Il maggiore Brooks, che era il solo a scortarli, aprì loro la porta, tenendo sempre d’occhio la strada, ma c’era ben poco movimento a quell’ora del mattino.
Painter entrò, con movimenti rigidi e impacciati, sforzandosi di nascondere l’andatura claudicante. Lisa lo seguì. Dopo qualche minuto, furono accompagnati a una sala conferenze, passando per un grande labirinto grigio di cubicoli e uffici. La sala era vuota. Dalle finestre si vedeva la laguna di Richards Bay. A nord c’era un porto industriale, pieno di gru e navi mercantili. A sud, separata da una diga marittima, si estendeva una parte della laguna originaria, diventata una riserva naturale, che ospitava coccodrilli, squali, ippopotami, pellicani, cormorani e gli onnipresenti fenicotteri.
Lo specchio d’acqua si stava infiammando dei colori dell’alba.
Mentre aspettavano, furono serviti tè e scone , le classiche focaccine inglesi. Painter si era già messo a sedere, e Lisa fece altrettanto. Il maggiore Brooks rimase in piedi, non lontano dalla porta.
Painter lesse una domanda nell’espressione di Lisa. «Sto bene.»
«No, non stai bene», ribatté lei sottovoce.
Per qualche motivo, quella stanza vuota la intimidiva. Lui le sorrise, con uno scintillio negli occhi. Nonostante la degenerazione del suo organismo, era ancora in sé. Si era accorta che biascicava leggermente, ma poteva essere semplicemente l’effetto dei farmaci. Sarebbe rimasto lucido fino all’ultimo?
Con un gesto quasi automatico, la mano di lei cercò la sua. Lisa non voleva che se ne andasse. Si sorprese dell’intensità schiacciante di quell’emozione. Lo conosceva appena. Voleva sapere tutto di lui: qual era il suo cibo preferito, che cosa lo faceva sbellicare dalle risate, come ballava, che cosa le avrebbe sussurrato all’orecchio dandole la buonanotte. Non voleva che svanisse tutto quanto. Gli strinse forte la mano, come se la sua sola volontà bastasse a trattenerlo.
In quel momento, la porta della sala si aprì di nuovo. Finalmente era arrivato l’agente britannico.
Lisa si voltò a guardare e rimase sorpresa. Si aspettava una specie di clone di James Bond, una spia in piena regola, con tanto di abito Armani. Invece era una donna di mezza età. Era vestita con una tenuta da safari kaki stropicciata e aveva in mano un cappello spiegazzato. Il viso era leggermente impolverato di terra rossa, tranne che attorno agli occhi: probabilmente aveva indossato un paio d’occhiali da sole fino a poco prima. Ne risultava un’espressione allarmata, che però era in contrasto con le spalle cascanti e stanche e una certa tristezza nello sguardo…
«Sono la dottoressa Paula Kane», si presentò, salutando con un cenno del capo il maggiore Brooks e poi raggiungendo loro due al tavolo. «Non abbiamo molto tempo.»
Painter si era alzato in piedi per guardare la schiera di fotografie satellitari sparpagliate sul tavolo. «Quando sono state scattate?»
«Ieri sera, al crepuscolo», rispose Paula.
La donna aveva già spiegato quale fosse il suo ruolo. Dopo il dottorato in biologia, era stata reclutata dall’intelligence britannica e dislocata in Sudafrica. Lei e una collega gestivano una serie di progetti di ricerca, ma allo stesso tempo monitoravano in segreto la tenuta dei Waalenberg. Spiavano quella famiglia da circa un decennio, finché, un paio di giorni prima, non era avvenuta una tragedia. La sua collega era stata uccisa in circostanze poco chiare. Assalita da alcune leonesse , secondo la versione ufficiale. Ma lei non ne era per nulla convinta.
«Abbiamo fatto una ripresa agli infrarossi dopo mezzanotte», proseguì Paula, «ma c’è stato un malfunzionamento e abbiamo perso l’immagine.»
Painter fissava le foto, esterrefatto dall’enorme estensione della tenuta: oltre cinquantamila ettari. Si distingueva una piccola pista d’atterraggio, che apriva un varco nella giungla. Un paesaggio di altopiani boscosi, vaste savane e giungla fitta era cosparso di piccoli fabbricati. Al centro della parte più densa della foresta, si ergeva un castello di legno e pietra: la residenza dei Waalenberg.
