«Va bene.»
Vivien ritenne opportuno sottolineare il tenore del colloquio.
«Da soli.»
Chuck Newborn si rivolse all’uomo che era alla sua destra, un tipo magro dall’aria indolente.
«Tom, vai a controllare quella gettata di cemento.»
Consapevole di essere di troppo, l’uomo chiamato Tom prese l’elmetto e uscì dalla baracca senza salutare. Vivien capì che considerava lei e Russell solo un intoppo alla sua giornata di lavoro. Newborn ripiegò il foglio che aveva e rimase in piedi dall’altra parte della scrivania, in attesa.
Vivien venne subito al motivo della sua presenza al cantiere.
«È molto che lei lavora nella Newborn Brothers?»
«Da quando ero ragazzo. Mio padre e mio zio hanno avviato l’impresa e io ho iniziato a lavorarci quando avevo diciotto anni. Mio cugino è arrivato dopo il college e cura l’amministrazione. Ora i vecchi si sono ritirati e siamo rimasti noi due a occuparci dell’azienda.»
«Era presente quando è stata costruita la casa del maggiore Mistnick, a Long Island?»
Nella mente di Chuck Newborn doveva essere suonato un segnale di pericolo. Non ebbe bisogno di eccessivi sforzi per individuare nella memoria ciò di cui stava parlando la detective.
«Sì. Brutta faccenda quella. Dopo un anno…»
«…la casa esplose.»
L’uomo mise le mani avanti.
«Fu aperta un’inchiesta. Noi fummo sentiti dalla Polizia ma ne siamo usciti puliti.»
«Lo so, signor Newborn. Non la sto accusando di nulla. Vorrei solo farle alcune domande rispetto a quel periodo.»
Diede a Newborn qualche istante per tranquillizzarsi. Poi continuò con voce calma il suo interrogatorio.
«Ricorda se un certo Mitch Sparrow lavorava in quel cantiere?»
«Il nome mi dice qualcosa ma non riesco a focalizzare un viso.»
Vivien mostrò la foto che le aveva dato Carmen Montesa. Il ricordo apparve sul viso dell’uomo, prima che nella sua voce.
«Ah, lui. Certo. Era un bravo ragazzo. Fanatico delle moto ma un buon lavoratore.»
«Ne è sicuro?»
L’uomo si strinse nelle spalle.
«A quell’epoca la Newborn Brothers non era quella di adesso. Ci occupavamo soprattutto di ristrutturazioni e di piccole costruzioni. Gli operai non erano tanti. Era un periodo eroico e i ricordi di certi momenti si fissano bene nella mente.»
L’uomo non fece alcun cenno alla scomparsa del suo operaio di un tempo. Vivien pensò che non ne fosse al corrente e per il momento preferì non inserire un nuovo elemento nella conversazione.
«Le risulta che Sparrow avesse qualche amico, che frequentasse qualcuno in particolare, in quel periodo?»
«No. Era un tipo tranquillo. Finiva il lavoro e tornava a casa dalla moglie e dal figlio. Non parlava d’altro.»
«È successo qualcosa di strano al cantiere? Per quel che può ricordare ci sono stati episodi particolari o persone che abbiano attirato la sua attenzione?»
«No, non mi pare.»
L’uomo fece un mezzo sorriso.
«A parte il Fantasma del Cantiere.»
«Prego?»
«C’era un tipo che aveva la faccia, la testa e le mani completamente deturpate da cicatrici. Un vero mostro. A tutti erano sembrate cicatrici da ustioni.»
A quelle parole altre ne scorsero come su un display nella mente di Russell e Vivien. Parole scritte su una lettera delirante che altrettanto delirio aveva trovato.
Tritolo e napalm, che per mia sfortuna ho imparato a conoscere fin troppo bene…
Newborn chinò la testa e si guardò le mani, forse imbarazzato da quello che stava per dire.
«Mio cugino e io, con la crudeltà dei ragazzi, lo avevamo soprannominato il Fantasma del Cantiere, sulla scia del Fantasma dell’Opera.»
«Ricorda il nome?»
«Assolutamente no.»
«Non avete una copia delle buste paga?»
