«Che c’è?» chiese.
Lisa aveva fatto cadere una parte della coperta. Indicò qualcosa e sussurrò: «Aspetta».
Lui si avvicinò di più a lei, scrollandosi di dosso il torpore. Aspettò mezzo minuto. Ancora nulla. Sembrava che la tormenta fosse davvero finita. Non si sentiva più l’ululato del vento. Oltre la loro grotta, una quiete cristallina era discesa sulla valle e sulle rocce. Tese le orecchie per sentire eventuali rumori sospetti.
Qualcosa aveva decisamente spaventato Lisa. Percepiva il terrore della donna, era come una vibrazione emessa dal suo corpo teso.
«Che cosa…»
D’un tratto ci fu un barlume di luce nella parete di ghiaccio, come se nel cielo fossero esplosi dei fuochi d’artificio. Non c’era nessun rumore. Il fulgore scintillante risalì la cascata e scomparve. Il ghiaccio ritornò buio.
«Le luci spettrali…» sussurrò Lisa, voltandosi verso di lui.
Painter ritornò con la mente a tre notti prima, quando era cominciato tutto quanto. La malattia al villaggio, la follia al monastero. Ricordò la valutazione fatta da Lisa: la prossimità alle strane luci era direttamente correlata alla gravità dei sintomi.
E stavolta loro due erano proprio nei pasticci.
Più vicini che mai.
Ben presto la cascata ghiacciata assunse di nuovo una luminescenza brillante e mortale. Le luci spettrali erano tornate.
Copenhagen, Danimarca,
ore 18.12
Possibile che nulla cominci in orario, in Europa?
Gray guardò l’orologio. L’inizio dell’asta era fissato per le cinque.
I treni e gli autobus erano talmente efficienti che potevi regolarci l’ora, ma l’effettivo inizio degli eventi programmati era alquanto aleatorio. Era ormai opinione condivisa che l’asta sarebbe iniziata attorno alle sei e mezzo, a causa di qualche ritardo negli arrivi, perché un temporale sul mare del Nord stava rallentando il traffico aereo verso Copenhagen.
Al piano di sotto continuavano ad arrivare gli offerenti.
Mentre il sole tramontava, Gray si era appostato su un balcone al secondo piano dello Scandic Hotel Webers. Era sul lato opposto della strada, di fronte alla sede della casa d’aste Ergenschein, un moderno edificio a quattro piani che somigliava più a una galleria d’arte, col suo stile minimalista danese, tutto vetro e legno chiaro. L’asta si sarebbe tenuta nel seminterrato dell’edificio.
Presto, si sperava.
Gray sbadigliò e si stiracchiò.
Qualche ora prima era passato al suo albergo precedente, vicino Nyhavn. Aveva recuperato rapidamente le sue attrezzature di sorveglianza e aveva lasciato la camera. Usando un nuovo nome e una nuova carta di credito MasterCard, aveva prenotato una stanza nel nuovo hotel, che offriva una veduta panoramica della piazza centrale di Copenhagen. Dal balcone sentiva in lontananza la musica e gli schiamazzi di uno dei più antichi lunapark del mondo: i giardini di Tivoli.
Aveva davanti un laptop aperto, con accanto un hot dog mangiato per metà, che aveva acquistato da un venditore ambulante. A dispetto delle voci che giravano, la vita di un agente non era tutta casinò di Monte Carlo e ristoranti di lusso. Comunque l’hot dog era eccellente, anche se era costato quasi cinque dollari americani.
L’immagine sul monitor del laptop sfarfallò quando la microcamera a sensori scattò in rapida successione. Gray aveva già immortalato due dozzine di partecipanti: banchieri impettiti, parvenu arricchiti con la puzza sotto il naso, un trio di signori dal fisico taurino in abiti splendenti, con scritto «mafioso» sulla fronte, una donna grassottella in tenuta professionale e un quartetto di signorotti vestiti di bianco, con berretti da marinai identici. Naturalmente questi ultimi parlavano americano. A voce alta.
Gray scosse la testa.
Non potevano mancare ancora in molti.
