«Grayson Pierce.» Fiona gettò il documento sul tavolo. «Piacere di conoscerti, finalmente. »
Lui si riprese il passaporto. «Torniamo alla Bibbia. Da dove veniva?»
«Te lo dico soltanto se mi porti con te.»
«Non essere ridicola. Non puoi venire con me, sei ancora una bambina.»
«Una bambina con la Bibbia di Darwin.»
Gray era stanco dei suoi ricatti. Avrebbe potuto sottrarle la Bibbia in qualsiasi momento, ma non poteva fare altrettanto con le informazioni che solo lei aveva. «Fiona, questo non è un gioco.»
Lo sguardo della ragazza si fece severo. Fu come vederla invecchiare all’istante. «E tu pensi che io non lo sappia?» chiese con una freddezza mortale. «Dov’eri quando hanno portato via Mutti dentro un sacco?»
Gray chiuse gli occhi. Aveva toccato un tasto dolente, ma lui non voleva lasciarsi intenerire. «Fiona, mi spiace, ma quello che mi chiedi è impossibile. Non posso portare…»
L’esplosione scosse la pasticceria come un terremoto. La vetrina traballò, si frantumarono alcuni piatti. Fiona e Gray si alzarono e si avvicinarono al vetro. Dall’altro lato della strada, una colonna di fumo s’innalzava nel cielo crepuscolare. Da un edificio sventrato si levavano lingue di fuoco sinuose.
Fiona guardò Gray. «Vediamo se indovino…»
«La mia camera d’albergo», ammise lui.
«Possiamo scordarci il vantaggio.»
Himalaya,
ore 23.47
Prigionieri dei tedeschi, Painter e Lisa sedevano l’uno dietro l’altra su uno slittino trainato da una delle motoslitte. Viaggiavano da quasi un’ora, assicurati con cinghie di plastica e legati l’uno all’altra. Perlomeno lo slittino era riscaldato.
Comunque, lui era curvo su di lei, tentando di proteggerla meglio che poteva col corpo. Non poteva fare di più: avevano i polsi legati ai montanti laterali dello slittino.
Davanti a loro, il killer sedeva rivolto all’indietro sul sedile posteriore della motoslitta che li trainava, col fucile e con gli occhi spaiati incessantemente puntati su di loro. Anna Sporrenberg pilotava il veicolo, in testa al convoglio.
Un gruppo di ex nazisti.
O nazisti riformati.
O chi diavolo erano.
Painter mise da parte la questione. Aveva un enigma più importante da risolvere.
Come sopravvivere.
Durante il tragitto, Painter aveva capito come era stato facile scoprire lui e Lisa, nascosti nella grotta. Con gli infrarossi. Nel paesaggio gelido, la traccia del calore corporeo era facile da rilevare e aveva svelato il loro nascondiglio. Per lo stesso motivo, fuggire sarebbe stato quasi impossibile. Continuò a riflettere, la mente concentrata su un solo obiettivo: la fuga.
Ma come?
Nell’ultima ora, il convoglio di motoslitte aveva attraversato la notte gelida. I veicoli erano dotati di motori elettrici e scivolavano quasi senza fare rumore. In silenzio, le cinque motoslitte avevano percorso quel labirinto con una disinvoltura conquistata con la pratica, scivolando sui crinali, tuffandosi in ripide vallate, percorrendo ponti di ghiaccio.
Painter aveva fatto del suo meglio per memorizzare il tragitto, ma lo sfinimento e la complessità del percorso lo confondevano. Il dolore martellante alla testa non aiutava. La cefalea era ritornata, assieme alla perdita di orientamento e alle vertigini. Purtroppo i sintomi non stavano diminuendo. Doveva anche ammettere che non aveva idea di dove si trovassero.
Sporgendosi, guardò il cielo notturno: le stelle brillavano di una luce fredda. Forse poteva usarle come riferimento.
Mentre guardava in alto, i puntini di luce cominciarono a girare nel cielo. Distolse lo sguardo, con un dolore lancinante dietro gli occhi.
«Tutto bene?» sussurrò Lisa.
Painter borbottò qualcosa sottovoce. Aveva troppa nausea per provare a parlare.
«Ancora il nistagmo?» dedusse lei.
