Federico Montuschi - Due. Dispari

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Costarica, primavera 2015, molti temporali. Musica rock di sottofondo. 
Uno strano suicidio di un parroco di provincia.
Non convinti dalla frettolosa indagine delle autorità locali, l'ispettore Castillo, ex commissario di polizia che balbetta nei giorni piovosi, e lo Slavo, suo giovane aiutante dal passato oscuro, investigano sul caso.
Le tracce raccolte si intrecciano con le disavventure universitarie della figlia prediletta dell’ispettore, con la violenza subita da una ragazza nel corso di una strana festa e con la comparsa di un enigmatico agente italiano legato ai servizi segreti.
Il tutto senza un apparente punto di convergenza.
Solo uno sgangherato viaggio permetterà di riordinare i pezzi della vicenda, dimostrando a più riprese che da analoghi punti di partenza si possono scatenare percorsi di vita diversi, convergenti o divergenti, univoci o binari. 
E anche il Due, in queste situazioni, può diventare Dispari.
Costarica, primavera 2015, molti temporali. Musica rock di sottofondo. 
Uno strano suicidio di un parroco di provincia.
Non convinti dalla frettolosa indagine delle autorità locali, l'ispettore Castillo, ex commissario di polizia che balbetta nei giorni piovosi, e lo Slavo, suo giovane aiutante dal passato oscuro, investigano sul caso.
Le tracce raccolte si intrecciano con le disavventure universitarie della figlia prediletta dell’ispettore, con la violenza subita da una ragazza nel corso di una strana festa e con la comparsa di un enigmatico agente italiano legato ai servizi segreti.
Il tutto senza un apparente punto di convergenza.
Solo uno sgangherato viaggio permetterà di riordinare i pezzi della vicenda, dimostrando a più riprese che da analoghi punti di partenza si possono scatenare percorsi di vita diversi, convergenti o divergenti, univoci o binari. 
E anche il Due, in queste situazioni, può diventare Dispari.

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Federico Montuschi

Due. Dispari

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Milano, due anni prima

And the big wheel keep on turning,

Neon burning, up above.

(Dire Straits)

Dal Corriere della Sera, mercoledì 3 Aprile 2013. Pagina di cronaca nera.

Milano si è risvegliata ieri mattina con un duplice omicidio, nella zona di piazzale Loreto.

Una giovane donna, Malika Rubessa, che stava attendendo l’autobus per recarsi al lavoro, è stata colpita a morte poco prima delle sette di mattina da un proiettile sparato da un appartamento poco distante, nel quale la polizia ha rinvenuto il cadavere di Paolo Ficini, trentenne collega della donna uccisa.

Dalle prime indagini risulterebbe che Ficini abbia sparato alla collega, prima di essere a sua volta colpito da uno sparo esploso a bruciapelo da un ignoto, dileguatosi dopo l’omicidio.

Sulla porta d’ingresso non risultano segni di effrazione, ma nell’appartamento, dal quale è stata sottratta una cassaforte, gli inquirenti avrebbero trovato chiare evidenze di una violenta colluttazione. Il caso risulta complesso, ma la polizia sta valutando tutte le piste per rintracciare l’assassino […]

13 Dicembre 2013

trovando il Diesis fra il MI e il FA.

L’aereo decollò da Milano nel primo pomeriggio.

Duke, con il suo posto di prima classe, biglietto di sola andata, si godeva il volo intercontinentale con la gentilezza di plastica delle hostess, sorseggiando un Daiquiri e ammirando, da dietro i suoi Ray-Ban comprati in aeroporto, la luce del sole sopra le nuvole.

Ripensò per un solo attimo al viaggio in Croazia di qualche mese prima.

Quel week end, nato in modo quasi casuale, gli aveva cambiato la vita. Un nuovo passaporto, una nuova identità, un portafogli pieno. Anche le cure intensive della clinica privata milanese avevano già avuto l’effetto sperato e le zone d’ombra nella sua memoria sembravano davvero dissolte.

Un sorriso gli comparve sul volto disteso e, girandosi verso la hostess bionda, chiese un altro Daiquiri.

Costarica, Primavera 2015

Head full of dreams unclear

Make the days seem twice as long.

(Ben Harper)

La primavera del 2015 fu, per il villaggio di Burgos e per tutto il Costarica, particolarmente fredda.

Alle canoniche piogge torrenziali che dal mese di Aprile accompagnano i pomeriggi dei ticos costaricani, quell’anno si era affiancato un abbassamento inaspettato delle temperature, che aveva portato alla maggior parte degli abitanti del villaggio le tipiche malattie della stagione fredda.

L’ispettore Castillo non aveva fatto eccezione.

Aveva da poco superato i cinquant’anni e, a memoria, l’ultima volta che aveva avuto la febbre alta frequentava la quarta elementare.

Al tempo era un bimbo esile, con presunti problemi di crescita (pesava poco più di venti chili e non superava il metro e venticinque di altezza); ora era un uomo massiccio (nessuno si poteva permettere di dargli del grasso!), si avvicinava al metro e ottanta e pesava quasi un quintale.

