Si vedeva la luna sopra il mare. Per qualche ragione inspiegabile, sembrava tutto giusto, tutto necessario , tanto che per un istante rimasi a guardare i riflessi sull’acqua. Era così perfetta. Persi l’equilibrio e urtai il bordo del mio tavolo di fortuna. Ma la luna… o era l’acqua? Ero vicino, così vicino che potevo sentirne l’odore… ma cos’era? Provai un brivido, e anche quello era giusto, così giusto da scatenare tutta una serie di brividi che mi fece battere i denti. Ma perché? Che cosa voleva dire? C’era qualcosa, qualcosa di importante, una purezza superiore, una chiarezza sospesa sopra la luna, sopra il mare, appena oltre la punta del mio coltello da filetto, e io non riuscivo ad afferrarla.
Guardai di nuovo Jaworski. Mi stava facendo arrabbiare, così disteso, coperto di tagli improvvisati e sangue sparso inutilmente. Ma non riuscivo a restare arrabbiato a lungo, con lo splendore della luna della Florida che pulsava su di me, con la brezza tropicale, la musica notturna del nastro adesivo e del respiro accelerato dal panico. Mi veniva quasi da ridere. Certe persone scelgono di morire nei modi più insoliti, ma questo orrido insetto moriva per un cavo elettrico. E il suo sguardo era così umiliato, confuso, disperato. L’avrei trovato buffo, se non mi fossi sentito così frustrato. E in fondo Jaworski meritava uno sforzo maggiore da parte mia. In fondo non era colpa sua se non ero in forma come al solito. Non era nemmeno abbastanza ignobile da occupare il primo posto nella mia lista di cose da fare. Era solo un essere ripugnante che ammazzava ragazzine per piacere e per denaro, solo quattro o cinque per quanto ne sapevo. Quasi mi spiaceva per lui. Non era pronto per la Serie A.
Oh, be’. Di nuovo all’opera. Tornai al suo fianco. Jaworski aveva smesso di agitarsi, ma era ancora troppo vivace per le mie abitudini. Certo, non disponevo di tutta la mia attrezzatura professionale, questa sera, e non doveva essere facile per lui. Ma, da bravo soldatino, non si era lamentato. Cominciavo ad affezionarmici e rallentai il ritmo, lavorando con più cura. Lui reagì con vivo entusiasmo e io mi lasciai nuovamente trasportare dalla mia ricerca.
Furono le sue grida mute e i suoi vani tentativi di divincolarsi a riportarmi alla realtà. Mi ricordai che non avevo neppure verificato che fosse colpevole. Aspettai che si calmasse, poi gli tolsi il bavaglio.
«Le ragazze?»
«Oh, Gesù. Oh, Dio. Oh, Gesù», disse debolmente.
«Temo che li abbiamo persi per strada.»
«Ti prego. Ti prego…»
«Dimmi delle ragazze.»
«Okay», mormorò.
«Le hai prese tu.»
«…sì…»
«Quante?»
Respirò. Chiuse gli occhi ed ebbi paura di averlo perso troppo presto. Poi li riaprì e mi guardò. «Cinque», disse, finalmente. «Cinque belle ragazzine. Non me ne pento.»
«Certo che no», dicemmo noi. Gli appoggiai una mano su un braccio. Fu un bel momento. «Nemmeno io.»
Gli rimisi in bocca la plastica e tornai al lavoro. Ma avevo appena ripreso il ritmo quando sentii la guardia che arrivava di sotto.
Furono le scariche elettrostatiche della sua radio a tradirlo. Quando le sentii, ero impegnato in qualcosa che non avevo mai tentato prima. Stavo lavorando al busto di Jaworski a punta di coltello e cominciavo a sentire un piacevole solletico alla schiena e nelle gambe. Non avrei voluto interrompermi. Ma una radio era ben peggio di una semplice guardia in arrivo. Se avesse chiamato rinforzi o avesse fatto bloccare la strada, avrei avuto qualche piccola difficoltà a spiegare che cosa stessi facendo.
Abbassai lo sguardo su Jaworski. Avevo quasi finito, ormai, eppure non ero soddisfatto di com’erano andate le cose. Avevo fatto troppa confusione e non ero riuscito a trovare quello che cercavo. Per qualche istante ero stato a un passo da una stupefacente rivelazione, che aveva che fare con… cosa? Forse il rumore dell’acqua fuori dalla finestra? Ma, qualunque cosa fosse, mi era sfuggita. Ora mi ritrovavo con uno stupratore di minorenni incompleto, sporco, disordinato e insoddisfacente. E con una guardia di sicurezza che stava per unirsi alla compagnia.
