Jeff Lindsay - Il nostro caro Dexter

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Il nostro caro Dexter: краткое содержание, описание и аннотация

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Collaboratore della scientifica di Miami, oltre che uomo affascinante e spiritoso, Dexter sente continuamente l’istinto irrefrenabile a uccidere che sfoga soltanto su chi, a suo parere, se lo merita: assassini, pedofili, stupratori. Finora è giunto al quarantesimo omicidio senza destare alcun sospetto, però adesso un collega sta iniziando a fiutare qualcosa. Per non farsi smascherare, Dexter decide di recitare per un po’ la parte del bravo poliziotto e del fidanzato perfetto, dedicando molto tempo alla nuova fiamma e ai due bambini di lei. Per quanto tempo riuscirà a tenere a freno il suo alter ego? Mentre cerca di depistare il collega, viene coinvolto dalla sorellastra Debbie, agente della Omicidi, nel caso di un sadico serial killer che uccide secondo rituali affini ai suoi, mutilando con precisione chirurgica le proprie vittime, lasciandone alcune vive e spaventosamente traumatizzate. L’appetito di Dexter viene stuzzicato, ma deve essere tenuto sotto controllo finché c’è in giro la sua nemesi, il tenace Doakes, che però all’improvviso scompare. È ora di mettersi sulle tracce di quel misterioso chirurgo e di far agire il Passeggero, a meno che non sia la preda ora a braccare il cacciatore…

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Per quanto ne sapevo, da allora Vince non aveva più dato altre feste, o almeno non così in grande. Tuttavia il ricordo non si era spento e Vince non aveva avuto difficoltà a radunare, con solo ventiquattr’ore di preavviso, una folla entusiasta che si unisse alla mia umiliazione. Fedele alla promessa, aveva allestito numerosi schermi che proiettavano film porno tanto in casa quanto sulla terrazza. E, naturalmente, era ricomparsa la fontana da cui zampillava punch alla frutta.

Dato che la festa precedente era ancora sulla bocca di tutti, erano arrivati i peggiori casinisti, in maggior parte maschi, che si erano attaccati al punch neanche ci fosse stato in palio un premio per il primo che conseguiva un danno cerebrale permanente. Non conoscevo molti degli invitati. Dell’ufficio c’era Angel Batista Nessuna Parentela, assieme a Camilla Figg. Poi un gruppetto di colleghi secchioni del laboratorio analisi e alcuni poliziotti, fra i quali quelli che a detta del sergente Doakes «non facevano cazzate». Il resto della gente sembrava presa a casaccio da South Beach, scelta per l’abilità di emettere grida esagerate quando la musica cambiava o i video mostravano scene particolarmente indecenti.

Non ci volle molto perché la festa si trasformasse in qualcosa che avremmo rimpianto per molto tempo. Alle nove e un quarto ero l’unico in grado di rimanere in piedi senza aiuto. Molti poliziotti si erano accampati intorno alla fontana come un’orribile massa di ubriaconi. Angel Nessuna Parentela dormiva sotto il tavolo, sorridente. Non aveva più i pantaloni e qualcuno gli aveva rasato una striscia di capelli in mezzo alla testa.

Visto come andavano le cose, pensai che potesse essere il momento giusto per uscire di nascosto a vedere se il sergente Doakes era già arrivato. Si rivelò invece una pessima idea. Mi ero appena avviato verso la porta quando sentii piombarmi alle spalle qualcosa di molto pesante. Mi voltai rapido per scoprire che Camilla Figg stava tentando di appendersi alla mia schiena. «Ciao», disse con un sorriso luminoso e un po’ confuso.

«Ciao», risposi allegramente. «Posso offrirti da bere?»

Lei aggrottò le sopracciglia. «Non voglio bere. Volevo solo salutarti.» Aggrottò ulteriormente le sopracciglia. « Diiio , quanto sei carino», miagolò. «Non sai da quanto te lo voglio dire.»

Be’, la poverina era chiaramente ubriaca, comunque… Carino? Io? Immagino che tutto quell’alcool le avesse appannato la vista. Suvvia… come fa a essere carino uno che le persone preferisce farle a pezzi piuttosto che stringere loro la mano? E in ogni caso, con Rita ero già andato oltre il mio limite massimo di donne consentito. A quanto ricordavo, io e Camilla non ci eravamo detti più di tre parole in tutto. Mai prima d’ora aveva fatto cenno alla mia presunta bellezza. Di solito sembrava evitarmi e preferiva arrossire e guardare da un’altra parte piuttosto che dirmi un semplice buon giorno. Ora invece stava praticamente tentando di violentarmi. Aveva forse un senso?

In ogni caso, non avevo tempo da perdere per decifrare il comportamento umano. «Grazie molte», dissi, cercando di staccarmela di dosso senza che nessuno dei due si facesse male. Mi aveva stretto le mani intorno al collo e io tentai di aprirle, lei però mi si attaccava come una cozza. «Penso che tu abbia bisogno di prendere un po’ d’aria, Camilla», suggerii, sperando che cogliesse il messaggio e si togliesse dai piedi. Invece mi strinse più forte e schiacciò la testa contro la mia, mentre tentavo disperatamente di fare marcia indietro.