Un severo grugnito del sicario prevenne qualsiasi altra comunicazione. Painter gliene fu grato. Chiuse gli occhi e fece qualche respiro profondo, attendendo che il momento passasse.
Cosa che, finalmente, avvenne.
Quando aprì gli occhi il convoglio si portò su una cresta e rallentò sino a fermarsi. Painter si guardò in giro. Non c’era nulla. Sulla destra, una parete di ghiaccio interrompeva la cresta rocciosa. Ricominciò a nevicare.
Perché si erano fermati?
Davanti a loro, il killer scese dalla motoslitta.
Anna fece altrettanto. Voltandogli in parte le spalle, il bestione parlò alla donna, in tedesco.
Painter si sforzò di ascoltare e riuscì a cogliere le ultime parole dell’uomo.
«… dovremmo ucciderli e basta.»
Non era detto con veemenza, solo con spaventosa praticità.
Anna non era d’accordo. «Dobbiamo scoprire di più, Gunther.» La donna lanciò un’occhiata fugace a Painter. «Sai quanti problemi abbiamo ultimamente. Se è stato mandato qui… Se sa qualcosa che può fermarla…»
Painter non aveva idea di cosa stessero parlando, ma era disposto a sfruttare quel malinteso. Soprattutto se serviva a tenerlo in vita.
Il sicario scosse la testa. «Quello puzza di guai lontano un chilometro.» Fece per andarsene, come se non avesse più importanza. Per lui la questione era chiusa.
Anna lo fermò, toccandogli la guancia, teneramente, con gratitudine… e forse qualcos’altro. « Danke , Gunther.»
Lui si allontanò, ma non prima che Painter notasse un lampo di dolore nei suoi occhi. Gunther camminò faticosamente sino alla parete di ghiaccio e scomparve attraverso una fessura. Un istante dopo comparvero una nuvola di vapore e una luce intensa, per poi svanire d’un tratto.
Una porta si era aperta e richiusa.
Alle spalle dell’uomo, una delle guardie emise un verso derisorio, brontolando una parola, un insulto, udibile soltanto nelle immediate vicinanze.
Leprakönig.
Re lebbroso.
Painter notò che la guardia aveva aspettato che il bestione fosse troppo lontano per sentire. Non aveva osato dirglielo in faccia. Ma, a giudicare dalle spalle ricurve del sicario e dai suoi modi burberi, Painter sospettò che se lo fosse sentito dire altre volte.
Anna risalì sulla motoslitta. Un’altra guardia armata prese il posto del killer, con l’arma puntata. Ripartirono.
Girarono attorno a uno sperone roccioso e scesero per un passo ancora più ripido. Davanti a loro c’era solo un mare di nebbia ghiacciata che oscurava la vista, sovrastato da una pesante cresta della montagna, bassa e incurvata come un paio di mani in cerca di calore.
Scesero nel vasto banco di nebbia, trafiggendolo con le luci.
In pochi istanti, la visibilità si ridusse a qualche decina di centimetri. Le stelle svanirono.
Poi, d’un tratto, l’oscurità divenne più profonda, mentre si addentravano nell’ombra dell’aggetto di roccia. Ma, anziché diventare più fredda, l’aria divenne notevolmente più calda. Mentre proseguivano la discesa, dalla neve cominciarono ad affiorare rocce e massi, attorno ai quali gocciolava neve sciolta.
Painter concluse che ci doveva essere una sacca di attività geotermica in quel punto. Rare sorgenti termali erano sparse qua e là nella catena dell’Himalaya. Create dall’intensa pressione tra la piattaforma continentale indiana e l’Asia, erano note soprattutto alle popolazioni indigene. Quelle sorgenti geotermiche erano ritenute la fonte del mito di Shangri-La.
Via via che la neve si assottigliava, il convoglio fu costretto ad abbandonare le motoslitte. Quando furono parcheggiate, Painter e Lisa furono slegati dallo slittino. Lui le restò vicino. Si scambiarono uno sguardo carico di preoccupazione.
Circondati da parka bianchi e fucili, furono condotti a piedi per il resto del tragitto. Sotto gli stivali, la neve lasciò il posto alla roccia bagnata. Comparvero scalini scolpiti nella pietra. Davanti a loro, la nebbia perpetua si assottigliò e si sfaldò.
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