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Marco Buticchi: Profezia

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  • Название:
    Profezia
  • Автор:
  • Издательство:
    Longanesi
  • Жанр:
  • Год:
    2000
  • Город:
    Milano
  • Язык:
    Итальянский
  • ISBN:
    978-88-304-1651-2
  • Рейтинг книги:
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Come un predatore, Iosif Drostin si affacciò alla porta della sua casa in legno, poco più di una capanna in un deserto di gelo e nebbia, strizzando gli occhi per adattarli alla luce e riducendoli a due fessure da cui riluceva lo stesso colore del ghiaccio che tutto attorno si perdeva all’infinito.

«Non posso più vivere qui», mormorò. «Costi quello che costi.»

Iosif Drostin aveva capelli color paglia e mascella squadrata. Il suo corpo era temprato dalle estenuanti battute di caccia nella steppa. L’espressione del viso era dura, ostile, molto più matura di quella di un ragazzo di ventun anni.

Se li aveva vissuti in parte in quel deserto lattiginoso, lo doveva al fatto che suo padre era stato deportato lì da un tribunale di Iosif Visarionovič Dzugašvili, molto più noto come Stalin. Iosif, come lui.

La condanna era stata dura, anche se basata su sospetti sommari: da dodici anni di Siberia era difficile uscire vivi. Infatti ormai il padre di Iosif Drostin era morto.

Il compito di prendersi cura di lui era toccato al nonno paterno, Igor Drostin. La madre di Iosif, infatti, pochi mesi dopo la deportazione del marito in Siberia, aveva deciso di sparire anche lei, non facendosi più vedere.

I modi militareschi di nonno Igor, ex soldato ed eroe della Rivoluzione d’Ottobre, non erano forse i più adatti per allevare un bambino di soli tre anni, ma il vecchio aveva una riserva apparentemente inesauribile di storie da raccontare. Una, in particolare, misteriosa e affascinante.

Il mattino seguente Iosif Drostin si svegliò molto prima del sole malato di Siberia. Raccolse poche cose in una bisaccia militare, vi infilò i quaderni logori su cui nonno Igor lo aveva tenuto chino per ore e si chiuse dietro le spalle la porta della capanna.

L’unica vera ricchezza che portava con sé era il ricordo dei racconti di nonno Igor. E quei quaderni. Forse.

Avviatosi a passo veloce sulla strada sconnessa, si lasciò dietro per sempre la notte siberiana.

Città del Vaticano. 11 agosto 1999

Era davvero singolare che una persona come Patrick Silver fosse al cospetto del papa.

Ma in quella torrida mattina d’agosto, alla fine dell’abituale udienza del mercoledì, Sua Santità lo aveva ricevuto privatamente con un gruppetto di altre persone.

«Il vostro comportamento ha consentito di sventare una grave minaccia per l’umanità intera», disse il papa, rivolto a tutti loro. «Prego, signor Silver», continuò, «sono curioso di sentirmi raccontare nei dettagli la vostra vicenda.»

«La Terza Profezia, Santità…» stava per sbottare Pat Silver, obbedendo al suo spirito sempre scanzonato, ma una volta tanto seppe trattenersi, e la sua espressione si fece intensa, concentrata. Sì, era arrivato il momento di essere seri, molto seri. Alla possibilità che quanto stava per dire fosse in qualche modo legato alla Terza Profezia avrebbe accennato, ma in modo molto vago, soltanto alla fine.

E le parole gli si riversarono dalle labbra come un fiume incontenibile.

PARTE PRIMA

LA GASSA D’AMANTE

1

Gassa damante New York Campus della Columbia University Maggio 1978 Pat - фото 1
Gassa d’amante

New York. Campus della Columbia University.

Maggio 1978

Pat Silver non era mai stato un allievo modello, né lo sarebbe mai diventato. A consentirgli di frequentare una delle università più prestigiose degli Stati Uniti erano esclusivamente i successi sportivi: era il playmaker della squadra di basket. Venti centimetri in più di statura, e sarebbe potuto diventare uno dei professionisti più pagati d’America.

Se questo non sarebbe mai successo, non dipendeva soltanto dal suo metro e ottantacinque, ma soprattutto dalla disinvolta e personalissima visione che aveva della vita.

