Giorgio Faletti - Io sono Dio

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Non c’è morbosità apparente dietro le azioni del serial killer che tiene in scacco la città di New York. Non sceglie le vittime seguendo complicati percorsi mentali. Non le guarda negli occhi a una a una mentre muoiono, anche perché non avrebbe abbastanza occhi per farlo. Una giovane detective che nasconde i propri drammi personali dietro a una solida immagine e un fotoreporter con un passato discutibile da farsi perdonare sono l’unica speranza di poter fermare uno psicopatico che nemmeno rivendica le proprie azioni. Un uomo che sta compiendo una vendetta terribile per un dolore che affonda le radici in una delle più grandi tragedie americane. Un uomo che dice di essere dio.

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Quelli del 70° Distretto, mi pare. Ma non ne è venuto fuori nulla. I francesi dicono cherchez la femme.»

L’uomo sembrò molto compiaciuto di quella sua citazione in una lingua straniera.

«È ancora in contatto con la moglie?»

«No. Per un po’, finché è rimasta da queste parti, lei e mia moglie ogni tanto si vedevano. Ma un paio d’anni dopo la scomparsa di Mitch si è trovata un compagno e si è trasferita.»

Chowsky prevenne la successiva domanda.

«Non so dove.»

«Ricorda come si chiamava?»

«Carmen. Montaldo o Montero, non ricordo bene. Era un’ispanica, gran bella donna. Se Mitch è scappato con un’altra, ha fatto una delle più grosse fesserie della sua vita.»

Vivien non poteva dire a Chowsky che Mitch, con ogni probabilità, quella fesseria non l’aveva fatta. Forse ne aveva fatta qualcuna più grossa, se come sospettava era finito in un muro di cemento. Ma quella no.

Ritenne che da quell’uomo, per il momento, non poteva avere altre informazioni. Aveva un nome, aveva un periodo, aveva una denuncia fatta da una donna di nome Carmen, Montaldo o Montero che fosse. Si trattava di trovare un verbale e rintracciare la donna.

«La ringrazio, signor Chowsky, lei mi è stato di grande aiuto.»

«Non c’è di che, signorina Light.»

Lasciarono l’uomo alle sue moto e ai suoi ricordi e si avviarono verso l’uscita. Mentre stavano per superare la soglia, Russell si fermò. Rimase per un attimo a guardarla, indeciso. Poi si girò di nuovo verso Chowsky, che nel frattempo era tornato dietro il bancone.

«Un’ultima cosa, se non le dispiace.»

«Dica pure.»

«Che lavoro faceva Mitch Sparrow?»

«Lavorava nell’edilizia. Ed era pure bravo. Sarebbe diventato capocantiere, se non fosse sparito nel nulla.»

CAPITOLO 21

Non appena si furono allontanati di due passi dal negozio, Vivien tirò fuori il BlackBerry e compose il numero diretto dell’ufficio del capitano.

Un paio di squilli e il suo superiore rispose.

«Bellew.»

«Alan, sono Vivien. Ho delle novità.»

«Molto bene.»

«Mi serve una ricerca alla velocità del fulmine.»

Il capitano percepì l’eccitazione della caccia nella voce di Vivien e divenne anche la sua.

«Anche di più, se riesco. Dimmi.»

Erano entrambi poliziotti esperti. Tutti e due sapevano che in un caso come quello si trattava più di una lotta contro il tempo che contro un uomo. E l’uomo che stavano cercando aveva il tempo dalla sua parte.

«Segnati questi dati.»

Vivien diede al capitano qualche secondo per prendere carta e penna.

«Vai.»

«Il tipo nel muro con ogni probabilità si chiama Mitch Sparrow. Un testimone mi ha confermato che apparteneva a un gruppo di biker che si facevano chiamare Skullbusters. Erano di stanza a Coney Island, sulla Surf Avenue. Dovrebbe esserci una denuncia di scomparsa presentata al 70° Distretto diciotto anni fa da una donna che si chiama Carmen Montaldo o Montero. Un paio di anni dopo lei si è trasferita a un indirizzo sconosciuto, dopo aver trovato un nuovo compagno. Ho bisogno di rintracciarla.»

«Va bene. Dammi mezz’ora e ti dico qualcosa.»

«Un’ultima cosa. Questo Mitch Sparrow era un operaio edile.»

La notizia diede una comprensibile eccitazione al capitano.

«Cristo santo.»

«Esatto. Per cui sarà il caso di fare qualche ricerca presso i registri delle Unions. Puoi incaricare qualcuno?»