«Sono passati quasi vent’anni. Non siamo tenuti a conservare certi documenti per un tempo così lungo.»
Vivien assunse il tono più rassicurante che le riusciva di trovare.
«Signor Newborn, io non sono un agente del Fisco. Sono qui per un motivo estremamente importante. Qualsiasi dettaglio, anche il più insignificante, può essere essenziale, per noi.»
Chuck Newborn cedette e aprì i registri fasulli della sua azienda.
«A quell’epoca, per contenere i costi, prendevamo anche degli operai in nero. Adesso non sarebbe più possibile, perché la società ha un giro d’affari da sconsigliare o addirittura non consentire certi sotterfugi. Ma allora eravamo costretti a farlo, per sopravvivere. Quella gente veniva pagata sull’unghia, senza troppe carte in giro.»
«Ricorda altri dettagli su quel tipo?»
«Mio padre ne parlò una sera a cena. Era arrivato, offrendosi a un costo che era sembrato a lui e mio zio molto conveniente. Inoltre si era dimostrato parecchio bravo. Mentre stavano parlando davanti al cantiere, quell’uomo aveva calcolato in un attimo, a occhio, la quantità di ferro e cemento per le fondazioni.»
«E non ha più lavorato per voi?»
«No. Subito dopo la fine dei lavori a casa Mistnick se n’è andato.»
Vivien si impose di non essere così serrata nelle domande. Concesse un attimo di pausa al suo interlocutore, che sembrava sempre più preoccupato a mano a mano che la conversazione procedeva.
«E sull’incidente che mi dice?»
«Una notte la casa esplose, uccidendo il maggiore e tutta la sua famiglia.
Anzi, sarebbe meglio dire che implose, accartocciandosi su se stessa in modo perfetto, quasi senza danneggiare quelle intorno.»
Vivien guardò Russell. Tutti e due avevano pensato la stessa cosa. Quel tipo aveva dimostrato la stessa diabolica abilità dimostrata col ferro e col cemento nel calcolare le quantità di esplosivo da piazzare e il modo per farle esplodere.
«Ne avete parlato con la Polizia, all’epoca?»
Il senso di colpa arrivò come un’ombra sul viso di Chuck Newborn.
«Temo di no.»
Il motivo era evidente. Lo aveva appena esposto con chiarezza. Parlarne sarebbe equivalso a consegnarsi nelle mani del Fisco, con le inevitabili conseguenze. Vivien sentì uno sbocco d’ira arrivare come un soffio di vento caldo.
«E non vi è venuto in mente che il comportamento di quel tipo potesse essere stato quantomeno sospetto, viste le circostanze?»
Newborn chinò il capo, senza trovare una ragione plausibile da fornire per l’inconscia forma di omertà della quale era appena stato accusato.
Vivien sospirò. Come già aveva fatto con Carmen Montesa, tirò fuori dal portafoglio un biglietto da visita, scrisse sul retro il suo cellulare e lo tese all’uomo.
«Per ora è tutto. Le lascio i miei numeri. Se le venisse in mente qualcosa mi avverta, a qualsiasi ora.»
L’uomo prese il biglietto e rimase un attimo a guardarlo, come se temesse di trovarci un mandato di arresto.
«Certo, stia tranquilla.»
«Arrivederci, signor Newborn.»
Arrivò un saluto di risposta che quasi non sentirono, tanto era stato pronunciato a bassa voce. Vivien e Russell presero la porta e uscirono.
Nessuno dei due aveva la certezza, ma dentro di loro erano entrambi sicuri che l’uomo con il viso ustionato e che per scherzo era stato definito il Fantasma del Cantiere era la persona che stavano cercando. Scesero i gradini e si diressero verso la macchina, lasciando uno dei titolari della Newborn Brothers solo con la sensazione di essersi macchiato di una grave colpa, anche se non sapeva quale. La spiegazione sarebbe stata molto semplice, qualora avessero potuto darla. Forse non altrettanto semplice da accettare.
Se la Newborn Brothers a suo tempo non avesse risparmiato sui costi, quell’uomo sarebbe stato preso e anni dopo forse si sarebbero risparmiate decine di vite umane.
Russell e Vivien si ritrovarono ancora in strada.
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