A prima vista lui sembrò non battere ciglio, però aggrottò la fronte e per qualche secondo si dimenticò di respirare. Quindi annuì adagio e fece un grosso sospiro. «Furbastro figlio di puttana», sibilò.
«Vero», ammisi. «Ma non dirmi che ho torto.»
Doakes prese lo scanner, si spostò di lato e si sedette sul retro del furgone. «Okay», fece. «Prova a parlarmene.»
«Primo, scommetto che se ne procurerà un altro», dissi, indicando il macchinario vicino a Doakes.
«Uh-huh.»
«Quindi, se sappiamo che ci sta ascoltando, possiamo dirgli quello che vuole sentirsi dire. E cioè», dichiarai col mio sorriso migliore, «chi sei e dove ti trovi.»
«E io chi sono?» chiese il sergente, come se il mio sorriso non avesse sortito alcun effetto.
«Tu sei l’uomo che l’ha consegnato ai cubani», risposi.
Mi studiò per un po’, poi scosse la testa. «Insomma, vuoi proprio che rischi di farmi affettare l’uccello, eh?»
«Sicuro. Ma non sarai preoccupato, vero?»
«Lui ha Kyle, non c’è problema.»
«Tu sarai avvisato del suo arrivo», dissi. «Kyle non lo era. Inoltre mi sembra che in queste situazioni tu te la sappia cavare un po’ meglio di lui, no?»
Doakes non aveva nessun pudore, era del tutto prevedibile, però ci provò lo stesso. «È vero», concordò. «E tu resti un gran leccaculo.»
«Ma che leccaculo», mi difesi. «È la verità, pura e semplice.»
Il sergente fissò lo scanner che giaceva accanto a lui. Poi il suo sguardo corse alla superstrada illuminata d’arancione. Le luci fecero brillare di arancione una goccia di sudore che gli scendeva dalla fronte per entrargli in un occhio. Lui se l’asciugò senza pensarci, sempre scrutando la I-95. Era rimasto a squadrarmi senza batter ciglio per così tanto tempo che mi diede un certo fastidio averlo lì vicino impegnato a guardare qualcos’altro. Mi sembrava quasi di essere invisibile.
«D’accordo», brontolò tornando a rivolgersi a me. La luce arancione ora gli brillava negli occhi. «Cominciamo.»
Il sergente Doakes mi riportò alla centrale. Stare così vicino a lui fu un’esperienza singolare e inquietante. Scoprimmo di non avere molti argomenti di conversazione. Mi sorpresi a studiare il suo profilo con la coda dell’occhio. Come sarebbe andata a finire? Com’era possibile che lui fosse proprio come pensavo, anche se non aveva fatto nulla per dimostrarlo? L’aver dovuto sospendere l’appuntamento con uno dei miei compagni di gioco mi aveva dato parecchio sui nervi, mentre sembrava che Doakes non avesse questo tipo di problemi. Forse aveva già avuto modo di sfogarsi in Salvador. Era diverso farlo con l’approvazione ufficiale del proprio governo? Oppure era soltanto più facile, dato che non doveva preoccuparsi di essere scoperto?
Non conoscevo la risposta e di sicuro non gliela sarei andata a chiedere. Giusto per ribadire le cose, si fermò a un semaforo rosso e mi fissò. Finsi di non accorgermene, guardando dritto oltre il parabrezza, e quando venne il verde lui riprese a scrutare la strada. Arrivati allo stagno, svoltammo a destra e il sergente mi fece sedere su un’altra Ford Taurus. «Dammi un quarto d’ora», mi disse mentre faceva cenno di si alla radio, «poi chiamami.» Senza aggiungere altro, tornò alla sua macchina e se ne andò.
Una volta abbandonato a me stesso, riflettei sui sorprendenti avvenimenti delle ultime ore: Deborah all’ospedale, io alleato con Doakes… e l’intuizione che avevo avuto su Cody mentre guardavo in faccia la morte. Naturalmente, potevo essermi del tutto sbagliato sul ragazzo. La sua reazione quando la vicina aveva nominato il cane scomparso poteva aver avuto altre cause; anche quel modo violento di affondare il coltello nel pesce poteva spiegarsi come una normale espressione di crudeltà infantile. Ma, stranamente, mi accorsi che volevo che fosse vero. Volevo che Cody crescesse e diventasse come me… Soprattutto, compresi che volevo plasmarlo e instradarlo a seguire il Cammino di Harry.
