Incrociando lo sguardo dell’assassino dietro di lei, Painter cambiò subito idea. Le strinse la mano. Dato che non gli avevano ancora sparato, poteva quantomeno essere gentile. Sarebbe stato al gioco quanto serviva per restare in vita. Doveva considerare anche Lisa.
«Direttore Crowe», riprese la donna. «Sembra che nelle ultime ore nei canali dell’intelligence internazionale non si sia parlato che di lei.»
Painter rimase impassibile. Non vedeva motivi per negare la sua identità. Forse poteva anche sfruttare la cosa a proprio vantaggio. «Dunque è consapevole di quanto quegli stessi canali si daranno da fare per trovarmi.»
« Natürlich », assentì lei. «Ma non conterei sul loro successo. Nel frattempo, devo chiedere a lei e alla giovane donna di seguirmi.»
Painter fece un passo indietro, come per proteggere Lisa. «La dottoressa Cummings non ha nulla a che fare con tutto questo. È soltanto un medico che tentava di soccorrere alcuni ammalati. Non sa nulla.»
«Verificheremo ben presto se ciò corrisponde a verità.»
E così glielo aveva detto chiaro e tondo. Erano ancora vivi, per il momento, soltanto per le loro presunte informazioni. Informazioni che sarebbero state estorte a forza di sangue e sofferenze. Painter rifletté se fosse meglio prendere l’iniziativa subito e farla finita. Una morte rapida invece che un’agonia. Era a conoscenza di troppi segreti per rischiare di essere torturato.
Ma non era solo. Pensò a Lisa che scaldava le mani tra le sue. Finché c’era vita c’era speranza.
Furono raggiunti da altre guardie. Lisa fu costretta a uscire dalla grotta coi fucili puntati addosso. Furono condotti entrambi alle motoslitte.
Lui vide la paura trasparire dagli occhi di Lisa. Era deciso a proteggerla al meglio delle sue possibilità.
Anna Sporrenberg li raggiunse mentre venivano legati. «Prima di partire, voglio parlarvi chiaro. Non possiamo lasciarvi andare. Penso che lo comprendiate. Non vi darò questa falsa speranza. Ma posso promettervi una fine rapida e indolore.»
«Come i monaci», ribatté bruscamente Lisa. «Abbiamo assistito alla vostra misericordia.»
Painter cercò di incrociare lo sguardo di Lisa. Non era il momento di inimicarsi i loro aguzzini. Ovviamente quei bastardi non avevano remore a uccidere su due piedi. Dovevano fare la parte dei prigionieri che collaborano.
Troppo tardi.
Anna parve vedere Lisa davvero per la prima volta, voltandosi verso di lei. La voce della donna lasciò trapelare una punta di collera: «È stata davvero misericordia, dottoressa Cummings». Lanciò uno sguardo fugace all’assassino, che era rimasto di guardia. «Lei non sa nulla della malattia che ha colpito il monastero, degli orrori che attendevano i monaci. Noi sì. Non sono morti per omicidio, ma per eutanasia. »
«E chi vi ha dato quel diritto?» ribatté la donna.
Painter le si avvicinò. «Lisa, forse…»
«No, signor Crowe.» Anna fece un passo verso Lisa. «Con che diritto, mi chiede? Quello dell’esperienza, dottoressa Cummings. L’esperienza. Mi creda quando le dico che quelle uccisioni sono state una gentilezza, non una crudeltà.»
«E che mi dice degli uomini che mi hanno accompagnato lassù in elicottero? Anche quella è stata una gentilezza?»
Anna sospirò, stanca di quello scambio di battute. «Sono state necessarie scelte difficili. Il nostro lavoro qui è troppo importante.»
«E noi?» insistette Lisa, mentre la donna le volgeva le spalle. «Un’iniezione indolore se cooperiamo. E se invece non abbiamo voglia di cooperare?»
Anna si diresse verso la motoslitta di testa. «Non ci saranno strumenti di tortura, se è questo che intende. Soltanto farmaci. Noi non siamo barbari, dottoressa Cummings.»
«No, siete soltanto nazisti!» le urlò dietro Lisa. «Abbiamo visto la svastica!»