Due baffoni neri gli si stagliavano sul viso olivastro, dando risalto agli zigomi alti e ben pronunciati; la signora Conchita non smetteva di ricordargli che, da giovane, assomigliava a Clark Gable e che avrebbe fatto meglio a intraprendere la carriera cinematografica piuttosto di quella investigativa, visti i risultati ottenuti.

In quelle circostanze, Castillo lasciava parlare la moglie, alzando impercettibilmente il sopracciglio sinistro, e si ficcava in bocca il sigaro tagliato che teneva sempre in tasca.

Non lo fumava da ormai dieci anni - tanto era il tempo passato dall’infarto – ma succhiarlo di tanto in tanto gli stimolava la concentrazione e soprattutto, in condizioni di stress, gli dava sollievo, riappacificandolo momentaneamente col mondo.

Da dieci giorni non riusciva ad alzarsi dal letto, la febbre che non scendeva sotto i trentanove gradi gli impediva di reggersi sulle gambe - già di per sé non particolarmente forti, considerato che da tempo non praticava alcun tipo di sport - e la tosse ancora secca non poteva che peggiorare nei giorni successivi.

Tutto sommato, essendo un uomo molto pragmatico e tendenzialmente ottimista, Castillo riusciva ad apprezzare i lati positivi che la situazione presentava: in quei giorni di malattia, la signora Conchita, per esempio, gli serviva colazione, pranzo e cena a letto e addirittura lo assecondava quando lui la chiamava per cambiare i canali del vecchio televisore Saba, costruito quando ancora i telecomandi non esistevano e sopravvissuto chissà come per più di trent’anni agli inevitabili acciacchi di un’ormai veneranda età, oltre che ai maltrattamenti di Castillo nei suoi rari momenti d’ira domestica.

In più, terminata la colazione, le figlie Mar e Carmen - ventidue e vent’anni di età - gli portavano il quotidiano nazionale e quello locale, appena sfornati dall’edicola in fondo alla strada, e per due ore Castillo si godeva la lettura integrale dei giornali, un privilegio che, da sano, neanche la domenica riusciva a garantirsi.

Un paio di volte al giorno chiamava in ufficio, per verificare se fosse tutto a posto.

Rispondeva immancabilmente lo Slavo - e chi sennò? - il suo unico dipendente, potendo definire dipendente qualcuno che, senza avere paga fissa, risponde al telefono, sbriga le commissioni burocratiche dell’ufficio, pulisce le scrivanie una volta a settimana e fa anche da autista nelle uscite di lavoro in giro per il paese.

Per fortuna, almeno dal punto di vista della salute, quel ragazzo sembrava indistruttibile.

In quei giorni di malattia, in assenza di eventi o d’informazioni di particolare rilevanza (non che in quel paesino ci fosse mai troppo lavoro per un ispettore privato, a dire il vero) quelle telefonate fra Castillo e lo Slavo si risolvevano inesorabilmente in un rispettoso scambio di convenevoli, con auguri finali di pronta guarigione da parte dello Slavo nei confronti del suo capo.

Quella mattina non fece eccezione.

«Pronto, ciao, sono io, Castillo».

«Ah, buongiorno, ispettore, tutto bene?».

«Decisamente no, Slavo, ho ancora la febbre e la tosse non passa. Quando ero ragazzo con un freddo come questo andavo in giro a torso nudo! Ora mi è bastato camminare dieci minuti con un alito di vento fresco per ammalarmi…».

«Mi dispiace, signor Castillo».

«Tutto bene in ufficio? Sono arrivate le bollette di Marzo? Devo controllare se mi hanno tolto il canone del modem».

«Sì, sì, sono arrivate, gliele ho lasciate nel primo cassetto».

«Aprile subito e controlla se mi fanno pagare ancora il modem».

«Aspetti un attimo che le vado a prendere».

Lo Slavo lasciò la cornetta sul tavolo - l’ufficio dell’ispettore non era dotato di cordless, troppo costoso per l’utilizzo che ne faceva - e a passo svelto raggiunse la scrivania di Castillo, aprì il primo cassetto, estrasse la bolletta e tornò al telefono. «Eccomi. Allora, aspetti un attimo che verifico».

«Dai, che fra un po’ devo fare il sonnellino del mattino, sennò come faccio a guarire?».

A Castillo parve di vedere il mezzo sorriso che comparve sulle labbra dello Slavo.

«Mmm… direi di sì, ci stanno ancora addebitando il canone del modem. Seicento novanta colon, capo».

«Ma come? Non avevi disdetto il contratto il mese scorso? Già siamo in un bel periodo di vacche magre, se poi spendiamo per cose che non ci servono dove finiremo? Maledetti quelli di Telefonica!».

«Sì, sì, capo, avevo disdetto, avevo disdetto, stia calmo. Più tardi sento io Telefonica, vedrà che sistemo tutto. E poi, capo, il fatto che nel 2015 Internet non ci serva secondo me è tutto da dimostrare…».

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