Ecco che cos’era l’impulso umano a riprodursi: un’inutile e potente brama a replicare l’insostituibile e splendido me stesso, anche se l’essere in questione era un mostro che non meritava di vivere tra gli umani. Questo spiegava sicuramente l’origine degli individui imbecilli e sgradevoli che incontravo ogni giorno. A parte loro, comunque, ero perfettamente consapevole che senza di me il mondo sarebbe stato un posto migliore… Soltanto, mi sono sempre preoccupato più di me che di quello che poteva pensare il mondo. Adesso però non vedevo l’ora di generare qualcosa di simile a me, come Dracula che crea un nuovo vampiro perché stia al suo fianco nelle tenebre. Sapevo che era sbagliato… ma come mi sarei divertito!
Stavo diventando un vero idiota. Che la mia parentesi sul divano di Rita avesse trasformato le mie strabilianti facoltà cognitive in un ammasso di stucchevole sentimentalismo? Come potevo concepire simili assurdità? Perché piuttosto non escogitavo un modo per evitare il matrimonio? Non c’era da stupirsi che non riuscissi a liberarmi della nauseante sorveglianza di Doakes: avevo ormai utilizzato tutte le mie cellule grigie, che ora si erano esaurite.
Guardai l’orologio. Quindici minuti persi in chiacchiere assurde. Era passato abbastanza tempo: presi la radio e chiamai Doakes.
«Sergente Doakes, mi dia la sua posizione.»
Ci fu una pausa, poi un crepitio. «Uh, per il momento è meglio di no.»
«Può ripetere, sergente?»
«Ero sulle tracce di un sospetto, ma temo che mi abbia visto.»
«In che senso ’sospetto’?»
Lui fece una pausa, come se si aspettasse che parlassi io perché non sapeva che cosa dire. «Lo conosco dai tempi dell’esercito. L’hanno catturato in Salvador e può aver pensato che sia stata colpa mia.» Un’altra pausa. «Quel tipo è pericoloso», aggiunse.
«Le servono rinforzi?»
«Non ancora. Per ora sto cercando di evitare lo scontro.»
«Dieci-quattro», feci, un po’ eccitato all’idea che stavolta lo potevo dire anch’io.
Ripetemmo il messaggio base ancora un po’ di volte, per assicurarci che Danco sentisse, e in tutte ci infilai «dieciquattro». Quando all’una di notte decidemmo che era ora di smettere, mi sentivo esaltato e soddisfatto. Magari l’indomani avrei potuto esercitarmi su «Passo e chiudo» e persino su «Roger». Finalmente qualcosa di nuovo da fare.
Vidi un’auto di pattuglia diretta a sud e convinsi il poliziotto a portarmi da Rita. Mi avvicinai zitto zitto alla mia macchina, ci saltai sopra e tornai a casa.
Quando arrivai al mio rifugio, lo trovai in uno stato di terribile disordine. Mi ricordai che Debs sarebbe dovuta essere qui e invece era in ospedale. L’indomani sarei andato a trovarla. Quella era stata una giornata memorabile anche se devastante: ero stato inseguito in uno stagno da un mutilatore seriale, ero sopravvissuto a un incidente d’auto per poi rischiare di annegare, avevo perso una scarpa praticamente nuova e, come se non bastasse, ero stato costretto a fare l’amicone con il sergente Doakes. Povero Disintegrato Dexter. Non c’era da stupirsi se mi sentivo così stanco. Andai a letto e mi addormentai all’istante.
Il giorno dopo, sul presto, Doakes arrivò al parcheggio della centrale e lasciò la macchina accanto alla mia. Ne uscì con in mano un borsone da ginnastica di plastica, che posò sul cofano della mia auto.
«Mi hai portato la tua biancheria da lavare?» chiesi educatamente.
Ancora una volta il sergente ignorò il mio spensierato senso dell’umorismo. «Se funziona, o lui prende me o io prendo lui», brontolò. Aprì la cerniera del borsone. «Se io prendo lui, è fatta. Se lui prende me…» Estrasse un GPS e lo piazzò sul cofano. «Se lui prende me, sarai tu a farmi da rinforzo.» Abbozzò un fugace sorriso. «Immaginati che gioia.» Tirò fuori un cellulare e lo mise accanto al GPS. «Questa è la mia assicurazione.»
Читать дальше