Le Unions erano i sindacati che provvedevano a fornire alle imprese i lavoratori di cui avevano bisogno, scegliendoli fra i propri iscritti. Per una serie di motivi, tecnici e relazionali, quasi tutte le imprese si rivolgevano a loro in caso di necessità.

«Fai conto che gli uomini siano già in strada.»

Vivien chiuse la comunicazione. Russell aveva ascoltato camminando in silenzio al suo fianco, mentre tornavano verso la macchina.

«Scusami.»

«Di che?»

«Per poco fa, intendo. Scusa se mi sono intromesso. L’ho fatto d’istinto.»

In effetti Vivien era stata colta di sorpresa dalla domanda che Wade aveva fatto a Chowsky. E si era rammaricata di non averci pensato prima lei stessa. Ma l’onestà del suo carattere le imponeva da sempre di onorare i meriti altrui.

«È stata una cosa sensata. Più che sensata.»

Russell proseguì nell’esposizione delle sue motivazioni. Sembrava lui stesso sorpreso di quella improvvisa intuizione.

«Mi è venuto in mente che se questo Sparrow è finito in un blocco di cemento, deve aver saputo qualcosa che non doveva sapere o visto qualcosa che non doveva vedere.»

Fece una pausa di riflessione.

«Così ho ripensato alle parole che abbiamo letto sulla lettera che vi ho consegnato.»

Sul viso gli passò un’ombra e Vivien fu certa che stesse vivendo un’altra volta le circostanze in cui l’aveva ottenuta. Le righe scritte con una ruvida grafia maschile scorsero con una nitidezza impressionante anche nella sua mente.

Per tutta la mia vita, prima e dopo la guerra, ho lavorato nell’edilizia.

Terminò il pensiero di Russell, che da semplice supposizione era ormai diventata una certezza comune.

«E hai concluso che esiste una forte probabilità che l’uomo che ha ucciso Sparrow e l’uomo che ha scritto la lettera siano la stessa persona.»

«Esatto.»

Nel frattempo avevano raggiunto il parcheggio. All’estremità opposta del grande piazzale, oltre la linea dei pochi alberi, spuntavano la sagoma scheletrica del Rollercoaster e della Parachute Tower e si intravedevano i tendoni del Luna Park di Coney Island. Non c’erano molte macchine nello spiazzo e Vivien pensò che il lunedì non doveva essere di certo il giorno di maggiore affluenza per un parco di divertimenti, anche in una giornata bella e strana come quella.

Guardò l’orologio.

«Tutta questa storia me l’ha fatto scordare, ma adesso mi accorgo di avere fame. Dobbiamo aspettare la telefonata del capitano. Che ne dici di un hamburger?»

Russell fece un sorriso dubbio e vago.

«Io non mangio. Ti posso fare compagnia, se vuoi.»

«Sei a dieta?»

Il sorriso dell’uomo divenne un’avvilita espressione di resa incondizionata.

«La verità è che non ho un centesimo in tasca. E le mie carte di credito sono ormai da tempo solo dei pezzi di plastica. In città ho dei posti che mi danno fiducia ma qui sono in territorio Comanche. Nessuna possibilità di sopravvivenza.»

Nonostante tutto quello che sapeva sulla vita sregolata di Russell Wade, Vivien ebbe un moto istintivo di simpatia e tenerezza. Lo ricacciò subito dove non poteva combinare guai.

«Sei messo male, eh?»

«È un momento di grossa crisi per tutti. Tu che sei in Polizia dovresti aver saputo di quel falsario che hanno arrestato nel New Jersey.»

«Quale falsario?»

«Faceva banconote da venticinque dollari, perché di questi tempi con quelli da venti non ci stava dentro con i costi.»

Vivien scoppiò a ridere suo malgrado. Un paio di ragazzi di colore vestiti nel più puro stile hip-hop che stavano attraversando il parcheggio si girarono dalla loro parte.

Guardò negli occhi Russell Wade come se lo vedesse per la prima volta.

Dietro lo sguardo divertito, ci trovò l’abitudine all’emarginazione. Si chiese se da un certo momento in poi non fosse stata frutto più di una decisione personale che non un’imposizione del mondo che aveva intorno.

«Posso offrire io?»

Russell fece un gesto desolato con il capo.

«Non sono nella condizione di rifiutare. Ti confesso che ho una fame che con il solo incentivo di un vasetto di maionese posso mangiare anche le gomme della macchina.»

«Vieni, allora. Le gomme della macchina ci servono ancora. E inoltre fare da sponsor per un pranzo mi costa di meno.»

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