Una lunga limousine nera si fermò davanti alla casa d’aste e ne scesero due sagome. Uomo e donna, entrambi alti e snelli, indossavano abiti Armani appaiati. Lui portava una cravatta color azzurro-verde, lei una camicetta di seta in tinta. Erano entrambi giovani, sui venticinque anni, ma dal contegno sembravano molto più anziani. Forse erano i capelli chiarissimi, di un platino smagliante, corti, come incollati sulla testa in un’acconciatura quasi identica: sembravano una coppia di star del cinema muto degli anni ruggenti. Tenevano un atteggiamento che conferiva loro una grazia senza età. Non sorridevano, ma non erano nemmeno freddi. Come si notava anche nelle foto, avevano uno sguardo cordiale e divertito.
Il portiere aprì loro la porta. Entrambi fecero un cenno di ringraziamento, ancora una volta non eccessivamente caloroso, ma mostrando riconoscenza per il gesto dell’uomo. Poi scomparvero all’interno dell’edificio. Il portiere entrò dietro di loro, voltando un cartello. Evidentemente quei due erano gli ultimi, forse anche la causa principale del ritardo dell’asta.
Chi erano?
Gray mise da parte la curiosità. Aveva ordini chiari da Logan Gregory.
Passò in rassegna le fotografie, per assicurarsi di avere immagini nitide di tutti i partecipanti. Soddisfatto, fece una copia del file su una chiave USB e se la mise in tasca. A quel punto non gli restava altro da fare che attendere la fine dell’asta. Logan aveva fatto in modo di ottenere un elenco dei pezzi in vendita e dei nomi degli acquirenti. Sicuramente alcuni si sarebbero rivelati alias, ma le informazioni sarebbero state condivise con la task force antiterrorismo degli USA, l’Europol e l’Interpol. Forse Gray non avrebbe mai saputo che cosa fosse in gioco veramente.
Per esempio, perché era stato aggredito? Perché Grette Neal era stata uccisa?
Si sforzò di rilasciare il pugno chiuso. C’era voluto tutto il pomeriggio, ma, in uno stato d’animo più tranquillo, Gray aveva accettato i limiti impostigli da Logan. Non aveva idea di che cosa stesse veramente succedendo e agire alla cieca, in modo affrettato, avrebbe potuto causare soltanto altre vittime.
Tuttavia aveva passato la maggior parte del pomeriggio camminando avanti e indietro nella sua camera d’albergo, rivedendo nella mente infinite volte gli eventi degli ultimi giorni.
Se solo avesse fatto più attenzione e preso maggiori precauzioni…
Il cellulare gli vibrò in tasca. Mentre lo estraeva, guardò il numero sul display. Grazie a Dio. Aprì il telefonino, si alzò e si avvicinò alla balaustra del balcone. «Sara, sono felice che tu abbia richiamato.»
«Ho ricevuto il tuo messaggio. Tutto bene?»
La sua voce esprimeva sia la preoccupazione personale sia l’interesse professionale a un resoconto più dettagliato. Gray le aveva mandato soltanto un breve SMS, avvisandola che avrebbero dovuto cancellare il loro rendez-vous. Non era entrato nei dettagli. Sebbene avessero una relazione, c’erano di mezzo i nullaosta di sicurezza.
«Sto bene. Ma Monk sta per raggiungermi. Sarà qui poco dopo mezzanotte.»
«Io sono appena arrivata a Francoforte. Avevo una coincidenza per Copenhagen. Ho sentito il messaggio dopo che siamo atterrati.»
«Mi spiace, davvero…»
«Perciò devo tornare indietro?»
Lui temeva di coinvolgerla in qualsiasi modo. «Sarebbe meglio. Dovremo rimandare. Forse, se le cose si calmano da queste parti, potrò fare un salto a Roma per venirti a trovare, prima di ritornare in America.»
«Mi piacerebbe.»
Gray percepì la delusione nella sua voce. «Rimedierò», Sperava veramente di poter mantenere la promessa.
Sara sospirò. Non c’era irritazione, soltanto comprensione. Nessuno dei due era ingenuo riguardo alla loro relazione a distanza. Due continenti, due carriere… Ma erano disposti a lavorarci, per vedere come sarebbe andata a finire. «Speravo che avessimo occasione di parlare.»
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