«Ellen hai fatto un lavoro fantastico, più di quanto chiunque di noi aveva il diritto di aspettarsi. Hai reso fieri me e Sally e tutti gli altri là fuori. Hai già fatto capire a migliaia di genitori che le loro opinioni importano. Se voti contro l’Omnivax, tu e io sappiamo che andrai incontro alla frenesia famelica della stampa e forse finirai addirittura sulla copertina di Newsweek o del Time. Saremmo ingenue se pensassimo altrimenti. Se voti a favore, la tua vita riprenderà il solito corso e saremmo felici di ridarti il tuo incarico al telefono. Ti prometto, tuttavia, che, qualsiasi decisione prenderai, nulla cambierà nella nostra ferma intenzione di pretendere una valutazione scientifica, precisa e a lungo termine delle vaccinazioni. La nostra crociata a favore di una scelta fatta da genitori consapevoli non cambierà. Non cambierà nulla nemmeno nel nostro impegno a trovare una via di mezzo che sia la più sicura per tutti.»
L’espressione di Cheri fece capire a Ellen che non stava facendo alcun giochetto cerebrale, anche se in alcuni ambienti si riteneva che fosse una campionessa.
«Ho quasi deciso cosa farò», dichiarò Ellen, «ma finché non ne sarò completamente certa, preferirei tenere per me la mia scelta.»
«Va bene», replicò Cheri. «Sarebbe bello saperlo appena tu lo vorrai e, naturalmente, spero che scenderai in campo a nostro favore.»
«Voglio fare ciò che è giusto», soggiunse Ellen, sperando che Cheri capisse che era probabile che le cose andassero come voleva lei.
«Questo è tutto ciò che ti abbiamo chiesto», osservò Cheri.
Mentre passava accanto all’ufficio di Sally, Ellen sbirciò dentro e soffermò lo sguardo sulle fotografie che adornavano le pareti, fermandosi un attimo davanti a una in particolare.
La casa di Ellen, sette stanze in stile Cape Cod a Glenside nel Maryland, nella zona a sudest di Washington, era quella che lei e Howard avevano acquistato poco dopo il matrimonio.
«Se questo sarà l’unico posto in cui vivremo, sarò assolutamente felice», aveva detto allora.
Certo.
Sulla via di casa, Ellen si fermò al supermercato del quartiere per comperare uova e latte. Amava le frittate di ogni tipo, e con ciò che vi era in frigo, nello scomparto della verdura, avrebbe creato un gran pasto. Fisicamente e mentalmente era sfinita, esausta come non ricordava d’essere mia stata. Mentre tirava fuori il portafoglio alla cassa, lanciò un’occhiata allo scaffale delle riviste. C’erano sia il Time sia Newsweek. Immaginò la propria faccia sulla copertina. Oggi a comperare uova e latte al Kim’s Korner , domani il suo volto in tutto il mondo. Era pronta per una cosa simile?
Che ne pensi, Howie? Prevedi di vedere presto la tua nuova moglie sulla copertina di una rivista? Sul Mensile della Barista?
Ellen sistemò la spesa sul sedile del passeggero, vergognandosi per la sua piccineria. Riusciva quasi sempre a controllare abbastanza bene rabbia e dolore e stava male quando sgarrava. Il supervaccino era una cosa troppo grossa, che stava succedendo troppo in fretta. Pensò alle orribili cifre che Steinman le aveva mostrato: vite perse o distrutte se votava a favore del farmaco, contro vite perse o distrutte se votava contro. Fondato sull’attuale livello di conoscenza del vaccino, il verdetto era di parità. Ma quello era proprio il punto a favore del quale Cheri e Sally e gli altri si stavano battendo, un aumento del grado di conoscenza.