«La prendo benissimo anche qui», replicò. Protese le labbra come se stesse per schioccare un bacio e mi spinse all’indietro, rischiando di farmi cadere su una sedia.

«Ah… ti vuoi sedere?» chiesi speranzoso.

«No», rispose spingendomi per terra con quella che sembrava il doppio della sua forza, «voglio scopare.»

«Ah, be’», balbettai, sopraffatto dalla sua totale e scioccante sfacciataggine e dall’assurdità del gesto… Forse le donne umane erano tutte pazze? Non che gli uomini fossero meglio. Sembrava che la coreografia della festa fosse stata curata da Hyeronimus Bosch, con Camilla decisa a trascinarmi dietro la fontana dove mi aspettava un gruppo di gente con il becco da uccello pronta a stuprarmi. Poi mi resi conto che avevo la scusa perfetta per non essere violentato. «Mi sto per sposare, lo sai.» Non riuscivo a farmene una ragione, ma una volta tanto mi venne utile.

«Bassstardo», sibilò Camilla. «Bello e bassstardo.» Si abbandonò di colpo e mi staccò le braccia dal collo. Riuscii a malapena ad afferrarla e impedirle di sbattere sul pavimento.

«Può darsi», feci. «Tuttavia penso che tu abbia bisogno di stare seduta per qualche minuto.» Tentai di distenderla delicatamente sulla sedia, ma era come far scivolare del miele sulla lama di un coltello. Ricadde sul pavimento.

«Bello e bassstardo», ripeté lei e chiuse gli occhi.

Fa sempre piacere scoprire di essere ben considerato dai propri colleghi, però la mia parentesi romantica mi era costata diversi minuti e avevo proprio urgenza di uscire a parlare con il sergente Doakes. Così lasciai Camilla che sonnecchiava, immersa nei suoi molli sogni d’amore, e ritentai di raggiungere la porta.

Venni di nuovo afferrato, stavolta per un braccio. A braccarmi era Vince in persona, che mi allontanò dall’uscita e mi fece ripiombare nel delirio. «Ehi… festeggiato!» esclamò. «Dove te ne vai?»

«Temo di aver dimenticato le chiavi in macchina», dissi, cercando di liberarmi da quella stretta mortale. Ma lui mi strattonò ancora più forte.

«No, no, no», ripeteva, spingendomi verso la fontana. «Questa è la tua festa, e tu non te ne andrai da nessuna parte.»

«È bellissima, Vince», provai a convincerlo. «Ma ho proprio bisogno di…»

«Bere!» esclamò lui. Riempì una tazza nella fontana e me la porse, schizzandomi tutta la camicia. «Ecco di che cosa hai bisogno. Banzai !» alzò in aria la sua tazza e la svuotò. Fortunatamente, data la situazione, gli venne un accesso di tosse e io riuscii ad allontanarmi mentre lui tentava di non soffocare.

Avevo appena imboccato il sentiero che Vince apparve sulla porta. «Ehi!» mi urlò. «Non puoi andartene adesso, arrivano le spogliarelliste!»

«Vengo subito!» esclamai. «Tienimi da parte un altro drink!»

«Okay!» rispose, con il suo sorriso falso. «Ah! Banzai !» E tornò alla festa facendomi un allegro cenno di saluto.

Mi rimisi a cercare Doakes.

Ormai ero così abituato, ovunque fossi, a vederlo parcheggiare dall’altra parte della strada, che mi aspettavo di individuarlo all’istante. Invece non fu così. Quando alla fine notai la famosa Taurus marrone, compresi l’intelligenza della sua mossa. Doakes aveva parcheggiato in strada sotto un grande albero, che non faceva passare la luce dei lampioni. Era il tipico atteggiamento di qualcuno che cerca di nascondersi, ma nello stesso tempo avrebbe permesso al dottor Danco di avvicinarsi tranquillamente, sicuro di non essere visto.

Mi accostai all’auto. Non appena la raggiunsi si abbassò il finestrino. «Non c’è ancora», fece Doakes.

«Dovresti entrare a bere qualcosa», dissi.

«Io non bevo.»

«E non vai nemmeno alle feste, altrimenti avresti dovuto sapere che aspettare fuori in macchina non è il modo migliore per parteciparvi.»

Il sergente Doakes non rispose, ma tirò su il finestrino, aprì la portiera e scese. «Se arriva adesso, che cosa farai?» mi chiese.

«Conto sul mio fascino per salvarmi la pelle», dichiarai. «Entra ora, finché puoi ancora trovare qualcuno sobrio.»

Attraversammo insieme la strada. Di fatto non ci tenevamo per mano, ma la circostanza era così strana che non mi sarei sorpreso se fosse successo. Mentre eravamo in mezzo, una macchina svoltò l’angolo e ci venne incontro. Avrei voluto scappare e tuffarmi in una fila di oleandri, ma fui molto fiero del mio aplomb perché mi limitai a osservare l’auto in avvicinamento. Si muoveva lenta e quando ci raggiunse, io e il sergente Doakes eravamo proprio al centro della strada.

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