Matt le spostò i capelli bagnati dalla fronte. Il volto, un po’ deformato dal tubo di ventilazione, aveva una sua serenità, una certa delicatezza, fronte liscia, pallida… zigomi alti… occhi grandi a mandorla. Sollevò la mano floscia e la pose sulla sua. Aveva dita lunghe e sottili, unghie tagliate corte. Se erano coperte di smalto, doveva essere trasparente. Nell’anulare destro era infilato un anello Claddagh d’oro, simbolo d’amicizia — due mani che reggevano un cuore — e un singolo cerchietto d’oro al polso sinistro. Nessun altro gioiello. I palmi erano morbidi senza accenno di calli, ma avevano una certa muscolosità. Matt immaginò quelle mani suonare il piano o scrivere o creare vasi in creta, qualcosa di manuale e di artistico.
Ehi, tu, forza, la esortò silenziosamente, svegliati!
L’apparecchiatura mobile per la risonanza magnetica nucleare che serviva la regione si trovava al momento, per i suoi due mesi di rotazione, all’ospedale Hastings, a quaranta chilometri di distanza. La contea di Montgomery aveva, tuttavia, un apparecchio per la tomografia computerizzata quasi altrettanto preciso per traumi senza fratture della testa. Matt chiese via radio che gli riservassero una camera entro un’ora. Chiese inoltre al capo del servizio infermieristico di telefonare al dipartimento di polizia di Belinda e di chiedere che un agente si recasse al pronto soccorso per iniziare le indagini su una possibile sparatoria e anche per cercare di scoprire l’identità della sua paziente. Mentre chiudeva il contatto radiofonico, si chiese se i potenti alla BC C avessero presentato un reclamo contro di lui alla polizia.
Paziente salvato, medico arrestato.
Il genere di notizia amato dalle piccole città.
Quando entrarono a marcia indietro nello spazio riservato alle ambulanze, in loro attesa vi era la squadra di pronto soccorso. Per i successivi quindici minuti, Matt passò in secondo piano. I principali sanitari divennero gli infermieri e il tecnico dell’apparato per la respirazione artificiale, mentre il flebotomo e il tecnico di radiologia raccoglievano informazioni diagnostiche. La loro comatosa Jane Pincopalla venne sollevata dalla barella e stesa su un lettino del pronto soccorso, spogliata e coperta con un camice e un lenzuolo. I tubicini della flebo e del monitoraggio vennero trasferiti sull’attrezzatura ospedaliera. Nella vescica le venne inserito un catetere per seguire le emissioni urinarie e l’idratazione e venne attaccata a un apparecchio per la respirazione artificiale. Vennero poi fatte radiografie del torace e del cranio con un apparecchio portatile.
Alla fine, la squadra si ritirò e Matt riprese il suo posto accanto al letto. Questa volta, l’esame sarebbe stato più dettagliato e avrebbe incluso l’esame del fondo degli occhi della donna con l’oftalmoscopio. Si sentì sollevato nel notare pulsazioni nelle vene in fondo agli occhi e nitidezza ai bordi dei nervi ottici. La loro assenza sarebbe stata un brutto segno, dato che avrebbe indicato la presenza di un notevole edema cerebrale causato da trauma e/o da prolungata mancanza di ossigeno.
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