Gli altri due, senza fretta, si sfilarono le mutande, strusciandosi sulla ragazza a ritmo con i battiti di mani degli amici.
Togliendosi gli indumenti, si unì al coro degli stonati, iniziando ad accarezzare il corpo della malcapitata, dai cui occhi inumiditi iniziarono a scendere sottili lacrime salate.
Di fuori, la luna della notte costaricana si perse definitivamente, oscurata del tutto dalle nuvole.
L’orgia durò meno di dieci minuti ma, per lui, tanto bastò; l’eccitazione sfrenata, amplificata dall’effetto della marijuana, lo portò in brevissimo tempo a un orgasmo selvaggio e ansimante, che raggiunse mordendo le lenzuola sgualcite del letto a baldacchino e stringendo in estasi un lembo del cuscino.
Poi si rialzò, si sistemò i capelli, raccattò i vestiti dai piedi del letto, e fece un ultimo tiro di canna prima di uscire dalla stanza.
Stonato com’era, e con la vista offuscata, il salone del primo piano della villa gli sembrò girare su se stesso; ciò nonostante intravide nella penombra, nei pressi della grande scalinata, un ragazzo che sorreggeva la testa di un’amica, il cui corpo appariva abbandonato senza forze sulla moquette.
Si volse immediatamente dall’altra parte, per evitare impicci, sperando di non essere notato.
Ma il ragazzo, che appariva nervoso, gli chiese un aiuto, e i loro sguardi si incrociarono per un attimo fugace, impercettibile ma concreto, prima che lui, senza degnarlo di una risposta, scendesse le scale, diretto con andatura risoluta verso l’uscita della proprietà e passandosi di tanto in tanto le dita fra i capelli ancora sudati.
Si rese conto di aver dimenticato nella camera da letto il cappellino da baseball, che gli avrebbe fatto comodo per coprirsi maggiormente il volto, ma decise di non recuperarlo per evitare di intercettare nuovamente quel tipo e la sua bella addormentata, forse svenuta.
Attraversò il parco di fretta, con lo sguardo basso, facendo il possibile per evitare di incrociare gli sguardi della gente, arrivando al parcheggio con il cuore che batteva a ritmo superiore al solito, carico di adrenalina per l’esperienza di poco prima.
Numerosi taxi attendevano i reduci della festa; lui si infilò nel primo disponibile e, una volta entrato nell’abitacolo, si annusò le mani, impregnate di sesso della ragazza misto a marijuana, e finalmente si rilassò, sforzandosi di vergare nella propria memoria la memorabile orgia.
«Calle del Tesoro, grazie» disse con voce roca all’autista, rimanendo così, con gli occhi chiusi e le dita vicine alle narici, per qualche minuto, seduto sul sedile posteriore e cullato dagli echi della musica della festa, ormai lontano sottofondo di una serata unica, lasciandosi portare verso il suo destino.
Era atteso a un appuntamento che, a breve, gli avrebbe cambiato la vita, ma non lo poteva sapere.
***
Dal momento del black out, al piano terra la confusione aveva regnato sovrana.
Nelly si sgolava per chiedere ai partecipanti di restare tranquilli, assicurando che entro breve il guasto sarebbe stato sistemato.
Gli invitati, sull’onda dell’euforia della festa, non avevano perso l’occasione per intonare canti e balli, schiamazzando felici e incuranti dell’inconveniente.
Ronald ne aveva approfittato per divincolarsi dall’abbraccio verbalmente tentacolare di una sua ammiratrice che da quasi mezz’ora lo stava annoiando, impedendogli di cercare Carmen.
Si era fiondato nel giardino e aveva iniziato a chiamarla, tentando con scarso successo di sovrastare il volume dei cori dei festaioli ubriachi.
Aveva cercato di amplificare la propria voce aiutandosi con le mani, appoggiate a mo’ di megafono ai lati della bocca, ma i risultati non erano migliorati; aveva quindi provato a rintracciarla sul cellulare, dimenticandosi che era stato smarrito proprio quel pomeriggio.
Nel frattempo aveva iniziato a piovere, con grande soddisfazione dei reduci del ballo, sudati e stropicciati, fumati e bevuti, che approfittarono dell’acquazzone per una doccia rinfrescante a cielo aperto, improvvisando girotondi e canti da osteria, senza smettere di bere.
