Giorgio Faletti - Io sono Dio

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Non c’è morbosità apparente dietro le azioni del serial killer che tiene in scacco la città di New York. Non sceglie le vittime seguendo complicati percorsi mentali. Non le guarda negli occhi a una a una mentre muoiono, anche perché non avrebbe abbastanza occhi per farlo. Una giovane detective che nasconde i propri drammi personali dietro a una solida immagine e un fotoreporter con un passato discutibile da farsi perdonare sono l’unica speranza di poter fermare uno psicopatico che nemmeno rivendica le proprie azioni. Un uomo che sta compiendo una vendetta terribile per un dolore che affonda le radici in una delle più grandi tragedie americane. Un uomo che dice di essere dio.

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Quando se ne rese conto la tirò via sperando che l’altro non se ne fosse accorto.

«Che hai fatto dopo?»

«Sono sopravvissuto, accettando qualsiasi lavoro mi capitasse. Servizi di moda, foto tecniche, persino dei matrimoni. Ma soprattutto sono ricorso qualche volta di troppo al denaro della mia famiglia.»

Vivien stava cercando le parole giuste per alleviare il peso di quella confessione ma la suoneria del telefono la prevenne. Prese l’apparecchio dal tavolo. La memoria aveva trasferito sul display un nome: Bellew.

Attivò la comunicazione.

«Dimmi, Alan.»

«Un autentico colpo di fortuna. Ho chiamato il responsabile del 70° e gli ho imposto di andare a fare una ricerca. Quando gli ho chiesto di mettere al lavoro tutti gli uomini a disposizione mi ha preso per matto.»

«Ci credo. Trovato qualcosa?»

«La donna si chiama Carmen Montesa. Quando si è trasferita ha avuto l’accortezza di andare alla Polizia e comunicare il cambio di casa. Ho fatto controllare e ancora risulta un’utenza telefonica attiva a suo nome allo stesso indirizzo, nel Queens. Te lo mando subito sul telefono.»

«Alan, sei un grande.»

«Ragazza, la prima donna che me lo ha detto è l’ostetrica che mi ha messo la mondo. Mettiti in coda. Buon lavoro e tienimi informato.»

Vivien si alzò e Russell fece altrettanto. Aveva capito che la pausa era terminata e che era tempo di muoversi.

«Novità?»

«Speriamo di sì. Per adesso abbiamo trovato la donna, poi vedremo.»

La detective si pulì la bocca, gettò il tovagliolo di carta sul tavolo e si diresse verso la macchina. Russell lanciò uno sguardo malinconico verso il cibo che aveva a malapena toccato. Poi seguì Vivien, lasciandosi alle spalle una storia che, per quanto facesse, aveva il sospetto che non sarebbe mai finita.

CAPITOLO 22

Carmen Montesa amava i numeri.

Li aveva sempre amati, fin da bambina. Alle elementari era la migliore della sua classe. Lavorare con i numeri le dava un senso di ordine, di pace.

Le piaceva incasellarli nei quadretti del foglio, ognuno con il suo segno grafico e il suo significato quantitativo, stesi uno accanto all’altro o in colonna, tutti compresi nella sua calligrafia infantile ma precisa. E, al contrario di molti altri suoi compagni di scuola, trovava tutto molto creativo. Nella sua mente di bambina aveva addirittura attribuito un colore ai numeri. Il quattro era giallo e il cinque era blu. Il tre era verde e il nove era marrone. Lo zero era di un bianco candido, incontaminato.

Anche adesso, seduta nella sua vecchia poltrona di pelle, aveva una rivista di sudoku appoggiata in grembo. Purtroppo di quelle fantasie di bambina non era rimasto molto. I numeri erano diventati dei segni neri sulla carta bianca di un periodico e niente altro. Col tempo i colori erano spariti e aveva scoperto che lo zero, applicato alla vita delle persone, non aveva un bella tinta.

Le sarebbe piaciuto un percorso diverso, poter studiare, andare al college, scegliere una facoltà legata ai numeri che le avrebbe consentito di farli diventare il suo lavoro. Le circostanze avevano scelto diversamente.

