Un luna allegra, paffuta e chiacchierona. Oh, quante cose aveva da dire. E per quanto cercassi di spiegarle che non era il momento, che era troppo presto, che c’erano altre cose da fare, cose importanti, la luna sapeva come contraddirmi, punto per punto. Rimasi a discutere per un quarto d’ora, ma senza costrutto.
La disperazione cresceva. La combattei con ogni mezzo e quando tutto fallì, feci una cosa che mi scosse nel profondo. Chiamai Rita.
«Oh, Dexter», mi rispose. «Temevo che… Grazie della chiamata. È solo che…»
«Lo so», la interruppi, anche se non lo sapevo affatto.
«Non potremmo… Non so che cosa tu… Possiamo vederci e… Vorrei proprio parlarti.»
«Ma certo.»
Ci accordammo per vederci a casa sua. Mi chiedevo che cosa avesse in mente. Violenza? Lacrime di recriminazione? Insulti a squarciagola? Ero su un territorio sconosciuto, non sapevo cosa mi aspettasse.
Dopo che ebbi riagganciato il ricevitore, quei pensieri riuscirono a distrarmi per una mezz’ora buona, prima che la vocina interiore mi tornasse nel cervello con la sua quieta insistenza: stanotte doveva essere speciale.
Mi sentii trascinare alla finestra. Era ancora lì, la faccia allegra nel cielo, la luna che rideva. Tirai la tenda e feci il giro del mio appartamento, toccando gli oggetti, ripetendo a me stesso che stavo verificando che non mancasse nulla, anche se sapevo che c’era tutto e sapevo anche perché. A ogni giro mi avvicinavo sempre di più alla piccola scrivania in salotto, su cui tenevo il computer. Sapevo a cosa andavo incontro e non volevo farlo. Finché, dopo tre quarti d’ora, il Bisogno si fece insostenibile. La testa mi girava così tanto che non riuscivo a stare in piedi. Pensai di sedermi, e già che c’ero accesi il computer. E già che l’avevo acceso…
Ma non ci siamo , pensai. Non sono pronto.
E naturalmente non aveva importanza. Che io fossi pronto o no, non faceva differenza.
Lui lo era.
Ne ero quasi certo, ma solo quasi. E non ero mai stato quasi certo prima d’allora. Mi sentivo indebolito, intossicato, avvelenato da una combinazione di eccitazione, incertezza e avventatezza. Ma in quel momento era il Passeggero Oscuro a comandare, dal sedile posteriore. E come mi sentissi io non contava poi tanto, perché Lui si sentiva forte, sicuro, affamato e pronto. Lo sentivo mentre mi invadeva, sollevandosi dagli oscuri recessi del cervello da lucertola di Dexter. Un processo che poteva portare a un’unica conclusione. Dunque, date le circostanze, dovevo accontentarmi di ciò che avevo.
L’avevo scovato parecchi mesi prima, ma dopo averlo osservato per un po’ avevo deciso che con il prete andavo sul sicuro e che questo poteva aspettare fino a quando avessi raggiunto la certezza. Quanto mi sbagliavo. Ora scoprivo che non potevo aspettare un istante di più.
Viveva in una casetta modesta, in una stradina di Coconut Grove. Qualche isolato più in là c’era un quartiere popolato da neri a basso reddito, qualche ristorantino all’aperto e un paio di chiese fatiscenti. A meno di un chilometro, nella direzione opposta, i milionari erigevano barriere di corallo intorno alle loro grandi case moderne, per tenere lontana la gente come lui. Ma proprio nel mezzo Jamie Jaworski coabitava con mezzo milione di scarafaggi e con il cane più brutto che avessi mai visto.
Nonostante questo, era una casa che non si sarebbe potuto permettere. Jaworski faceva il bidello part-time alla Ponce de Leon Junior High School e, per quanto ne sapevo, quella era la sua sola entrata. Ci lavorava tre giorni alla settimana, il che poteva garantirgli quanto bastava appena per vivere. Naturalmente non era alle sue finanze che ero interessato, quanto piuttosto all’aumento significativo delle allieve della Ponce de Leon che risultavano scappate di casa, a partire dal momento in cui Jaworski aveva cominciato a prestarvi servizio. Tutte ragazzine bionde, tra i dodici e i tredici anni.
Bionde. Questo era importante. Per qualche ragione, era il tipo di dettaglio che alla polizia sembra sfuggire, ma che salta all’occhio a uno come me. Forse non sembrava politicamente corretto: anche le ragazze dai capelli neri e dalla pelle scura dovrebbero avere pari opportunità di essere rapite, violentate e fatte a pezzi davanti a una videocamera, non vi pare?
