Jeff Lindsay - Il nostro caro Dexter

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Il nostro caro Dexter: краткое содержание, описание и аннотация

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Collaboratore della scientifica di Miami, oltre che uomo affascinante e spiritoso, Dexter sente continuamente l’istinto irrefrenabile a uccidere che sfoga soltanto su chi, a suo parere, se lo merita: assassini, pedofili, stupratori. Finora è giunto al quarantesimo omicidio senza destare alcun sospetto, però adesso un collega sta iniziando a fiutare qualcosa. Per non farsi smascherare, Dexter decide di recitare per un po’ la parte del bravo poliziotto e del fidanzato perfetto, dedicando molto tempo alla nuova fiamma e ai due bambini di lei. Per quanto tempo riuscirà a tenere a freno il suo alter ego? Mentre cerca di depistare il collega, viene coinvolto dalla sorellastra Debbie, agente della Omicidi, nel caso di un sadico serial killer che uccide secondo rituali affini ai suoi, mutilando con precisione chirurgica le proprie vittime, lasciandone alcune vive e spaventosamente traumatizzate. L’appetito di Dexter viene stuzzicato, ma deve essere tenuto sotto controllo finché c’è in giro la sua nemesi, il tenace Doakes, che però all’improvviso scompare. È ora di mettersi sulle tracce di quel misterioso chirurgo e di far agire il Passeggero, a meno che non sia la preda ora a braccare il cacciatore…

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Mentre rimuginavo su questa difficile scelta, il sergente Doakes mi passò vicino, sfiorandomi. Una volta tanto non mi guardò in cagnesco, ma mi ricordò che, per colpa sua, al momento la lista era sospesa. Fu piuttosto sconcertante, tuttavia mi aiutò a decidere. Tentai di elaborare un’espressione facciale adeguatamente sconvolta, anche se mi riuscì soltanto di alzare le sopracciglia. Due infermieri entrarono di corsa, determinati, ma, non appena scorsero la vittima, si arrestarono di colpo. Uno si precipitò veloce fuori dalla stanza. L’altro, una giovane donna di colore, si voltò verso di me e disse: «Che cazzo pensano che possiamo farci, noi ?» Poi anche lei scoppiò a piangere.

Ammettetelo, aveva centrato il problema. La soluzione del sergente Doakes cominciava a sembrare la più pratica, addirittura elegante. Sembrava invece vagamente fuori tema caricare quella cosa su un’ambulanza e tuffarsi nel traffico di Miami per portarla in ospedale. Come la giovane signora aveva elegantemente osservato, che cosa cazzo ci potevano fare loro? Eppure qualcuno doveva pur fare qualcosa, ovvio. Se ci limitavamo a lasciarlo qui e a girarci intorno, probabilmente qualcuno si sarebbe lamentato dei poliziotti che vomitavano in cortile, il che non avrebbe giovato all’immagine del distretto.

Alla fine fu Deborah a trovare la soluzione. Convinse gli infermieri a somministrare un calmante alla vittima e a portarla via, il che permise ai tecnici di laboratorio, inspiegabilmente deboli di stomaco, di tornare dentro a lavorare. Non appena la droga fece effetto sulla cosa, una quiete quasi estatica avvolse la casupola. Gli infermieri coprirono l’essere e lo trasportarono sull’ambulanza, attenti a non farlo cadere, poi si allontanarono guidando nel tramonto.

Giusto in tempo; appena partita l’ambulanza, arrivò il furgone dei giornalisti. Un po’ mi dispiacque: avrei voluto vedere la reazione di uno dei due reporter, in particolare di Rick Sangre. Era il fautore del motto: «Sbatti il sangue in prima pagina» e non l’avevo mai visto esprimere dolore o disgusto se non davanti alla telecamera o quando aveva i capelli in disordine. Ma stavolta nulla. Quando il cameraman di Rick fu pronto per le riprese, non era rimasto granché da vedere, a parte la casupola recintata di nastro giallo e un gruppetto di poliziotti taciturni. Se già di solito non avevano molto da raccontare a Sangre, forse quel giorno non sarebbero stati neppure in grado di dirgli come si chiamavano.

Non avevo molto da fare. Ero arrivato con l’auto di Deborah e quindi ero senza il mio kit, e comunque non c’erano macchie di sangue visibili. Dato che era quella l’area di mia competenza, pensai di dover trovare qualche traccia, rendermi utile. Eppure il nostro amico chirurgo era stato troppo attento. Per sicurezza, guardai nelle altre zone della casa, che non erano molte. C’erano una minuscola camera da letto, un bagno ancora più piccolo e un ripostiglio. Sembravano vuoti, a eccezione di un materasso rotto sul pavimento della camera da letto. Pareva provenire dallo stesso robivecchi della poltrona del salotto ed era piatto come una bistecca. Non c’erano altri mobili o accessori, nemmeno una posata di plastica.

