«Signora, per comprensibili motivi non posso dirle nulla, ma sappia che è di una importanza estrema.»
Il tono sembrava accorato e riusciva a trasmettere il senso d’ansia che la ragazza di certo provava. Carmen ci pensò un poco e poi fu costretta a fare un gesto rassegnato con le mani.
«No. Nonostante il passato piuttosto vivace di Mitch facevamo una vita tranquilla. Ogni tanto vedeva ancora i vecchi amici, gli Skullbusters intendo, ma a parte qualche sera che tornava a casa con qualche birra di troppo in corpo, era uno che lavorava e che rigava diritto. A casa parlava poco del suo lavoro. Giocava tutto il tempo con Nick.»
La detective stava per replicare quando furono interrotti dal rumore di una chiave nella toppa e della porta d’ingresso che si apriva. I discorsi furono sostituiti da un rumore di tacchi sul pavimento che parve a tutti più eloquente delle parole. Carmen vide sua figlia sbucare dal corridoio e affacciarsi sul soggiorno.
Aveva capelli corti sparati con il gel, gli occhi truccati in un modo pesante, un rossetto viola e mezzi guanti neri alle mani. I jeans sembravano di un paio di taglie più ampi del necessario e aveva una maglietta corta che le lasciava scoperto l’ombelico, attraversato da un piercing.
Non sembrò sorpresa di trovare sua madre in compagnia di due sconosciuti. Li guardò con sufficienza, prima loro poi lei.
«Potevi fare a meno di chiamare gli sbirri. Tanto lo sai che torno.»
«Loro non…»
La ragazza la interruppe mentre distoglieva lo sguardo per infilare la chiave nella borsa. Pareva annoiata più che impressionata.
«Loro ce l’hanno scritto in faccia che sono due poliziotti. Credi che sia nata ieri?»
Tornò a fissare la madre.
«Comunque la ragazza cattiva è tornata e i tuoi due cani da fiuto possono tornarsene da dove sono venuti. E digli che senza un mandato di perquisizione in questa casa non sollevano nemmeno un tovagliolo.»
Carmen vide un’ombra scendere a incupire gli occhi di Vivien. Come se già sapesse, come se avesse vissuto altrove e in precedenza quella situazione.
Sentì la detective rivolgersi ad Allison con voce costretta alla pazienza.
«Non siamo qui per te. Abbiamo portato una notizia a tua madre.»
Ma Allison aveva già voltato loro le spalle, come se il discorso non la interessasse. Sparì dietro l’angolo lasciando solo il suono sarcastico della sua voce.
«E chi cazzo se ne frega non lo vogliamo aggiungere a questo bel discorso?»
Aveva detto questa frase mentre già stava salendo le scale per raggiungere la sua camera. Dall’alto arrivò, sul loro imbarazzo e sul loro silenzio, il rumore di una porta sbattuta.
Carmen non sapeva che dire. Fu Vivien a parlare per prima. La scena a cui aveva appena assistito la autorizzò a una piccola confidenza. E le diede del tu.
«Carmen, posso andare a dire due parole a tua figlia?»
Rimase un attimo interdetta sul senso di quella richiesta.
«Sì, credo di sì.»
La detective ritenne necessaria una precisazione.
«Temo che saranno, per così dire, parole un poco ruvide.»
«Capisco. Ma non credo che le faranno del male.»
Vivien si alzò. Carmen le mostrò un piccolo sorriso, leggero e complice.
«Prima camera a destra, in cima alle scale.»
Vivien sparì dietro l’angolo, sulle tracce di un discorso che riteneva giusto fare, a quella persona e in quel momento. Quello che si era presentato come Russell assunse un’espressione di ironica circostanza.
Finora era rimasto in silenzio ma quando le fece sentire la sua voce, era esattamente come Carmen se l’aspettava.
«Vivien è una ragazza molto decisa.»
«Vedo.»
«E anche molto precisa, quando vuole.»
Carmen confermò quel parere, con un tono compiaciuto.
«Ne sono certa.»
Rimasero in silenzio fino a quando Vivien ritornò, poco dopo. Con aria tranquilla attraversò la stanza e tornò a sedersi sul divano.
