James Rollins - L'ordine del sole nero

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L'ordine del sole nero: краткое содержание, описание и аннотация

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IERI. Germania, 1945: in un bunker sotterraneo viene portato a termine un esperimento rivoluzionario…
OGGI. Nepal: in un remoto monastero un’ondata di follia si diffonde improvvisamente tra i monaci, che scrivono col sangue indecifrabili sequenze di rune celtiche e svastiche. Copenhagen: a un’asta di libri antichi ricompare la Bibbia appartenuta a Charles Darwin, un volume che cela la chiave di un mistero sconcertante. Sudafrica: l’ultimo segreto dei nazisti sta per riemergere dal profondo della giungla… Grayson Pierce e la Sigma Force sono di nuovo in azione.

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Gray capì il senso dell’aspra lezione che gli era stata impartita: volevano che capisse appieno che cosa c’era in gioco, stroncando qualsiasi tentativo di sotterfugio. Salvare Fiona o tradire la Sigma?

La decisione fu momentaneamente accantonata, quando una delle guardie ritornò con un’altra delle richieste di Gray.

«La mia mano!» esclamò Monk. Con le braccia ancora legate dietro la schiena, cominciò a dibattersi.

Baldric fece cenno alla guardia di proseguire. «Dai la protesi a mio nipote.»

Isaak intervenne, in olandese. «Il laboratorio ha tolto eventuali armi nascoste?»

« Ja , signore. È pulita.»

Isaak la esaminò comunque. Era una meraviglia tecnologica della DARPA, con un controllo diretto dei nervi periferici incorporato nei contatti al titanio, all’altezza del polso. Era dotata di meccanica avanzata e attuatori che consentivano movimenti e input sensoriali precisi.

Monk guardò con insistenza Gray, il quale notò che, con le dita della mano sinistra, l’amico aveva appena finito di digitare un codice sui contatti del moncherino del polso destro. Gray annuì e gli si avvicinò.

La protesi elettronica aveva un’altra caratteristica: la tecnologia wireless. Dal braccio di Monk partì un segnale radio diretto alla protesi. La protesi artificiale rispose contraendosi tra le mani di Isaak. Le dita si chiusero a pugno, tranne il medio, che restò sollevato.

«Vaffanculo», mormorò Monk.

Gray lo prese per un braccio e lo spinse verso la porta che conduceva all’interno del palazzo.

L’esplosione non fu molto forte: era soltanto una granata accecante, un po’ più brillante e rumorosa del solito. La carica era incorporata direttamente nell’involucro plastico esterno della mano, impossibile da individuare. Pur non essendo una grossa carica, fu una distrazione sufficiente. Le guardie proruppero in grida di sorpresa e di dolore.

Gray e Monk fecero irruzione nel palazzo, girarono un angolo e continuarono a correre sul pavimento in parquet lucido. Subito scattarono gli allarmi, assordanti. Dovevano trovare una via d’uscita al più presto.

Gray notò una scalinata che saliva a un livello superiore e guidò Monk in quella direzione.

«Dove stiamo andando?»

«Su…» rispose Gray, salendo due gradini alla volta. Probabilmente le guardie si aspettavano che cercassero di fuggire dalla prima porta o finestra disponibile, ma lui conosceva un’altra via d’uscita. Cercò di visualizzare la pianta del palazzo. Si era guardato attorno con attenzione, quando le guardie li avevano scortati fino alla serra. Si concentrò, confidando nel proprio senso dell’orientamento. «Da questa parte.»

Trascinò Monk da un pianerottolo a un altro corridoio. Erano al sesto piano.

«Dove…» fece per chiedere di nuovo Monk.

«In quota», rispose Gray, indicando la fine del corridoio, dove li aspettava una porta. «Al ponte sospeso tra gli alberi.»

Ma non sarebbe stato così facile. Come se qualcuno avesse origliato i loro piani, una saracinesca metallica interna cominciò a scendere davanti all’uscita. Una chiusura automatica.

«Presto!» gridò Gray.

La saracinesca era già chiusa per tre quarti. Gray accelerò, lasciando indietro Monk, poi prese al volo una sedia e la lanciò in avanti. La sedia atterrò sul parquet e cominciò a scivolare sulla superficie levigata. Gray la seguiva a breve distanza. La sedia andò a sbattere contro la porta e la discesa della saracinesca fu interrotta. Ci fu uno stridore di ingranaggi. Sopra la porta si accese una luce rossa. Gray era sicuro che da qualche parte nel palazzo, alla postazione della sicurezza, si era accesa una spia d’allarme.

Quando raggiunsero la porta, le gambe della sedia cominciavano a incrinarsi e scheggiarsi, schiacciate dal peso della saracinesca.

