Jeff Lindsay - La mano sinistra di dio

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La mano sinistra di dio: краткое содержание, описание и аннотация

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Il collaboratore della polizia di Miami Dexter Morgan, esperto nell’esame delle macchie di sangue sulla scena del delitto, è un bell’uomo dotato di ironia e senso dell’umorismo. A prima vista potrebbe sembrare il fidanzato ideale per ogni brava ragazza. Eppure non lo è. Sotto questo aspetto esteriore cova, infatti, un istinto incontenibile a uccidere, per poi smembrare e dissanguare i cadaveri. Al contempo investigatore e serial chiller, Dexter ha la peculiare caratteristica di indirizzare la sua furia omicida esclusivamente su persone che se “lo meritano”.
Anche pubblicato come “Dexter il vendicatore”.

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Respirai a fondo e mi guardai le mani strette sul volante. Ma il brivido c’era stato, questo sì. Era stato eccitante. Mi ero sentito pieno di vita, avevo provato nuove sensazioni e una profonda frustrazione. Era stata un’esperienza nuova e interessante, accompagnata dall’impressione che tutto mi guidasse in una direzione precisa, verso un luogo importante, sconosciuto e al tempo stesso familiare. Avrei dovuto esplorarlo più a fondo, la prossima volta.

Ma non ci sarebbe stata una prossima volta. Non avrei mai più combinato niente di così sciocco e impulsivo. Mai. Benché averlo fatto una volta, a suo modo, fosse stato divertente.

Non importava. Ora sarei tornato a casa, mi sarei fatto un lunga doccia e, una volta finita, sarebbe stata ora di…

Ora. Mi tornò in mente controvoglia. Avevo preso appuntamento con Rita alle… praticamente adesso, secondo l’orologio del mio cruscotto. E per quale oscuro scopo? Non sapevo che cosa passasse per la mente di una femmina umana. Era inutile chiedermi il perché in un momento come quello, quando i miei nervi erano tesi allo spasimo e strillavano di frustrazione. Non mi interessava che cosa Rita volesse gridarmi dietro o quali osservazioni intendesse fare sul mio carattere. Non mi avrebbero toccato più di tanto. Quello che mi irritava era perdere tempo ad ascoltarla quando avevo cose più importanti di cui occuparmi. In particolare, riflettere su che cosa avrei dovuto fare con il caro estinto Jaworski e invece non avevo fatto. Prima dell’imprevista interruzione, avevo vissuto esperienze nuove che richiedevano uno sforzo mentale per essere comprese. Dovevo capire quale impulso mi avesse mosso quella sera e che cosa avesse a che fare con quell’altro artista a piede libero, che mi sfidava con il suo lavoro.

Con tutti questi pensieri, a che mi serviva Rita?

Ma non potevo non andare. E, se non altro, mi sarebbe tornato utile nel caso mi servisse un alibi per l’avventura con Jaworski. «Ma come, detective, come può pensare che io… Proprio in quel momento stavo litigando con la mia fidanzata. Ex fidanzata, per essere precisi.» Perché non avevo alcun dubbio che Rita volesse solo… qual era l’espressione che si usava ultimamente? Dare libero sfogo. Ecco, Rita voleva che andassi da lei per dare libero sfogo a se stessa. Avevo alcuni rilevanti difetti caratteriali che doveva sottolineare con un opportuno slancio emotivo di contorno e la mia presenza si rendeva necessaria.

Mi concessi un minuto in più per fare pulizia. Tornai indietro verso il Grove e parcheggiai vicino all’acqua, sul lato più lontano del ponte. Sotto di me scorreva un bel canale profondo. Recuperai tra gli alberi un paio di grosse pietre e le infilai nella mia borsa, già riempita con la plastica, i guanti e il coltello, quindi gettai il tutto al centro del canale.

Mi fermai di nuovo più avanti, in un piccolo parco non lontano dalla casa di Rita e mi lavai con cura. Dovevo essere pulito e presentabile: farsi gridare dietro da una donna infuriata poteva essere considerata un’occasione semiformale.

Ma immaginate la mia sorpresa quando suonai il campanello pochi minuti più tardi. Rita venne ad aprire, ma non cominciò subito a lanciarmi contro insulti e soprammobili. Tutt’altro: aprì la porta lentamente, quasi nascondendocisi dietro, come se avesse paura di quello che avrebbe trovato dall’altra parte. E, considerando che dall’altra parte c’ero io, era una rara manifestazione di buon senso.

«Dexter?» mormorò, timida, quasi non fosse sicura di volere che rispondessi sì o no. «Non pensavo che saresti venuto.»

«E invece eccomi qui», dissi, cercando di venirle incontro.

Rimase zitta più del necessario. Poi aprì un po’ di più la porta e disse: «Vuoi… entrare? Per favore».