Detesto saltare alle conclusioni. Era un momento importante e un autentico sollievo per entrambi, il Passeggero e io. Ma che scelta avevo? Per un lungo momento, troppo lungo, me ne vergogno, pensai di uccidere la guardia e andare avanti. Sarebbe stato facile e avrei potuto continuare a esplorare indisturbato.
Ma no, certo che no. Non avrebbe funzionato. La guardia era innocente, per quanto possa esserlo chiunque viva a Miami. Ma il peggio che poteva avere fatto era avere sparato qualche volta agli altri automobilisti lungo la Palmetto Expressway. Praticamente candido come la neve. No, si imponeva una precipitosa ritirata. E se dovevo lasciare Jaworski incompleto e me stesso insoddisfatto… Be’, sarei stato più fortunato un’altra volta.
Guardai il piccolo, repellente insetto e mi sentii riempire di disgusto. Gocciolava muco e sangue, il liquido ripugnante gli gorgogliava sulla faccia, un rivolo rossastro gli colava dalla bocca. In uno scatto di irritazione gli tagliai la gola, rammaricandomi subito del mio gesto impulsivo. Un fiotto di sangue gli fuoriuscì dal collo, rendendo lo spettacolo ancora più sgradevole. Un errore disastroso. Sentendomi sporco e deluso, corsi verso le scale, seguito dai commenti petulanti borbottati dal mio Passeggero Oscuro. Al piano di sotto, mi avvicinai all’intelaiatura di una finestra. Sotto di me vidi parcheggiato il veicolo della guardia, puntato in direzione di Old Cutler Road. Il che voleva dire, speravo, che era arrivato dalla direzione opposta e quindi non aveva ancora visto la mia auto. La guardia era in piedi accanto al suo veicolo, un giovanotto grasso dalla carnagione olivastra, con capelli e baffetti neri. Stava guardando verso un’altra parte dell’edificio.
Mi aveva sentito? Stava seguendo il suo consueto percorso? Non potevo fare altro che sperarlo. Se aveva subodorato qualcosa e stava aspettando rinforzi, avevo ottime probabilità di essere catturato. E anche con tutta la mia furbizia e la mia parlantina dubitavo che sarei riuscito a cavarmela.
La giovane guardia si portò il pollice ai baffetti e se li pizzicò, come per incoraggiarne la crescita. Aggrottò la fronte e guardò dalla mia parte. Mi nascosi. Quando tornai a sbirciare, un attimo dopo, intravidi solo la sua testa. Stava entrando.
Quando sentii i suoi passi ai piedi delle scale, scavalcai il davanzale di cemento grezzo e mi spenzolai nel vuoto, un piano sopra il livello stradale. Poi mi lasciai cadere. Atterrai malamente, stortandomi una caviglia su un sasso e spellandomi una nocca. Quindi, zoppicando più veloce che potevo, sparii nell’ombra e corsi verso la mia auto.
Il cuore mi martellava quando finalmente mi misi al volante. Mi guardai indietro, senza vedere segni della guardia. Avviai il motore e, a luci spente, mi allontanai più veloce e silenzioso che potevo lungo la Old Cutler Road. Tagliai verso South Miami, poi presi la Dixie Highway, diretto a casa. Sentivo ancora le pulsazioni riecheggiarmi nelle orecchie. Avevo corso un rischio inutile. Non avevo mai agito in modo così impulsivo, non mi ero mai mosso senza avere pianificato tutto in anticipo. Erano le Regole di Harry: stare attento, andare sul sicuro, essere preparato. Gli Scout delle Tenebre.
E invece, questo. Potevo farmi prendere. Potevo essere visto. Stupido, stupido! Se non avessi sentito arrivare la guardia, avrei dovuto ammazzarla. Uccidere un uomo innocente: ero certo che Harry avrebbe disapprovato. Spiacevole e antiestetico, oltretutto.
Naturalmente non ero ancora al sicuro: la guardia poteva avere scorto la mia auto, avere annotato il mio numero di targa. Avevo corso rischi terribili e insensati, avevo disobbedito alle mie regole più ferree, avevo messo in gioco tutta la mia vita. E per cosa? Per il brivido dell’omicidio? Dovevo provare vergogna. E nel profondo della mia mente venne l’eco: Oh, sì, vergogna. E una risata familiare.
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