Era rientrato in casa e, attraversando il salone da ballo ormai semivuoto, si era diretto verso la scalinata di marmo bianco, che aveva salito di corsa, saltando i gradini a due a due, facendo attenzione a non inciampare per il buio.
Era arrivato nel grande salone con il tappeto blu scorgendo, appoggiata allo stipite di una porta, Carmen.
Le ginocchia sembravano non riuscire a reggere il suo peso; stringeva in mano una bottiglia vuota di vodka e, a occhi chiusi, cantava a squarciagola una canzone inglese che non era riuscito a decifrare.
Non si era accorta dell’arrivo dell’amico, che si era affrettato a prenderle con forza il capo fra le mani, chiamandola con foga.
«Carmen, Carmen! Sei ubriaca fradicia! Ti porto subito via, forza, non puoi restare qui in queste condizioni!».
Aveva parlato accavallando le parole, quasi balbettando, con una voce stridula: sotto stress, l’aplomb di Ronald, che tanto piaceva a Carmen, svaniva miseramente.
La ragazza si era immobilizzata per qualche secondo, cedendo poi tutt’a un tratto e abbandonandosi fra le braccia dell’amico, che la stese sul tappeto, incosciente.
Finalmente tornò la corrente e la musica, inaspettata ed esplosiva, riprese a pompare, contornata dalle grida ubriache dei ragazzi al piano terra.
Ronald lasciò per un attimo Carmen e corse da basso per recuperare un po’ d’acqua; entrando nel salone da ballo, ebbe l’impressione che i muri tremassero, la terra sobbalzasse, la sua testa fosse trafitta da una gelida lama di spada, ma trovò comunque la forza per attraversare la baraonda di ragazzi che avevano ripreso a ballare e raggiunse il barman, cui chiese una bottiglietta d’acqua fresca.
Risalì di corsa da Carmen, che permaneva stesa sul tappeto nell’angolo del salone, e vide in quel momento uscire da una stanza un uomo alto, riccio, con l’aria disordinata e l’aspetto trafelato.
Sembrava avesse davvero fretta, quell’uomo, ma era l’unico a cui Ronald potesse rivolgersi, in quel momento di necessità.
Gli chiese nervosamente un aiuto, incrociando il suo sguardo sfuggente, ma non ricevette alcuna risposta dal tipo, che scese di corsa le scale, dileguandosi nella ressa del piano terra.
«Stronzo!» gli gridò Ronald, pur con la voce coperta dal volume della musica, prima di rifocalizzare la propria attenzione su Carmen, versandole poco a poco l’acqua fresca sul viso e forzandola di tanto in tanto a berne qualche sorso.
La ragazza si svegliò tossendo, appoggiandosi con fatica sulle spalle dell’amico per riuscire drizzare la schiena, e cercando aria a pieni polmoni.
«Carmen, svegliati, ti prego!».
Le mani di Ronald tremavano per lo stato di tensione nel quale era entrato e la sua voce sembrava rimbombare sotto l’alto soffitto del salone, nonostante da sotto arrivassero gli echi della musica sparata dal dee-jay.
Carmen sbatté gli occhi in stato di semi-incoscienza, prima di inarcare d’un tratto la schiena e vomitare sul tappeto persiano.
Ronald fece un salto all’indietro per non sporcarsi, trattenendo a sua volta un conato e sforzandosi al contempo di non lasciarle la testa, che sembrava potersi staccare da un momento all’altro, tanto era privo di forze il corpo della ragazza.
«Portami a casa, Ronald. Per favore» fu la supplica di Carmen, masticata fra i denti, la fronte imperlata di sudore, i capelli zuppi e spettinati.
«Certo, Carmen. Ti porto subito».
Sollevò di peso l’amica, tenendola in braccio e sorreggendole la nuca, poi scese lentamente le scale, sentendo aumentare a ogni gradino il volume della musica proveniente da basso.
Attraversò il più rapidamente possibile il salone da ballo al piano terra e proseguì con fermezza per il sentiero nel parco, giungendo al parcheggio stanco e ansimante.
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