Entrarono nel ruscello e si abbassarono sotto una cengia per infilarsi nella collina attraverso un’apertura alta circa due metri e larga uno, il crepaccio. L’acqua ribolliva e ora arrivava loro fino alle ginocchia, poi virava bruscamente a destra per cadere in una pozza lunga e scura da un’altezza di circa trenta centimetri.
«Come ho detto, questa qui è solo una delle vie che portano dentro la collina», gli sussurrò Lewis. «Non possono introdurre i bidoni per questa via, è troppo stretta e ci sono troppi strapiombi.»
«Come fanno allora?»
«Ci sono altri sentieri più larghi, oppure li portano attraverso la miniera.»
«Questa galleria attraversa tutta la collina fino alla miniera?»
«Proprio così. È tutta in discesa. L’entrata della miniera è molto più in basso di dove siamo noi. Le cave di deposito sono a metà strada.»
«Lewis, quanto tempo fa lavoravate per la miniera?»
«Ecco… non abbiamo più fatto niente da dieci anni o più.»
«Mi sorprende che vi abbiano lasciati vivi, con tutto quello che sapete.»
«Oh, avevano pensato di mandarci qualcuno, una stupidata, poi si sono fatti furbi e hanno mandato soldi.»
«Hanno comprato il vostro silenzio per dieci anni?»
«Suppongo di sì.»
«Lewis, sai che farò chiudere quella discarica, dovessi metterci tutto il resto della mia vita.»
«Lo so.»
«Ebbene, non so quanti soldi perderete quando finiranno i pagamenti, ma voglio dirti quanto apprezzo quello che stai facendo.»
«Tu sei stato buono con noi», ribatté semplicemente.
Matt illuminò con la torcia la galleria davanti a loro. Le pareti, il soffitto e il pavimento parevano stringersi come un corridoio in Alice nel paese delle meraviglie.
«Diventa sempre più stretto e basso?»
«Ce la farai a passare», rispose Lewis. «Bada solo a non fare sospiri troppo profondi.» Ridacchiò.
«Lewis, non so come dirtelo, ma io… ho problemi con gli spazi stretti e chiusi. Li ho sempre avuti. Io… ecco… mi viene il panico.»
«Ehi, da dove ha tirato fuori una storia simile un bravo ragazzo del West Virginia? Ce la farai, dottore. Ci sono solo alcuni punti in cui dovrai strisciare e dove si passa a malapena.»
«Mio Dio», borbottò Matt.
«È passato parecchio tempo dall’ultima volta che sono stato qui, per cui faremo bene a muoverci lentamente. Non sono le strettoie che ti devono preoccupare. Sono gli strapiombi.»
Tenendo le torce puntate a terra, i due si diressero verso il centro della montagna, camminando sempre in discesa. Il rumore dell’acqua che scorreva o precipitava era costante, a volte sembrava vicino, a volte echeggiava attraverso una galleria laterale. Per due volte avevano dovuto schiacciarsi contro una parete e camminare a sghembo lungo il bordo di un precipizio. Una volta, deliberatamente, Matt aveva dato un calcio ad alcuni sassolini facendoli cadere in quelle nere fauci. Il tonfo si era udito appena.
«Non credo che ti piacerebbe cadere laggiù», aveva commentato Lewis.
La stretta galleria fece alcune svolte e Matt cominciò a chiedersi se avrebbero avuto dei problemi sulla strada del ritorno, ma Lewis sembrava muoversi con sicurezza in quell’aria pesante e stantia. Una volta, un passaggio particolarmente basso e stretto l’aveva costretto a mettersi sulle ginocchia. Matt non era riuscito ad abbassarsi sufficientemente e aveva dovuto percorrere quattro, cinque metri strisciando sulla pancia, come un marine. Immediatamente aveva iniziato a battergli forte il cuore. Si era ritrovato a pensare agli uomini delle caverne e a chiedersi come avessero potuto provare qualcosa di diverso dal terrore quando dovevano attraversare strette fenditure nella roccia senza alcuna speranza di potersi inginocchiare, girarsi, o rotolarsi e senza alcuna certezza che il cammino non sarebbe improvvisamente finito. L’idea l’aveva fatto star male e gli aveva irrigidito i muscoli tra le scapole.
Poco dopo si erano rimessi in piedi, la galleria sì era allargata e riceveva ampi affluenti da sinistra. L’aria si era fatta meno pesante.