Monk arrivò ansimando, con le braccia ancora legate dietro la schiena.

Gray si chinò e, infilandosi sotto la sedia, cercò di raggiungere la maniglia della porta. Alla fine riuscì ad afferrare il pomo e lo girò.

La porta era chiusa a chiave.

«Dannazione!»

La sedia continuava a incrinarsi. Dietro di loro si sentiva l’eco degli scarponi che battevano pesantemente sui gradini delle scale.

Gray si voltò. «Tienimi!»

Doveva aprire la porta a calci. Appoggiato schiena contro schiena all’amico, raccolse le gambe al petto, pronto a colpire. Poi la porta gli si aprì semplicemente davanti, mostrando un paio di gambe avvolte da pantaloni mimetici kaki. Uno degli uomini di sentinella ai ponti doveva aver notato il guasto ed era andato a indagare. Gray puntò agli stinchi della guardia e scalciò.

Colto di sorpresa, l’uomo perse l’equilibrio e sbatté fragorosamente la testa contro la saracinesca, cadendo pesantemente sull’assito. Gray si tuffò fuori e sferrò un altro colpo col tallone. La sentinella si afflosciò.

Monk rotolò fuori, seguendo l’amico, ma non prima di aver dato un calcio alla sedia, liberando la saracinesca, che proseguì la sua discesa e si chiuse rumorosamente.

Gray alleggerì la guardia delle sue armi. Usò un coltello per slegare Monk e gli passò una pistola semiautomatica HK Mark 23, tenendo per sé il fucile.

Armi alla mano, fuggirono lungo il ponte sospeso. Nel punto in cui s’inoltrava nella giungla, c’era il primo bivio. Per il momento entrambe le direzioni erano sgombre.

«Dividiamoci, avremo più possibilità», disse Gray. «Devi cercare aiuto, trova un telefono e contatta Logan.»

«E tu?»

Gray non rispose. Non ce n’era bisogno.

«Rifletti, potrebbe essere già morta.»

«Questo non lo sappiamo.»

Monk scrutò l’espressione dell’amico. Aveva visto il mostro sullo schermo del computer e sapeva che Gray non aveva scelta.

Senza proferire parola, corsero in due direzioni opposte.

ore 06.34

Khamisi raggiunse il ponte sospeso, salendo su un albero all’altra estremità della radura, con movimenti rapidi e silenziosi.

Più giù, l’ ukufa continuava a girare attorno all’albero, sorvegliando la sua preda in trappola. Il rumore violento e improvviso di qualche istante prima aveva messo in allarme la bestia, che era scesa dall’albero, cauta e diffidente, e aveva ripreso a fare la ronda, con le orecchie dritte. Dal palazzo proveniva l’eco di allarmi e clacson.

Quel trambusto preoccupava anche Khamisi. Tau e Njongo erano stati scoperti? O forse era stato individuato il loro accampamento, appena fuori dalla tenuta? Avevano camuffato il loro punto di raccolta come se fosse uno dei numerosi accampamenti di cacciatori nomadi zulù. Qualcuno si era accorto che nascondeva qualcos’altro?

Qualunque fosse la causa dell’allarme, perlomeno il trambusto aveva reso più guardinga la mostruosa iena gigante, l’ ukufa , e Khamisi aveva sfruttato la sua distrazione per raggiungere uno dei ponti sospesi. Rotolò sull’assito, tenendo pronto il fucile. L’ansia gli acuiva i sensi, ma il terrore l’aveva abbandonato. Khamisi aveva notato l’andatura della bestia, il ringhio sommesso e gracchiante, il crescendo di risate stridule e nervose, che diventavano ululati. Normale comportamento da iena. Nonostante le dimensioni mostruose, non era qualcosa di mitico o soprannaturale.

Khamisi percorse rapidamente il ponte, finché non arrivò in prossimità dell’albero del ragazzo, quindi prese una corda dallo zaino. Sporgendosi oltre il cavo d’acciaio che sosteneva la struttura, vide il giovane. Emise un fischio acuto, simile al richiamo di un uccello. Sebbene il ragazzo fosse concentrato sui movimenti della bestia sotto di lui, sentendo l’improvviso rumore trasalì, guardò in alto e vide Khamisi.

«Ti porterò fuori di qui», disse lui a bassa voce, in inglese, sperando che l’altro capisse.

Ma il ragazzo non fu l’unico a sentire Khamisi. L’ ukufa puntò i suoi occhi rossi su quelli dello zulù. Mentre studiava l’uomo sul ponte, socchiuse le palpebre e scoprì i denti. Khamisi scorse un’intelligenza calcolatrice in quello sguardo. Era quella la creatura che aveva aggredito Marcia?

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