E se quel tono insolitamente incerto era di per sé una sorpresa, immaginate quanto più stupefacente potesse essere il suo abbigliamento. Credo che si chiami peignoir , o forse negligé , dal momento che il fabbricante era stato piuttosto negligente sulla quantità di tessuto utilizzata. Qualunque fosse il nome, lei ce l’aveva indosso. E, per quanto bizzarra potesse sembrarmi quell’idea, credo che quell’abbigliamento fosse destinato a me.

«Per favore…» ripeté.

Era un po’ troppo. Insomma, sul serio, che cosa ci facevo lì? Stavo rimuginando sull’insoddisfacente esperimento su Jaworski e ancora mi giungevano all’orecchio le sommesse proteste dal sedile posteriore. Inoltre, un rapido esame della situazione mi diceva che mi trovavo tra l’incudine della cara Deb e il martello dell’Artista oscuro. E adesso ci si aspettava da me qualche sorta di reazione umana, tipo… tipo cosa? Di sicuro Rita non voleva… Cioè, non ce l’aveva a morte con me? Che cosa stava succedendo? E perché stava succedendo a me?

«I bambini sono dalla vicina», disse Rita, urtando la porta con l’anca.

Entrai.

Potrei descrivere quello che accadde in seguito in molti modi, ma nessuno di questi sarebbe adeguato. Lei andò al divano. Io la seguii. Lei si sedette. Pure io. Lei pareva a disagio e si stringeva le mani. Forse aspettava qualcosa, ma dal momento che non sapevo immaginare di che si trattasse, tornai a pensare al mio lavoro incompiuto con Jaworski. Se solo avessi avuto più tempo! Le cose che avrei potuto fare!

E mentre seguivo queste riflessioni, mi accorsi che Rita si era messa a piangere sommessamente. La guardai per un attimo, cercando di allontanare l’immagine del bidello spellato e dissanguato. Con tutta la mia buona volontà, non riuscivo a capire che cosa avesse da piangere. Ma, poiché per tanto tempo mi ero esercitato nell’imitazione degli esseri umani, sapevo che ci si aspettava che la consolassi. Mi chinai su di lei, le passai un braccio sulle spalle e le dissi: «Rita, su, su». Non era proprio una battuta degna di me, ma molti esperti la consideravano efficace. E funzionò. Rita mi appoggiò la testa sul petto. La strinsi a me e vidi la mia mano sulla sua spalla. Meno di un’ora prima, la stessa mano brandiva un coltello da filetto sopra il corpo del bidello. Quel pensiero mi faceva girare la testa.

E, sul serio, non so come accadde, ma accadde. Un momento prima le stavo dando amichevoli pacche sulla spalla dicendo «Su, su», fissando il dorso della mia mano e rivivendo l’energia e la lucidità del momento in cui il coltello esplorava l’addome di Jaworski. E il momento dopo…

Credo che Rita abbia alzato gli occhi verso di me. Sono anche ragionevolmente certo di avere ricambiato il suo sguardo. Eppure non era lei che vedevo, ma un mucchio ordinato di membra fredde ed esangui. E non erano le sue dita che sentivo sulla fibbia della cintura, ma il canto lamentoso del Passeggero Oscuro. E qualche minuto dopo…

Be’, mi sembra ancora difficile da credere. Voglio dire, lì, sul divano.

Come diavolo è potuto succedere?

Quando tornai al mio letto, mi sentivo a pezzi. Normalmente non ho bisogno di molte ore di sonno, ma in quel momento ero convinto che avrei potuto dormire per tre giorni filati. Le esperienze nuove e contrastanti di quella serata mi avevano sfiancato. Mai quanto Jaworski, naturalmente, quell’essere spregevole. Ma nel corso di una sola, impetuosa serata avevo consumato adrenalina sufficiente per un mese. Non potevo nemmeno cominciare a pensare a cosa significasse tutto quanto, dallo strano impulso a correre avventatamente nella notte fino alle cose impensabili accadute con Rita. L’avevo lasciata addormentata e, apparentemente, più felice. Ma il derelitto, dubbioso, deragliato Dexter non capiva più niente e, appena la testa ricadde sul cuscino, si addormentò di colpo.

E rieccomi sopra la città, leggero come un uccello, sospeso nell’aria fredda, che mi porta dove la luna piove sull’acqua. Rieccomi nella gelida camera della morte, dove il bidello mi guarda e sghignazza, contorcendo la faccia nello sforzo. E adesso non è più Jaworski, ma una donna. E l’uomo con il coltello alza gli occhi verso di me, che fluttuo sopra le viscere rossastre e in quel momento sento che Harry è fuori dalla porta e mi volto poco prima di vedere chi c’è sul tavolo, sennonché…

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