L’unico oggetto che aveva un tocco vagamente personale fu quello che Angel Nessuna Parentela scovò sotto il tavolo, mentre terminavo il mio rapido giro della casa. « Hola », disse, e con le sue pinzette tirò su dal pavimento un pezzo di carta. Mi avvicinai per vedere di che cosa si trattava. Non valeva granché: era solo una paginetta bianca, leggermente strappata in cima, da cui era stato staccato un piccolo rettangolo. Guardai sopra la testa di Angel, sicuro che su un lato del tavolo avrei trovato la parte mancante, attaccata a un pezzo di scotch. « Mira », indicai e Angel alzò lo sguardo: «Aha», fece.

Mentre esaminava con attenzione lo scotch (che mantiene meravigliosamente le impronte digitali), Angel posò il biglietto sul pavimento e mi chinai a osservarlo. Sopra c’erano scritte alcune lettere con una grafia filiforme; mi avvicinai a leggerle:

LEALTÀ

«Lealtà?» ripetei.

«Chiaro. Non è una virtù fondamentale?»

«Chiediamolo a lui», risposi, e Angel rabbrividì rischiando di far cadere le pinzette.

« Me cago en diez con questa merda», commentò e afferrò un sacchetto di plastica per infilarci il biglietto. Non era un bello spettacolo e poi non c’era altro da vedere, così mi diressi alla porta.

Sicuramente non sono un grande profiler, ma per via del mio oscuro hobby mi vengono spesso numerose intuizioni riguardo ad altri crimini che sembrano avere una certa parentela con i miei. Questo, comunque, andava ben oltre la mia esperienza e immaginazione. Non c’era la minima traccia riguardo la personalità o le motivazioni dell’omicida, e la cosa mi intrigava e mi irritava insieme. Quale predatore avrebbe mai lasciato in giro un pezzo di carne ancora vivo che si dibatteva?

Uscii sul portico. Doakes si stava consultando con il capitano Matthews: gli stava dicendo qualcosa che sembrava impensierirlo. Deborah si era seduta accanto alla signora anziana e parlava con lei a bassa voce. Sentii che l’aria fredda era in arrivo, sotto forma delle raffiche di vento che precedono la tempesta pomeridiana; non appena alzai lo sguardo, la prima goccia di pioggia cadde sul marciapiede. Sangre era in piedi davanti al nastro giallo. Agitava il microfono tentando di attirare l’attenzione del capitano; anche lui vide le nuvole e, nel momento stesso in cui udì il rombo del tuono, lanciò il microfono al produttore e corse sul camper.

Anche il mio stomaco tuonò e mi accorsi che nel caos generale avevo dimenticato di pranzare. Questo non andava bene: avevo bisogno di mantenermi in forze. Il mio metabolismo naturalmente elevato necessita di un’attenzione costante: niente dieta per Dexter. Ma per gli spostamenti in macchina dipendevo da Deborah e avevo la sensazione che non avrebbe approvato il mio bisogno di cibo in quel momento. La guardai un’altra volta. Stava consolando la signora Medina, che sembrava aver smesso di vomitare e ora si concentrava sul pianto.

Sospirai e, sotto la pioggia, mi diressi alla macchina. Non mi importava molto di bagnarmi. Avevo davanti una lunga attesa per tornare asciutto.

E in effetti fu piuttosto lunga, due ore abbondanti. Mi sedetti in auto, ascoltai la radio e cercai di immaginare, morso dopo morso, come poteva essere mangiare un sandwich medianoche : lo scricchiolio della crosta di pane così croccante e abbrustolita che mentre mordi ti graffia il palato. Poi il primo assaggio di senape seguito dal morbido formaggio e dalla carne salata. Morso successivo: un pezzo di cetriolo. Mastico per bene; lascio che si mescolino i sapori. Ingoio. Bevo una bella sorsata di Iron Beer (si pronuncia Iroan Beier, ed è una bibita analcolica). Sospiro. Estasi allo stato puro. Mangiare è in cima alle mie preferenze, a parte giocare con il Passeggero Oscuro. Che io non sia grasso è un vero miracolo della genetica.

Ero al terzo panino immaginario, quando finalmente Deborah tornò alla macchina. Scivolò al posto del guidatore, chiuse la portiera e rimase così, a fissare oltre il parabrezza rigato di pioggia. So benissimo che non era la cosa migliore da dire, ma non potevo farci niente. «Mi sembri sbattuta, Deb. Che ne dici di pranzare?»

Scosse la testa senza rispondere.

«Ti andrebbe un bel panino? O una macedonia… per aumentare gli zuccheri in circolo. Starai molto meglio.»

Stavolta mi guardò, ma i suoi occhi non contenevano alcuna speranza di cibo per il prossimo futuro. «È per questo che volevo diventare un poliziotto», disse.

«Per la macedonia?»

«Quella cosa lì dentro…» aggiunse, e poi tornò a guardare fuori dal parabrezza. «Voglio incastrare quel… quel… insomma, qualunque cosa possa ridurre così un essere umano. Potessi, lo mangerei vivo. »

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