Troppo spesso risultava che Jaworski era stato l’ultimo a vedere le ragazze scomparse. La polizia gli aveva parlato, lo aveva trattenuto, lo aveva interrogato, ma non era riuscita ad attribuirgli nulla. Certo, avevano qualche lieve restrizione: ultimamente la tortura non era vista di buon occhio. E, senza un’efficace persuasione, Jamie Jaworski non avrebbe mai parlato del suo hobby. Sapevo che non lo avrebbe fatto.
Ma sapevo anche quale fosse il suo hobby. Aiutava quelle ragazze a scappare, offrendo loro una carriera rapida e definitiva nel mondo del cinema. Ne ero quasi sicuro. Non avevo trovato pezzi di cadavere, non lo avevo visto in azione, ma tutto corrispondeva. E su Internet ero riuscito a localizzare le foto di tre delle ragazze scomparse, in pose molto creative. Non sembravano molto felici, anche se alcune delle pratiche cui si dedicavano avrebbero dovuto procurare loro gioia, o almeno così mi si diceva.
Non potevo collegare con sicurezza Jaworski alle fotografie, ma l’indirizzo era a South Miami, a pochi minuti dalla scuola, e senza dubbio lui viveva al di sopra dei propri mezzi. Senza contare che il Passeggero Oscuro mi stava ripetendo che non avevo tempo, che questo era un caso in cui l’assoluta certezza non era importante.
Ma era quel brutto cane a preoccuparmi. I cani erano sempre un problema. Non mi hanno in simpatia e solitamente disapprovano quello che faccio ai loro padroni, anche perché non condivido con loro i pezzi migliori. Dovevo trovare il modo di aggirare il cane. Se Jaworski non usciva, dovevo essere io a entrare.
Passai tre volte in macchina davanti a casa sua, ma non mi venne nessuna idea. Mi serviva un colpo di fortuna, prima che il Passeggero Oscuro mi inducesse ad agire troppo in fretta. E proprio mentre il mio Caro Amico cominciava a sussurrarmi consigli imprudenti, la fortuna si mise dalla mia. Jaworski uscì di casa e salì sul suo malconcio pick-up Toyota rosso. Rallentai quanto possibile, mentre il suo veicolo si avviava verso Douglas Road. Svoltai e lo seguii.
Non avevo idea di come fare, non mi ero preparato. Non avevo una stanza sicura e un camice pulito. Avevo solo un rotolo di nastro adesivo e un coltello da filetto sotto il sedile. Dovevo passare perfettamente inosservato, ma non sapevo come. Detestavo l’improvvisazione, eppure stavolta non avevo scelta.
Ebbi di nuovo fortuna. Il traffico era scarso e Jaworski si dirigeva a sud, sulla Old Cutler Road. Dopo un chilometro e mezzo o giù di lì svoltò a sinistra, dalla parte del mare. Stava sorgendo una nuova zona residenziale, che avrebbe migliorato le nostre vite rimpiazzando alberi e animali con cemento e vecchietti del New Jersey. Jaworski andava piano tra le case in costruzione. Oltrepassò un campo da golf già pronto con le bandierine, mancava solo il prato, e si fermò quasi sulla riva. Lo scheletro di una grande schiera di condomini, non ancora finiti, si stagliava contro la luna. Spensi i fari e mi avvicinai a passo d’uomo, per vedere che cosa stesse combinando.
Jaworski parcheggiò davanti ai futuri condomini, vicino a un mucchio di sabbia, e scese dal veicolo. Si guardò intorno per un istante, mentre io mi fermavo sul ciglio della strada e spegnevo il motore. Jaworski si voltò verso i condomini, poi verso la strada che proseguiva verso il mare. Parve soddisfatto ed entrò nell’edificio. Ero quasi certo che stesse controllando che non ci fossero guardie. Io stavo facendo lo stesso. Mi augurai che avesse fatto bene i compiti. Molto spesso, in questi casi, c’è una guardia che fa il giro da un cantiere all’altro, a bordo di un veicolo da golf. È un modo di risparmiare. E, dopotutto, questa è Miami: una certa percentuale del budget, in ogni progetto, corrisponde alla quantità di materiali che abitualmente sparisce dai cantieri. Jaworski aveva tutta l’aria di voler aiutare l’impresa a raggiungere la sua quota.
Читать дальше