«Non sia sciocca. Non siamo nazisti.» Anna rivolse loro uno sguardo tranquillo mentre scavalcava con una gamba il sedile della motoslitta. «Non più.»
Copenhagen, Danimarca,
ore 18.38
Gray attraversò di corsa la strada.
Com’era saltato in mente a Fiona di fare irruzione lì dentro, dopo quello che era successo?
L’ansia per la sicurezza della ragazza era notevole, ma doveva anche ammettere che quell’intrusione gli offriva la scusa giusta per presenziare all’asta di persona. Chiunque avesse attaccato il negozio, assassinato Grette Neal e cercato di uccidere anche lui aveva lasciato una traccia che conduceva lì.
Gray raggiunse il marciapiede e rallentò. I raggi obliqui del sole al tramonto trasformavano la porta a vetri della casa d’aste in uno specchio argentato. Diede un’occhiata al suo abbigliamento, avendo indossato quei capi d’alta sartoria in un battibaleno. L’abito, un Armani gessato blu marina, gli stava bene, ma la camicia bianca inamidata aveva il collo un po’ stretto. Si aggiustò la cravatta giallina. Non era certo sotto tono, ma doveva fare la parte dell’acquirente incaricato da un ricco finanziere americano.
Aprì la porta. La lobby era in puro design scandinavo, ovvero totalmente anonima: legno chiaro, pareti di vetro e poco altro. L’unico arredamento era una scarna sedia scultorea, collocata accanto a un tavolino grande quanto un francobollo, su cui era posato un vaso con un’unica orchidea. Lo stelo esile come un giunco sosteneva un anemico fiore marrone e rosa.
Il portiere spense la sigaretta nel vaso e fece un passo verso Gray, con un’espressione arcigna.
Gray infilò una mano in tasca e tirò fuori il suo invito. Per averlo c’era voluto un deposito di un quarto di milione di dollari nel fondo della casa d’aste, come garanzia che l’acquirente avesse le carte in regola per accedere a un evento così esclusivo.
Il portiere controllò l’invito, annuì e si diresse a grandi passi verso un cordone di velluto che bloccava una grande rampa di scale verso il piano inferiore. Sganciò il cordone e fece cenno a Gray di passare.
In fondo alle scale, una coppia di porte a vento conduceva verso il parterre principale. Due guardie fiancheggiavano l’ingresso. Una aveva un metal detector portatile. Gray si lasciò perquisire, con le braccia distese. Notò le videocamere collocate su entrambi i lati della soglia. La sicurezza era rigorosa. Finito il controllo, l’altra guardia premette un bottone e la porta si aprì.
Ne fuoriuscì un mormorio in diverse lingue. Riconobbe l’italiano, l’olandese, il francese, l’arabo e l’inglese. Sembrava che il mondo intero fosse confluito a quell’asta.
Quando entrò, qualche sguardo si volse verso di lui, ma l’attenzione rimase concentrata soprattutto sulle teche di vetro disposte lungo le pareti. I funzionari della casa d’aste, tutti con abiti neri identici, erano in piedi dietro il bancone, come i commessi di una gioielleria. Indossavano guanti bianchi e aiutavano i clienti a esaminare gli oggetti in vendita.
Un quartetto d’archi suonava con discrezione in un angolo. Per la sala circolavano alcuni camerieri, che offrivano flute di champagne agli ospiti.
Gray si presentò a un bancone vicino e ricevette una paletta numerata. Si addentrò nella sala. Alcuni clienti si erano già seduti. Individuò la coppia di ritardatari che aveva tenuto in sospeso l’asta, i giovani pallidi che sembravano star del cinema muto. Erano seduti in prima fila. La donna aveva una paletta posata in grembo. L’uomo le si accostò all’orecchio, bisbigliandole qualcosa. Era un gesto stranamente intimo, forse accentuato dal collo arcuato della donna, lungo e flessuoso, piegato come se attendesse un bacio.
La donna vide Gray che risaliva il corridoio centrale. Il suo sguardo passò su di lui senza soffermarsi.
Nessun segno di riconoscimento.
Gray continuò a cercare, raggiungendo il palco e il podio in fondo alla sala, per poi ritornare indietro, descrivendo un ampio cerchio. Non vide nessuna minaccia esplicita alla sua presenza. E neanche una traccia di Fiona.
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