In un film che aveva visto, uno dei protagonisti diceva che a New York è molto difficile la vita se sei messicano e sei povero. Quando aveva sentito quella frase, dentro di sé non aveva potuto che confermare. Lei aveva avuto, rispetto al resto delle ragazze nella sua situazione, il vantaggio di essere bella. E questo l’aveva aiutata molto. Non aveva mai accettato veri compromessi, anche se nel corso del tempo aveva imparato a sopportare qualche strusciata e qualche mano morta di troppo. Solo una volta, per essere sicura di entrare alla scuola delle infermiere, aveva fatto un pompino al direttore. Quando aveva visto in faccia le sue colleghe di corso e aveva trovato una alta percentuale di ragazze carine, si era resa conto che quel tipo di esame d’ammissione doveva essere una cosa che aveva in comune con molte di loro.

Poi era arrivato Mitch…

Spostò la rivista quando si accorse che una lacrima era caduta a macchiare l’inchiostro del pennarello nello schema del sudoku. Il numero che aveva appena scritto, il cinque, aveva allargato la sua pancia e adesso era circondato da un alone bluastro, tondo e troppo simile allo zero.

Non è possibile, dopo tutti questi anni ancora piango…

Si diede della stupida e appoggiò la rivista su un tavolino accanto a lei.

Ma lasciò che le lacrime scorressero e con loro i ricordi. Era tutto quello che le restava di un periodo felice, forse l’unico vero lembo di terra verde della sua esistenza. Dal momento che l’aveva conosciuto, Mitch aveva cambiato la sua vita, in tutti i sensi.

Prima e dopo.

Con lui aveva scoperto la passione, quello che l’amore poteva essere e fare. Le aveva fatto il più grande regalo del mondo, l’aveva fatta sentire amata e desiderata e donna e madre. Tutte cose che le aveva chiesto indietro dopo, quando era sparito nel nulla, da un giorno all’altro, lasciandola sola con un figlio piccolo da crescere. La madre di Carmen lo aveva sempre detestato. Quando era stato chiaro che suo marito non sarebbe ritornato, pur senza commentare apertamente, si era presentata con dipinte sul viso le parole te-l’avevo-detto-io. Aveva sopportato le sue allusioni perché aveva bisogno di lei per la custodia del bambino quando era impegnata al lavoro, ma non aveva mai accettato di tornare nella casa dei suoi. La sera se ne stava nel suo, nel loro appartamento, con Nick che era il ritratto sputato di suo padre, a leggere storie e a guardare cartoni animati e a sfogliare riviste di moto.

Poi, un giorno, aveva conosciuto Elias. Era un chicano come lei, un ragazzo a posto, che lavorava come cuoco in un ristorante dell’East Village. Si erano frequentati per un poco, come semplici amici. Elias conosceva la sua situazione, era un uomo dolce e rispettoso e si vedeva lontano un miglio che era innamorato di lei. Non le aveva mai chiesto nulla, non aveva mai cercato di sfiorarla nemmeno con un dito.

Lei ci stava bene, parlavano molto, piaceva a Nick. Non lo amava, ma quando le aveva proposto di andare a vivere insieme, dopo molte esitazioni aveva accettato. Avevano ottenuto un mutuo e comprato una casetta in un quartiere popolare del Queens che Elias aveva insistito per intestare a lei.

Carmen sorrise fra le lacrime al ricordo di quell’uomo tenero e sprovveduto.

Povero Elias. Avevano fatto l’amore per la prima volta nella loro casa.

Lui era timido e delicato e inesperto e lei aveva dovuto prenderlo per mano come un bambino e guidarlo attraverso la sua emozione. Un mese dopo aveva scoperto di essere incinta ed esattamente nove mesi dopo quella loro prima notte era nata Allison.

Aveva avuto una famiglia. Un figlio, una figlia e un compagno che le voleva bene, seduti tutti insieme alla stessa tavola. Di fronte a lei non c’era l’uomo che dentro di sé ancora desiderava ci fosse, non era la felicità sfarzosa dei giorni con Mitch. Era la serenità, che quando la si otteneva e la si considerava di per sé un valido risultato, rappresentava l’inizio della vecchiaia.

Purtroppo non pareva essere il destino della sua vita riuscire a tenersi un uomo.

Anche Elias se n’era andato, portato via da una forma acuta di leucemia che lo aveva consumato in poco tempo. Ricordava ancora l’espressione desolata della dottoressa Myra Collins, una internista dell’ospedale dove lavorava allora, quando l’aveva presa da parte e le aveva spiegato il senso del risultato delle prime analisi. Con parole chiare e cortesi che alle orecchie di Carmen erano suonate già come parole di condoglianze.

E di nuovo era rimasta sola. Aveva deciso che in quel modo, da adesso in poi, avrebbe continuato la sua vita. Sola con i suoi figli, loro tre e basta.

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