«Là», sussurrò Lewis, indicando una delle gallerie, «quella è una delle vie che abbiamo usato per portare dentro i barili. Li trasportavamo su carrelli.»
«Chi lo fa adesso?» chiese Matt.
«E chi lo sa. Per quello che ne so hanno smesso.»
«Non credo… Aspetta. Senti questo odore?»
«Sì. La grotta che cerchiamo non è molto distante.»
L’odore, dolce, pungente e leggermente nauseante, era quello di sostanze chimiche. Benzina, toluene, Matt cercò di individuarli con precisione, ma non poté farlo con certezza. Vittoria! pensò. Tutti quei frustranti anni durante i quali aveva cercato di far capire alla gente con quale genere di morale veniva gestita la Belinda Coal Coke stavano per dare i loro frutti. Oltre a quella puzza, dalle pareti rocciose e umide riecheggiava il rumore dell’acqua che scorreva. Alla loro sinistra, appena dietro il punto in cui era Lewis, Matt riuscì a scorgere un piccolo fiume che usciva a forza da un’ampia fessura nella roccia. Il raggio della torcia elettrica riflesso dall’acqua nera illuminò lo spazio al di là. Il soffitto era inclinato verso l’alto. Ora l’odore organico era più intenso. Quali che fossero le sostanze chimiche nascoste più avanti, di certo non erano ben sigillate.
«Lewis», mormorò, «ci siamo?»
«Proprio là», rispose lui, facendo oscillare per un attimo la torcia davanti a sé.
Per circa un minuto i due uomini rimasero al buio. Il rumore del fiume che scorreva rapido riempì la caverna, di cui ora Matt intuì la grandezza.
«Avanza in silenzio, diritto davanti a te», ordinò Lewis. «Non si accende più la torcia, finché non siamo certi di non avere compagnia.»
«Riesco a vederli, Lewis!» esclamò eccitato Matt. «Posso vedere i bidoni!»
Davanti a loro, due enormi piramidi di bidoni di benzina, sei metri di base e tre metri d’altezza, riempivano solo una frazione della caverna. Un terzo mucchio stava prendendo forma. Dietro i bidoni, a quasi 180 gradi dalla galleria attraverso la quale erano entrati, vi era un altro passaggio, più largo, che con ogni probabilità veniva direttamente dalla miniera. Un filo di luce, che arrivava dal profondo di quella galleria, illuminava in controluce i bidoni.
Rimasero schiacciati contro la parete di quella camera sotterranea, lontani dai barili. Lewis accese la sua torcia elettrica, che era molto più potente di quella di Matt, e gliela porse. La vista di ciò che aveva di fronte creò nel petto di Matt un groviglio di tristezza e rabbia. Molti bidoni di benzina parevano essere ancora in buone condizioni, ma alcuni erano corrosi. Un certo numero, sei o sette per quanto poteva vedere da dove si trovava, si erano vuotati sul pavimento roccioso. A meno di dieci metri dietro i mucchi di bidoni, un largo torrente attraversava gorgogliando la caverna, diretto vagamente verso la miniera. Era impossibile pensare che le tossine non passassero attraverso le principali zone di lavoro e da lì nell’ambiente.
«Bastardi», borbottò. «Faremo meglio a muoverci alla svelta, Lewis, non ho idea di cosa facciano ai nostri polmoni o al nostro cervello queste esalazioni.»
«Niente può rovinarmi il cervello più di così», replicò lui, rafforzando la battuta con una risata roca.
Matt si sfilò lo zaino, s’inginocchiò e lo aprì. Estrasse la macchina fotografica e fece una decina di scatti con il flash. Tirò poi fuori una sacca in plastica che conteneva i flaconi per la raccolta di campioni e fece alcuni passi esitanti verso i bidoni. Era a due metri dalla pila, quando i riflettori fissati alle pareti si accesero di colpo, illuminando quasi tutta la caverna come il sole a mezzogiorno.
Matt intravide, appese a una rastrelliera, maschere antigas e tute intere. Istintivamente si lasciò cadere sul pavimento umido, proprio mentre due guardie di sicurezza entravano dall’altra galleria. Le loro esatte parole si persero nell’eco dell’acqua gorgogliante, ma capì che stavano ridendo e scherzando. Uno di loro attivò un quadro di controllo della sicurezza fissato alla parete rocciosa.
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