Il suo compagno di stanza lo stava osservando con un misto di timore e ammirazione stendere i fili sotto il tappeto fino a collegarli al piccolo compressore elettrico nascosto dietro la tenda. Il marchingegno sarebbe entrato in funzione al momento giusto, comandato da un interruttore altrettanto nascosto, facendo «levitare» il tavolo tondo a tre gambe.

La messinscena per la seduta spiritica era pronta. Adesso dovevano soltanto aspettare che arrivassero Maggie Erriot e Annie Ferguson, nella speranza che il trucco escogitato dallo scanzonato campioncino di basket riuscisse a spaventarle. E a quel punto sarebbero stati ben felici di prestare loro tutto il conforto del caso, comprese due affettuose e salde braccia in cui rifugiarsi. Invece non fu così.

Ekaterinburg. 1978

Iosif Drostin s’incamminò lungo il lato orientale del lago Verch-Iseck e attraversò via Glavnaja all’altezza dei cancelli della fabbrica Uralyzhmash. Nella leggera nebbia mattutina s’intravedevano le figure degli operai. Infagottati nella tuta grigia, tenevano la testa bassa e si battevano le mani sui fianchi per scaldarsi.

Con un ennesimo moto d’insofferenza, Iosif abbassò lo sguardo sulla sua tuta: era troppo lunga e strusciava a terra a ogni passo. Non aveva radici, ma Ekaterinburg era il solo luogo a cui si sentisse in qualche modo legato. Gli anni vissuti lì con nonno Igor erano stati belli. Quindi vi era tornato, come un uccello migratore che torna al nido.

«Troverai il tuo avvenire all’incontro delle diagonali, Iosif.» Così diceva sempre nonno Igor. Ma quale avvenire? L’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche gli offriva una tuta grigia e un grigio senso di vuoto.

«L’incontro delle diagonali…» ripeté Iosif tra sé. Chissà che cosa aveva voluto dire nonno Igor con quelle parole. Vi si arrovellava ormai da anni, ma senza venirne a capo.

A pochi isolati di distanza, fino a poco tempo prima c’era Casa Ipat’ev, dove, durante la Rivoluzione d’Ottobre, avevano trascorso i loro ultimi settantotto giorni lo zar e la sua famiglia. E con loro c’era un giovanissimo soldato di nome Igor Drostin. Anche questo, nonno Igor lo aveva raccontato mille volte, facendoglielo scrivere sotto dettatura sul primo dei quadernetti che Iosif conservava come un tesoro. Perché imparasse a scrivere e leggere, diceva il nonno. Su quei quadernetti, insisteva, suo nipote avrebbe costruito il proprio futuro.

Il futuro? Iosif Drostin continuò a camminare a passo svelto: la fabbrica lo stava aspettando per il suo primo giorno di lavoro. Lavoro, bah! Ormai se n’era fatto un’idea precisa: non faceva per lui. La sua indole violenta lo portava a frequenti risse. E poi, vivere di miserie, sapendo che in Oc cidente tutto era tanto diverso…

Non aveva il minimo dubbio, un giorno sarebbe andato in Occidente.

Campus della Columbia University. Maggio 1978

Maggie Erriot e Annie Ferguson erano arrivate puntuali. La pelle da mulatta della prima contrastava con il candore latteo dell’altra. Il braccio automatico del giradischi continuava da circa mezz’ora a posare sul piatto i quarantacinque giri più popolari. La musica si diffondeva nella stanza.

«Perfetto», pensò Silver. E finalmente sbottò: «E se organizzassimo una seduta spiritica?»

Senza aspettare risposta, si accostò al tavolino. Vi presero posto tutti e quattro, obbedendo scrupolosamente ai suoi comandi: sembrava saperla lunga.

«Concentriamoci», ordinò. «Adesso uniamo le mani.»

Un breve impulso al comando, e il compressore entrò in funzione. Una musica mistica, sapientemente scelta, coprì il ronzio del marchingegno. Il tavolo cominciò a sollevarsi con un movimento quasi impercettibile.

E Maggie cadde in trance.

I suoi occhi rotearono, la pelle assunse tonalità ceree, la testa si reclinò all’indietro.

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