«Ecco fatto. Avrà le guance un poco rosse per le prossime ore ma dovrebbe avere capito il giro delle cose.»
Tirò fuori il portafoglio, prese un biglietto da visita e lo appoggiò sul tavolino sopra alla rivista di enigmistica. Carmen la vide prendere il pennarello che c’era di fianco e scrivere qualcosa sul retro. Poi si sporse verso di lei e le tese il cartoncino.
«Questo è il mio numero. Dietro c’è anche quello del cellulare. Se dovesse venirti in mente qualcosa a proposito di tuo marito o dovessi avere altri problemi con tua figlia chiamami pure.»
Vivien prese il quadro e si alzò, subito imitata da Russell, segno che la loro visita era finita. Carmen li accompagnò alla porta. Mentre stavano per uscire, appoggiò una mano sul braccio della ragazza.
«Vivien.»
«Sì?»
«Grazie. È una cosa che avrei dovuto fare io tempo fa, ma grazie lo stesso.»
La detective le sorrise. Gli occhi le scintillarono un momento mentre faceva un gesto con le spalle per minimizzare la cosa.
«E di che? Ciao, Carmen.»
Attese che fossero in fondo agli scalini e poi chiuse la porta. Tornò in soggiorno, ripensando a tutta quella storia.
Mitch, maledizione, per quanto è durata spero di essere riuscita a farti capire quanto ti amavo…
Sapeva che la parte difficile sarebbe arrivata la sera, quando avrebbe spento la luce e si sarebbe trovata da sola con tutti i suoi fantasmi. Per il momento decise di accendere la televisione e chiamare il mondo a farle compagnia.
Si sedette sulla poltrona e puntò il telecomando verso l’apparecchio.
Quando lo schermo si illuminò c’era un servizio del notiziario sull’esplosione di sabato sulla 10ma Strada, a Manhattan. Nel vedere quelle immagini di distruzione, un ricordo le attraversò la mente. Si sollevò di scatto, corse alla porta e la aprì. Russell e Vivien erano ancora fuori, sul marciapiede opposto, accanto a una macchina, come se si fossero fermati per commentare l’esito di quell’incontro.
Fece un gesto con il braccio per richiamare la loro attenzione.
«Vivien.»
La detective e il suo partner girarono la testa nella sua direzione. Quando la videro in cima ai tre gradini, sotto la tettoia dell’ingresso, la raggiunsero.
«Che c’è Carmen?»
«Mi è venuta in mente una cosa. È passato tanto tempo e i miei ricordi sono…»
Vivien pareva eccitata. La interruppe con una vena di impazienza nella voce.
«Dimmi.»
Carmen era imbarazzata. Per la prima volta nella sua vita era una voce in un’indagine della Polizia e temeva di fare una brutta figura o dire qualcosa che la facesse sembrare stupida.
«Ecco, non so se possa essere una cosa importante ma mi sono ricordata che molto tempo fa l’impresa per cui lavorava Mitch, la Newborn Brothers, ristrutturò una casa sul North Shore, a Long Island. Una casa di un ex militare, mi pare di ricordare. Un maggiore o un colonnello, qualcosa del genere.»
Vivien la incalzò.
«Ebbene?»
Carmen fece ancora una piccola pausa esitante poi di getto disse quello che aveva da dire.
«Circa un anno dopo la fine dei lavori la casa esplose.»
Nella luce incerta del crepuscolo, Carmen vide come se fosse giorno il viso della ragazza impallidire.
Dal finestrino della macchina Russell e Vivien videro Carmen Montesa richiudere lentamente la porta di casa, una figura sola e desolata che cercava invano di tenere fuori dall’uscio qualcosa che di certo sarebbe rientrato dalla finestra. Di notte e con denti feroci. Un secondo dopo Vivien aveva già in mano il telefono dell’auto e aveva composto al volo il numero del capitano. Sapeva che l’avrebbe trovato in ufficio, in attesa.
Seduto di fianco, Russell contò tre squilli prima che arrivasse la risposta.
«Bellew.»
Vivien non si perse in preamboli.
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