Persa nei suoi pensieri, raccolse le sue cose e si diresse verso l’auto. Dopo il discorso della first lady ci si aspettava di certo che parlasse personalmente con Cheri e Sally, ma lei aveva continuato a rimandare l’incontro. Cheri Sanderson non aveva, tuttavia, atteso troppo a lungo prima di telefonarle. Non era una sciocca e l’incertezza di Ellen, per quanto minima, risonava ancora forte e chiara.
«La faccenda si fa seria, Ellen», aveva esordito al telefono. «Mentirei se dicessi che non è importante per noi trovarci improvvisamente al centro dell’attenzione e che tu sei nella posizione di metterci lì.»
Dopo un chilometro e mezzo, Ellen usò il cellulare per chiamare Rudy.
«Peterson.»
«Rudy, sono io», si presentò, immaginandolo seduto alla scrivania al primo piano della sua casupola.
«Ehi, auguri. Diventerai famosa?»
«Vuoi dire, se voterò contro l’Omnivax?»
«Finiresti di certo all’ Oprah show.»
«Suppongo di sì. Ieri ho visto il capo del comitato e ora sto andando a parlare con le mamme al PAVE.»
«E?»
«Non sono più tanto sicura, Rudy. Hai qualche informazione sul Lasaject che potrebbe aiutarmi?»
«Sto aspettando una telefonata da un amico che lavora al CDC. Tutto ciò che posso dirti al momento è che il progetto della ricerca preliminare sul vaccino è stato un po’ trasandato e assai limitato. Ma come ho già detto, ci sono altre cose che stanno andando avanti e la telefonata di Arnie Whitman dal CDC riguarda proprio quelle.»
«Quando saprai qualcosa?»
«Forse oggi sul tardi, forse domani. Nel frattempo, tutto quello che posso dirti è che il vaccino sembra a posto, se non immacolato. Quando ci sarà la votazione?»
«Dopodomani.»
«Che posso dirti, oltre a garantirti che mi farò sentire?»
«Grazie, Rudy.»
«Hai in programma di venire da queste parti?»
«Subito dopo la votazione. Mi piace lassù, e Dio solo sa quanto mi farebbe bene un po’ di riposo.»
Ellen agganciò. Rudy non sarebbe stato la risposta, almeno non in questa ripresa.
A differenza dell’ultima volta che era stata al PAVE, questa volta Ellen non riuscì a trovare un posto per l’auto e dovette fermarsi in un posteggio a pagamento, ben otto dollari per la prima mezz’ora, a tre isolati di distanza. I vaccini presentavano dei problemi che né il governo né il mondo scientifico stavano cercando di risolvere. Non aveva alcun dubbio che molte vite venivano perse o rovinate a causa di complicazioni immediate o a lungo termine delle vaccinazioni. Non aveva però nemmeno alcun dubbio che i vaccini evitavano una gran quantità di morti e sofferenze.
Questa volta, quando Ellen entrò negli uffici del PAVE, nessuno si alzò in piedi per applaudirla. Nessuna frivolezza. All’improvviso, la sua coraggiosa e donchisciottesca presa di posizione a favore di questioni in cui tutti loro credevano era diventata qualcosa di serio. Ellen ricordò il delizioso libro e film, Il ruggito del topo , in cui un minuscolo stato con un esercito di una ventina o poco più di soldati armati con archi e frecce, muove guerra contro gli Stati Uniti. Il loro piano è di perdere rapidamente per poter raccogliere le tradizionali riparazioni di guerra dai vincitori americani. Il fatto è che vincono. Che fare ora?
Nessuno, proprio nessuno aveva previsto di potersi trovare nella condizione di sconfiggere l’Omnivax, anche se solo momentaneamente. Tutto ciò che il PAVE voleva era una piattaforma su cui fare un altro passettino in avanti, per presentare al mondo le preoccupazioni sulla sicurezza del vaccino. In questo senso Ellen aveva fatto ciò che doveva fare.
Che fare ora?
«Ehi, arriva l’eroe vittorioso.»
Cheri Sanderson balzò fuori dal suo ufficio e abbracciò EUen.