«Non abbiamo una vista migliore dell’area attorno al palazzo?»
Paula scosse la testa. «È coperta da una densa vegetazione afromontana, una giungla secolare che ormai ha pochi equivalenti in Sudafrica. I Waalenberg hanno scelto questa posizione per la loro tenuta sia perché era isolata sia per accaparrarsi questa enorme foresta, formata da alberi alti quaranta metri, con chiome fitte e stratificate a diverse altezze. All’ombra di quelle fronde c’è una biodiversità maggiore che nella giungla congolese o in qualsiasi foresta pluviale.»
«Ed è una copertura perfetta», commentò Painter.
«Ciò che succede là sotto lo sanno soltanto i Waalenberg. Ma noi sappiamo che le tecnologie di cui pullula il palazzo sono soltanto la punta di un iceberg: sotto la tenuta c’è un vasto complesso sotterraneo.»
«A quale profondità?» chiese Painter, scambiando una breve occhiata con Lisa. Se facevano esperimenti con la Campana, sicuramente l’avevano sepolta nelle viscere della terra.
«Non lo sappiamo con certezza. Ma i Waalenberg hanno fatto fortuna con le miniere d’oro.»
«A Witwatersrand.»
«Esatto. Vedo che si è documentato. Le conoscenze in campo minerario sono tornate utili per costruire un complesso sotterraneo sotto il palazzo. Sappiamo che l’ingegnere minerario Bertrand Culbert venne consultato per la costruzione delle fondamenta dell’edificio, ma morì poco tempo dopo.»
«Vediamo se indovino: in circostanze misteriose.»
«Calpestato da un bufalo. Ma la sua non è stata né la prima né l’ultima morte associata ai Waalenberg.» Al ricordo della sua compagna, lo sguardo le si riempì di dolore. «Abbondano le voci di misteriose scomparse nell’area.»
«Eppure nessuno ha ancora emesso un mandato per perquisire la tenuta.»
«Deve capire quanto sono fragili le istituzioni sudafricane. I regimi cambiano, ma quello che ha sempre dominato, qui, è l’oro. I Waalenberg sono intoccabili. L’oro li protegge meglio di qualsiasi fossato o esercito privato.»
«E voi?» chiese Painter. «Che interessi ha l’MI5, qui?»
«I nostri interessi hanno una storia molto lunga, temo. L’intelligence britannica tiene d’occhio i Waalenberg già dalla fine della seconda guerra mondiale.»
Painter si rimise a sedere, stanco. Aveva difficoltà a mettere a fuoco da un occhio. Se lo sfregò, poi, consapevole dell’attenzione di Lisa, si rivolse di nuovo a Paula. Non le aveva ancora rivelato di aver scoperto il simbolo nazista nascosto al centro dello stemma dei Waalenberg, ma evidentemente l’MI5 conosceva già il collegamento.
«Sapevamo che i Waalenberg erano importanti sostenitori della Ahnenerbe Forschungss-und Lehrgemeinschaft, la società per la ricerca e la diffusione del patrimonio storico nazista. Ne ha mai sentito parlare?»
Painter scosse la testa, il che gli procurò una fitta di dolore. Ultimamente l’emicrania si era diffusa al collo e all’intera colonna vertebrale. Sopportò la sofferenza a denti stretti.
«La società per il patrimonio storico era un gruppo di ricerca guidato da Heinrich Himmler, che studiava le radici della razza ariana. È stato anche responsabile di alcune delle più efferate atrocità commesse nei campi di concentramento e in altre strutture segrete. Praticamente erano scienziati pazzi e armati.»
Painter trasalì, ma non era più una questione di dolore fisico. Aveva sentito descrivere la Sigma in termini analoghi. Scienziati armati. Era quello il loro vero nemico? Una versione nazista della Sigma?
«Che interesse avevano i Waalenberg in quel tipo di ricerca?» chiese Lisa.
«Non ne siamo del tutto sicuri, ma c’erano molti simpatizzanti nazisti in Sudafrica durante la guerra. Sappiamo che l’attuale patriarca, Baldric Waalenberg, s’interessava anche di eugenetica e che ha partecipato a conferenze scientifiche in Germania e Austria prima che scoppiassero le ostilità. Dopo la guerra, però, si è ritirato dalla scena, portando con sé l’intera famiglia.»
Читать дальше