Michael Palmer - Sindrome atipica

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Sindrome atipica: краткое содержание, описание и аннотация

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Il dottor Rutledge ha la certezza che ci sia qualcosa di sospetto nelle morti dei suoi pazienti. Troppe banali influenze degenerate in incomprensibili complicanze non hanno lasciato scampo ai malati. L’uomo nutre un sospetto: che nell’evoluzione fatale delle malattie sia coinvolto il giacimento di carbone, la cui aria nera copre il cielo della sua città, nel West Virginia. Ma presto il dottore capisce che le sue indagini lo stanno portando a scoprire segreti molto più pericolosi di quanto potesse immaginare.

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Matt pose le mani sulla schiena di Lewis e cercò, senza riuscirvi, di capire se il polmone sinistro fosse dilatato. Appoggiò poi l’orecchio vicino alla ferita d’entrata e auscultò i rumori del respiro. La situazione era semplicemente troppo strana per poter dire qualcosa.

«Lewis, come va il respiro?» chiese, controllando i battiti nel braccio e nel collo dell’uomo, pulsazioni forti e regolari.

«Andrebbe meglio se potessi avere una di quelle sigarette che sono nella tasca posteriore», borbottò Lewis, interrompendosi due volte per tossire.

«Saranno zuppe d’acqua. Tutto è inzuppato», osservò Matt, addolorato per ciò che, a causa sua, era capitato al vecchio amico.

«Le avevo messe in un sacchetto di plastica. Anche i fiammiferi.»

«Come mai non ne sono sorpreso? Ascolta, Lewis, appena ce ne saremo andati di qui, te ne darò una. Promesso.» Matt spense la torcia. «Che dobbiamo fare ora, secondo te?»

«Non rimanere qui, questo è certo.»

«Riesci a camminare, se ti aiuto?»

Matt pensò che fossero passati quindici minuti o più da quando Lewis era stato colpito da una di quelle pallottole rimbalzanti. In quel lasso di tempo avevano percorso parecchia strada attraverso gallerie strette, basse e sinuose. L’uomo aveva superato la sessantina ed era di esile costituzione, ma era anche forte come un toro.

«Posso provarci», rispose Lewis.

Con cautela, il più silenziosamente possibile, scesero lentamente la collina, scivolando sul didietro. Giunti in fondo, aspettarono di nuovo, con le orecchie tese. Infine Matt mise il braccio attorno alla vita di Lewis e lo aiutò, prima ad alzarsi, poi ad attraversare la stretta radura tra la collina e il bosco. Da qualche parte, in lontananza, sentirono delle voci, ma la minaccia di venire scoperti, almeno per il momento, sì era allontanata.

Penetrarono per una cinquantina di metri nel bosco, poi capirono che Lewis non sarebbe riuscito a raggiungere la moto. Respirando più velocemente, si lasciò cadere contro la base di un pino.

«Non è una cosa maledettamente assurda?» commentò, costellando la sua osservazione con brevi accessi di tosse. «Ho trascorso due anni in Vietnam senza un graffio. E ora questo.»

«Mi sembra ti riesca più difficile prendere fiato.»

«Andrà tutto bene.»

«Lewis, devo portarti in ospedale.»

«Io non ci andrò.»

Tossì di nuovo, ma questa volta non riuscì a reprimere un gemito di dolore. Matt controllò le ferite, che non sanguinavano più, e il battito, che pareva ancora piuttosto forte.

«Ascolta», disse, «devi rimanere qui mentre vado a prendere la moto. Poi ti porterò all’ospedale.»

Gli occhi di Lewis lampeggiarono.

«C’è qualcosa che non va con il tuo udito, ragazzo? Ho detto che non sarei andato all’ospedale. È probabile che quelle guardie non sappiano a chi hanno sparato, ma il mio arrivo in ospedale con un maledetto foro di proiettile in corpo sarebbe una condanna a morte, probabilmente anche per te.»

Rimase senza fiato prima di poter continuare.

«Senti, vado a prendere la moto, se la trovo. Dopo ne riparliamo.»

«Ho detto tutto quello che avevo da dire», ribatté Lewis, incrociando le braccia sul petto.

Gli diede indicazioni per raggiungere il sentiero che avevano preso per arrivare al crepaccio. Matt raccolse la torcia elettrica e la bussola e si accinse ad andarsene. Prima però s’inginocchiò accanto a Slocumb.

«Lewis, sono veramente dispiaciuto per quello che ti è successo», ammise. «Vorrei fosse capitato a me.»

«Ehi, io non lo vorrei proprio», ribatté Lewis con voce nasale. «I miei fratelli mi ucciderebbero in un battito di ali, se pensassero che ho lasciato che ti sparassero. Tu sei il nostro medico.»

