Michael Palmer - Sindrome atipica

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Sindrome atipica: краткое содержание, описание и аннотация

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Il dottor Rutledge ha la certezza che ci sia qualcosa di sospetto nelle morti dei suoi pazienti. Troppe banali influenze degenerate in incomprensibili complicanze non hanno lasciato scampo ai malati. L’uomo nutre un sospetto: che nell’evoluzione fatale delle malattie sia coinvolto il giacimento di carbone, la cui aria nera copre il cielo della sua città, nel West Virginia. Ma presto il dottore capisce che le sue indagini lo stanno portando a scoprire segreti molto più pericolosi di quanto potesse immaginare.

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Lynette Marquand indicò con la mano i membri della commissione seduti dietro di lei e quelli nella prima fila, poi li invitò ad alzarsi in piedi e diede il la a un fragoroso applauso. Solo mentre si stava risedendo, l’attenzione di Ellen tornò sul discorso.

«Per quasi tre anni», continuò Lynette Marquand, «ogni membro di questo augusto gruppo di esperti di fama internazionale ha esaminato attentamente l’Omnivax da ogni punto di vista. Io sono stata informata regolarmente dei loro progressi. Presto decideranno con voto segreto se approvare o no la sua distribuzione per uso generale. Io vi prometto, spettatori americani che, se anche uno, uno solo, dei ventitré membri della commissione votasse contro l’Omnivax, noi rinvieremo il programma di inoculazione il tempo necessario per risolvere tutti i dubbi.»

A questa dichiarazione, enunciata con la tipica retorica della campagna presidenziale, tutti balzarono in piedi e applaudirono fragorosamente. Ellen rimase seduta, sconcertata, gli occhi fissi sulla first lady, finché non si rese conto che tutti gli altri erano in piedi. Lentamente, un po’ incerta sulle gambe, si alzò e avvicinò le mani. In quel momento notò che, dal suo posto alle spalle di Lynette Marquand, George Poulos la stava fissando.

10

Più emozionato di quanto non fosse stato da anni, Matt uscì dal garage in sella alla sua Kawasaki. La Honda 250cc era più adatta per i boschi e la Harley non aveva pari sulle strade, ma la Kawasaki poteva portare due persone e le sue sospensioni erano adatte a qualsiasi tipo di pista. Era una Vulcan 900cc, nera e argento, con un motore bicilindrico a quattro tempi e cinque marce, e rispetto alla Harley era ciò che una Corvette era in confronto a una berlina Lexus.

Era passata l’una di notte. L’aria, resa umida da una sottile nebbia, era gelida. Il buio era di buon augurio, pensò Matt, mentre percorreva il vialetto coperto di ghiaia e s’immetteva nella strada a due corsie. Da qualche parte dietro quelle dense nuvole c’era la luna piena.

Quella era la seconda volta nel giro di poche ore che si recava alla fattoria degli Slocumb. La prima volta c’era andato verso le sedici per controllare Kyle. Dopo che il più giovane dei fratelli si era decisamente rifiutato di farsi fare un altro esame rettale dal gastroenterologo, Matt aveva faticato a convincere lo specialista che valeva la pena fare una gastroscopia. L’esame aveva rivelato suppergiù ciò che Matt aveva previsto: una gastrite emorragica, un’infiammazione erosiva della parete dello stomaco di Kyle. Non era comunque il caso peggiore che avesse visto, per cui, quando i segni vitali e il conteggio sanguigno di Kyle si furono stabilizzati, accettò con una certa riluttanza di dimetterlo, benché stesse assumendo farmaci per bloccare la produzione di acidi e di antiacidi per lenire il tessuto danneggiato. Gli aveva assolutamente vietato di bere alcolici di qualsiasi genere, ma specialmente quel torcibudella a 150 gradi prodotto nella distilleria dei fratelli. Sorprendentemente, per quello che poteva dire Matt, Kyle aveva seguito tutte le sue prescrizioni e stava abbastanza bene.

Tenendo al minimo il motore, percorse lentamente l’ultimo mezzo chilometro della strada dai profondi solchi che portava alla fattoria degli Slocumb. Lewis lo aspettava sulla veranda. Un uomo brizzolato e muscoloso sui sessant’anni, indossava una tuta intera in tela jeans, una sbrindellata felpa nera con la scritta WVU, stivali da lavoro e un berretto nero. Si era annerito volto e mani con una specie di cerone.

«Ecco qui», esclamò, mostrando un vasetto di quella roba, «lascia che ti spalmi un po’ di questo sulla faccia.»