Ellen parcheggiò nel garage e portò in casa la spesa passando per la porta della cucina. Malgrado la sgradevole associazione d’idee con Howard, amava veramente quella casa, dalla fila di erbe aromatiche alla finestra all’enorme quercia nel cortile sul retro, agli scoiattoli fastidiosi, al piccolo balcone che sporgeva dalla sua stanza da letto dove passava molte ore a guardare le prime luci del giorno filtrare attraverso gli alberi. Era veramente una piacevole…
Ellen depose il pacco e annusò l’aria. Qualcuno aveva fumato in casa sua? Una delle cose che infastidivano Howard era sempre stato il suo senso dell’odorato esageratamente sviluppato, e una delle cose che a lei davano più fastidio era il fumo delle sigarette. Annusando curiosamente in giro, percorse il corto corridoio che portava in soggiorno. Lì gridò e barcollò all’indietro, stringendosi il petto per impedire al cuore di esplodere.
Seduto tranquillo nella poltroncina accanto al caminetto vi era un uomo grande e grosso. Indossava un costoso completo grigio, camicia nera, collo sbottonato, niente cravatta e stivaletti da cowboy decorati. La testa, squadrata come un blocco di granito, era coperta da una fitta capigliatura nera come l’ebano, pettinata all’indietro e tenuta a posto da qualche gel scintillante. Gli occhi duri e stretti sembravano neri come i capelli e la bocca larga era accentuata da una breve e grossa cicatrice che correva dal centro del labbro superiore alla base del naso, con ogni probabilità conseguenza di un intervento per correggere il labbro leporino.
«Perbacco, mi spiace averla spaventata, signora Kroft», esclamò l’uomo con una piacevole voce roca e il modo di fare allegro e disinvolto di un venditore di auto usate. «La prego, si accomodi, si accomodi.»
Ellen rimase bloccata dov’era. Non vi era alcuna prova che quell’enorme intruso avesse fumato in casa sua, eppure la puzza delle sigarette proveniva decisamente da lui. Pensò di fuggire, ma in verità, non aveva l’impressione di trovarsi in un pericolo immediato. L’uomo era già entrato in casa sua. Se avesse voluto farle del male, non l’avrebbe aspettata tranquillamente nel soggiorno.
«Chi è lei? Che vuole?» domandò.
L’uomo sorrise pazientemente.
«Chi sono io, non importa. Ciò che voglio ora è che lei si sieda… là.» Indicò il divano vicino alla poltrona.
Ellen esitò, poi trasse un respiro e fece come era stato richiesto. Da vicino, i suoi occhi erano più che scuri, erano spaventosamente freddi. Le grosse dita dalle nocche sporgenti erano arricciate attorno a una grossa busta che teneva in grembo. Al mignolo della mano sinistra, un anello d’oro con un diamante dal taglio quadrato di almeno tre carati.
«Allora», chiese Ellen, «che fa qui?»
«Io rappresento un gruppo molto interessato a che l’Omnivax entri in circolazione il più presto possibile. Questo è tutto ciò che ha bisogno di sapere.»
«E allora? Che c’entra con me?»
La sua espressione s’irrigidì. Ellen pensò di avere visto un leggero tic all’angolo della bocca. L’uomo riuscì comunque a fare un sorriso di condiscendenza.
«Signora Kroft», disse, con voce gelidamente calma, «non ho né il tempo né la pazienza per questi giochetti. Sia lei sia io conosciamo il significato dell’infelice promessa che Lynette Marquand ha fatto al mondo.»
«E allora?»
«Allora io so, da fonte autorevole, che lei è l’unica persona che potrebbe costringerla a mantenere quella promessa.»
«Per chi lavora lei? Per il presidente? Per le ditte farmaceutiche? Per chi?»
L’omone sospirò con impazienza e ignorò la sua domanda.
«Signora Kroft, devo insistere per avere la sua parola che non bloccherà la distribuzione di Omnivax.»
«Che cos’ha in quella busta?» chiese Ellen. «Soldi per corrompermi?»
«Oh, non ho alcuna intenzione di cercare di corromperla, signora.»
C’era qualcosa di raggelante nel modo in cui pronunciò quelle parole. Le porse la busta, ed Ellen l’aprì, tirò fuori le fotografie e restò a bocca aperta. La busta conteneva una decina di istantanee venti per venticinque, in bianco e nero, nitide, professionali, di Lucy. Lucy che entrava nella scuola, mano nella mano con Gayle; Lucy nel parco giochi; Lucy nel cortile di casa; addirittura Lucy addormentata nella sua cameretta.
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