«Tornerò presto», promise. «Tu resta qui.» «Era quello che avevo intenzione di fare.» Con tutti i sensi tesi, Matt aggirò la collina, tenendosi alla larga dagli uomini che ne perlustravano la base. Non aveva mai usato una bussola e, dopo un po’, smise di provarci. Erano passate da poco le quattro. Con ogni probabilità, al mattino avrebbero intensificato la loro ricerca. Al buio era stato impossibile capire se Lewis fosse ben nascosto o no. Spronato dal pensiero che forse non lo era, Matt si mise a correre, inciampando più di una volta in grosse radici che sporgevano dal terreno. Era ancora rischioso usare la torcia, ma, dopo essere inciampato ed essere finito di testa in un cespuglio di ginepro, decise che valeva la pena correre quel rischio.

Sapendo vagamente dov’era la collina, continuò la sua corsa alla ricerca della piccola radura dove aveva incatenato la Kawasaki Vulcan. Arrivarci voleva dire avere un’ assoluta fiducia nelle indicazioni di Lewis e un sacco di fortuna, ma non tanta quanta gliene sarebbe servita per fare attraversare il fitto bosco a una moto che pesava ben duecentocinquanta chilogrammi.

Con sua gran sorpresa, fu facile trovare la motocicletta. Il trucco era stato ricordare dove fosse rispetto alle colline e proseguire finché non avesse raggiunto il torrente. Poi aveva svoltato a destra, imboccato uno stretto sentiero e scrutato con attenzione il bosco, finché non aveva scorto la moto.

Matt sbloccò il veicolo e lo spinse per circa sei metri sul terreno irregolare. Le radici gli intralciavano il cammino, e piccole pietre gli facevano perdere l’equilibrio. Aveva calcolato che dalla base della collina al punto in cui aveva incatenato la motocicletta vi fossero circa ottocento metri. C’era la possibilità che l’aria pesante e umida soffocasse il rumore del motore, a patto che lui non si avvicinasse troppo agli uomini che li stavano cercando. Ma anche se fosse riuscito a portare la moto attraverso il bosco fino a un punto equidistante da dove Lewis lo stava aspettando, avrebbe sempre dovuto svoltare a destra e dirigersi verso le colline dove le guardie stavano perlustrando.

Non c’era proprio altra possibilità?

Avrebbe potuto ignorare i desideri di Lewis e coinvolgere immediatamente la polizia e una squadra di soccorso. Oltre ad avere sconfinato in una zona che comunque non era segnalata, non avevano fatto realmente nulla di male e, avessero agito legalmente o no, quello che avevano trovato dimostrava che la miniera ammassava e depositava rifiuti tossici. Sentiva, tuttavia, che era rischioso coinvolgere la polizia di Belinda. Non c’era una grande affinità tra gli Slocumb e i pubblici ufficiali della città ed era cosa nota che il capo della polizia, Bill Grimes, era strettamente legato ad Armand Stevenson.

Forse valeva la pena contattare suo zio, pensò. Hal era in rapporti amichevoli con Grimes, come lo era con la maggior parte degli abitanti di Belinda.

Matt sapeva che, se non avesse chiesto aiuto e fosse successo qualcosa di grave a Lewis, gli sarebbe stato per sempre difficile vivere con se stesso. Gli sarebbe, tuttavia, stato altrettanto difficile farlo, se avesse tradito la sua fiducia.

È stata la mia valutazione clinica, Lewis.

Ebbene, che la tua valutazione clinica vada al diavolo, ragazzo. Tu hai appena firmato la nostra sentenza di morte.

Con lo stomaco sottosopra, Matt verificò la posizione della collina con la bussola, avviò il motore e lanciò la motocicletta nel fitto bosco. Al diavolo la valutazione clinica.

Attraversare la boscaglia in una notte senza luna e in sella a una motocicletta di duecentocinquanta chili costruita per viaggiare su strada, era stimolante quanto una esercitazione antisciagure al pronto soccorso, ma molto più pericoloso. Tenendo i piedi staccati dalle pedane e le gambe tese in avanti per bilanciarsi, serpeggiò tra alberi e rami bassi, cercando disperatamente di non mandare troppo su di giri il motore. Rovi frustavano la visiera e gli graffiavano mento e labbra. Una volta, la Vulcan sbandò di lato su una grossa radice e cadde. Matt riuscì a stento a evitare che la gamba gli rimanesse sotto la moto o si bruciasse con il tubo di scappamento. Cinque minuti… dieci… Di certo il rumore del motore aveva ormai attirato l’attenzione. Con ogni probabilità avevano delle ATV, le grosse moto a quattro ruote motrici, e stavano già seguendo il rumore. Quindici… Pensò fosse ora di svoltare a destra verso la collina.

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