«Se sono tanto vittoriosa», commentò Ellen, «come mai mi sento come se avessi un limone conficcato in gola?»
«Se non sbaglio John Kennedy si era ammalato proprio prima di telefonare a Kruscev e di dirgli di spostare i missili, altrimenti… Entra. Caffè? Tè?»
«Niente, grazie. Sally non c’è?»
Nell’ufficio ingombro di Cheri vi erano articoli incorniciati che parlavano dell’incredibile influsso del PAVE, e della sempre più grande consapevolezza generale che le vaccinazioni non erano benefiche e indiscusse come le autorità volevano che tutti credessero.
«Trascorre la giornata con suo marito. Ultimamente si è lasciata prendere un po’ da questa faccenda dell’Omnivax e credo sia stata un po’ fredda con lui.»
«Posso capire. So cosa ha passato dopo quello che è successo a suo figlio.»
«E così oggi siamo solo tu e io. Lynette ti ha messo in un bel guaio, eh?»
Ellen si fissò le mani. Questa donna, non più alta di un metro e cinquantacinque, cinquantasette, era un gigante, scelta forse da Dio perché superasse grossi svantaggi per poter fare una differenza. Negli ultimi dieci anni aveva trascorso migliaia di ore a blandire, scrivere, indagare, discutere, lisciare, condannare, implorare, consolare, piangere per poter aiutare il mondo a raddrizzare qualcosa che secondo lei era totalmente sbagliato. Aveva lottato accanto a madri cui venivano portati via figli, perché loro si rifiutavano di farli vaccinare. Si era trovata davanti a dottori espressamente nominati nel Tribunale dei diritti federali degli Stati Uniti, stringendo le mani di genitori che avevano appena ricevuto una somma irrisoria per prendersi cura del figlio menomato dal vaccino, la somma massima per legge secondo il National Childhood Vaccine Injury Act del 1986, o peggio, nessun risarcimento.
Ellen fissò una delle citazioni incorniciate. Era di una madre del Wisconsin, il cui figlio, il cui sogno, era stato tremendamente e irreparabilmente distrutto: Il governo ci costringe a vaccinare i nostri figli , diceva, e poi, quando qualcosa va storto, peccato, devi cavartela da sola.
«Senti», disse infine Ellen, incapace di velare le parole, «scusami se ti sembro tanto riservata, ma non hai idea di ciò che ho sentito in questi tre anni e di chi ha detto quelle cose. Quelle persone non sono dei mostri né dei criminali né degli assassini. Sono medici e scienziati e intellettuali. Credono veramente in ciò che stanno facendo.» Con grande sorpresa di Ellen, Cheri non la confutò automaticamente. La sua espressione, che a volte aveva la durezza del diamante, era dolce e triste.
«Lo so», disse dolcemente.
«Non metto in discussione il fatto», continuò Ellen, «che molti di loro ricevano denaro dalle ditte farmaceutiche. Ma ciò li rende necessariamente disonesti? Per ogni grafico presentato da me, loro hanno fornito risposte incredibilmente logiche e suffragate. Per ogni esperto citato da me, loro ne hanno menzionati dieci con titoli altrettanto genuini. Era diverso quando pensavo che il mio voto sarebbe stato un simbolo, una cortese richiesta che la discussione su questo tema continuasse. Non ho mai voluto essere l’epicentro di questa controversia. Non ho mai voluto esserne il fulcro.»
Cheri si portò alle spalle dell’amica e l’abbracciò, la guancia sui capelli di Ellen. Non c’era nulla di falso in quel gesto, di certo non era dettato da senso di condiscendenza.
«Ascolta», disse, rimettendosi a sedere, «non ti dirò che questo non è importante per noi. Ma non è tutto. È una battaglia, non tutta la guerra. Erano presenti più di cinquecento persone al convegno sul vaccino che abbiamo tenuto quest’anno. Cinquecento persone da tutto il mondo, professori, pediatri, scienziati, genitori, filosofi. Al prossimo ce ne saranno di più. La stampa e il Congresso cominciano a capire che non siamo delle radicali isteriche, trascinate dall’amarezza, dagli ormoni, dalle emozioni, prive di logica, per nulla disposte ad ascoltare la voce della ragione.
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