«Cos’è?»

«Vernice nera», rispose Lewis.

«Puah! Puzza come… Lewis?»

«Mettitene un po’ anche sulle mani.»

«Non posso credere che ti stia permettendo di fare questo», sbottò Matt. «Prevedi guai? È per questo che ci stiamo camuffando come dei commandos?»

«Che t’aspettavi? La gente che dirige quella miniera non è sopravvissuta comportandosi da sciocca. Hai portato fatto ciò che ti ho chiesto?»

Matt diede un colpetto allo zaino. «Corda, coltello da caccia, macchina fotografica, torcia elettrica, fuochi di segnalazione, una bussola e alcuni vasetti per portare via campioni.»

«Se ce la facciamo ad arrivare tanto vicini», borbottò Lewis.

«Sei proprio un ottimista.»

Sbuffò e salì sul posto del passeggero della Kawasaki.

«Vai da quella parte», disse, indicando una pista fangosa che attraversava il campo completamente buio dietro la casa.

«Questa non è un fuoristrada, sai», osservò Matt. «Non è stata neppure costruita per passare sopra la merda di vacca.»

«Laggiù c’è un sentiero», disse Lewis. «Una scorciatoia bella larga. Continua sempre diritto.»

Seguendo il raggio dei fari abbaglianti della moto, attraversarono a sobbalzi il campo e s’infilarono nel bosco. Per circa venti minuti viaggiarono in silenzio, seguendo quella che forse era stata una vecchia strada per il trasporto di tronchi d’albero. Era difficile viaggiare in due, ma Lewis era un ottimo passeggero.

Il bosco nero come la pece era spaventoso. A un certo punto una civetta gigantesca, con ogni probabilità un assiolo, attraversò il fascio di luce a non più di tre metri da loro, facendo quasi prendere un colpo a Matt.

«Un uccello implume», commentò Lewis, ridacchiando.

Per quanto riusciva a intuire, stavano viaggiando verso ovest, parallelamente alle alte colline, sul lato opposto delle quali vi era la miniera. Matt s’aspettava che lo stretto sentiero scomparisse di colpo, continuava invece ad attraversare il fitto bosco, diritto come un righello. La foschia gli rendeva arduo scrutare attraverso il visore in plexiglas, per cui agganciò il casco al manubrio.

«Sei certo di sapere dove stiamo andando?» chiese.

«Lo so.»

«Quanto manca?»

«Ci siamo. Spegni i fari.»

Ubbidì. Immediatamente li avvolse l’oscurità. Lewis si portò un dito alle labbra. Per parecchi minuti rimasero seduti in quella che pareva una radura, ad ascoltare.

«D’ora in avanti si sussurra», ordinò Lewis. «Non so se quelli della miniera hanno mandato qui qualcuno, ma non mi sorprenderebbe. I loro uomini della sicurezza sono figli di buona donna più cattivi di quanto tu possa pensare.»

«Quanto è lontano il crepaccio?»

«Un po’. Questa moto non è esattamente silenziosa.»

Matt la trascinò nel bosco e la legò a un albero. Prese poi la bussola dalla tasca dei jeans e la esaminò con una pila.

«In quale direzione è la tua fattoria?»

«Da quella parte.»

Sudest, a otto chilometri circa, notò Matt.

«Noi andiamo da quella parte», lo avvisò Lewis, indicando la pista.

Camminarono per una decina di minuti, per circa ottocento metri. Da qualche parte a destra sentì scorrere dell’acqua. Quel suono era coperto dai rumori di insetti e uccellini e di tanto in tanto dal richiamo di una civetta. Il bosco di notte.

«Dove va quel ruscello?» domandò Matt.

«Scende nel crepaccio della collina verso cui siamo diretti. Scorre sottoterra per un bel po’, poi esce nella valle.»

«Da dove viene?»

«Scorre vicino alla fattoria. È tutto ciò che so. Pronto?»

«Pronto.»

Lewis indicò un punto davanti a loro. Matt riuscì a notare un leggero cambiamento nell’oscurità. Pochi attimi dopo si rese conto che la differenza di tonalità era il fianco ripido di una collina rocciosa. Alla loro destra, il torrente, largo forse due metri, si tuffava in un’apertura nella roccia.

«Ci sono un sacco di vie che portano nelle grotte», spiegò Lewis. «Ma questa è il crepaccio ed è quello di cui ha scritto il tuo uomo misterioso. È anche la via che con ogni probabilità non è sorvegliata. Non mi sembra ci sia qualcuno, ma faremo meglio a stare in guardia.»

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