Thora si morse la lingua per evitare commenti, gli sorrise gelida e spalancò a forza l’entrata dell’istituto. Qui domandò a un’inserviente che spingeva un carrello di acciaio dove sì trovasse il medico con cui avevano l’appuntamento. Dopo essersi assicurata che il medico li stesse aspettando, la donna li fece accomodare in una stanza in fondo al corridoio, pregandoli di pazientare un momento perché il patologo avrebbe fatto presto ritorno da una riunione mattutina.
Thora e Matthew si accomodarono su due sedie malmesse, appoggiate alla parete del corridoio di fronte allo stanzino.
«Non avevo affatto intenzione di offenderti. Scusami», disse Matthew senza guardare in faccia Thora.
Lei non aveva alcuna voglia di mettersi a discutere del proprio look, perciò non gli rispose. Si tolse la sciarpa dai capelli con la massima dignità possibile, si sbottonò il piumino e allungò una mano verso la pila di riviste sgualcite che giacevano sul tavolino in mezzo alle due sedie.
«Sono quasi reperti archeologici», borbottò Thora cercando qualcosa tra quell’ammasso di vecchie edizioni.
«Penso che chi viene qui non lo faccia per trovare qualcosa da leggere», replicò Matthew, che sedeva con la schiena diritta, guardando nel vuoto.
Thora smise di rovistare. Si era innervosita. «No, probabilmente no», ammise guardando spazientita il suo orologio. «Dove diavolo è questo dottore?»
«Prima o poi arriverà», fu la secca risposta di Matthew. «Anche se a dire il vero ho dei ripensamenti riguardo a questo incontro.»
«Che vuoi dire?» chiese Thora esasperata.
«Voglio dire che non sarà un bello spettacolo per i tuoi nervi tesi», rispose Matthew girandosi verso di lei. «Non hai nessuna esperienza di queste cose e non sono affatto sicuro che ti troverai a tuo agio. Non pensi che sarebbe meglio se ti riferissi io le risposte del medico sull’autopsia?»
Thora lo fulminò con lo sguardo. «Ho messo al mondo due figli con le relative doglie, la perdita di sangue, la placenta, i tappi di muco e tutto il resto. Sopravviverò anche a questo.» Poi incrociò le braccia e domandò a bruciapelo: «E tu, quanto hai sofferto tu?»
Matthew non sembrava impressionato dalla sfuriata di Thora. «Molto e profondamente. Ma almeno io te ne risparmio il racconto. A differenza di te, non ho alcun bisogno di cadere nell’autocommiserazione!»
Thora stralunò gli occhi. E dire che lo aveva considerato cortese! Meglio mettersi a leggere il giornalino dei Testimoni di Geova che continuare a discutere con una persona così sgarbata. Era arrivata a metà nella lettura di un articolo sulla cattiva influenza della televisione sulla gioventù, quando vide un signore vestito in camice bianco avanzare trafelato lungo il corridoio in direzione dello stanzino. Era una persona sulla sessantina, con barba appena grigia e una bella abbronzatura. I suoi occhi erano circondati da pallide rughe di espressione, che facevano pensare a una bella e divertente vacanza al sole. Il medico si fermò davanti a loro e Thora e Matthew si alzarono in piedi.
«Buongiorno», disse l’uomo porgendo la mano. «Thrainn Hafsteinsson.»
Thora e Matthew si presentarono a loro volta.
«Prego, accomodatevi», disse il medico in inglese, in modo che anche Matthew capisse, e aprì la porta del suo ufficio. «Scusatemi per il ritardo», aggiunse subito in islandese, rivolto questa volta solamente a Thora.
«Non si preoccupi», rispose lei amabilmente. «C’è una tale abbondanza di riviste interessanti in sala d’attesa, che avrei voluto attendere ancora un po’.»
Il medico la fissò meravigliato. «Sì, ha ragione.» I tre entrarono nell’ufficio, quasi del tutto privo di spazi vuoti. Le pareti erano per lo più tappezzate di scaffali con libri e riviste di medicina di ogni genere e grandezza, inframmezzati da schedari. Il medico avanzò verso una scrivania di legno massiccio, dove ogni cosa era in perfetto ordine, e si sedette, invitandoli ad accomodarsi su due sedie di fronte a lui. «Allora», disse posando i gomiti sul bordo della scrivania, come per sottolineare l’inizio formale del loro incontro. «Suppongo che la nostra intervista si debba svolgere in inglese, dico bene?»
Thora e Matthew annuirono all’unisono.
Il medico proseguì: «Non sarà un problema, dato che ho fatto i miei studi di perfezionamento in America. Il tedesco invece non lo parlo dal giorno dell’esame orale alla maturità, e per questo ve lo risparmio».
«Come le ho detto al telefono, l’inglese va bene», lo rassicurò Matthew e Thora tentò di trattenere un sorriso per il suo forte accento tedesco.
«Ottimo», decretò il medico prendendo un fascicolo giallo in cima a un mucchio di fogli sulla scrivania. Lo appoggiò sul tavolo e fece per aprirlo. «Veramente dovrei cominciare scusandomi per il ritardo con cui avete ottenuto il permesso di vedere la perizia autoptica nella sua interezza!» disse con un sorriso imbarazzato. «Le trafile burocratiche che accompagnano casi di questo genere sono spesso insormontabili, anche perché non è per niente chiaro in che modo bisogna agire in circostanze, come dire… inusitate come la presente.»
«Inusitate?» disse Thora con tono dubbioso.
«Eh sì», rispose il medico. «Inusitate nel senso che i congiunti della vittima agiscono tramite un rappresentante, e per di più sono cittadini stranieri. C’è stato un momento in cui credevo che ci volesse la firma del deceduto per far passare il permesso tra le maglie del sistema burocratico…» rispose sorridendo ancora.
Thora ricambiò cortesemente il sorriso, ma si accorse che il volto di Matthew era rimasto di pietra.
Il medico abbassò lo sguardo e continuò: «Comunque non è solamente la burocrazia a rendere questo caso così particolare; mi sembra giusto farvelo sapere prima di iniziare a discutere la faccenda. Sì è trattata di una delle autopsie più strane e incredibili che abbia effettuato in vita mia, e potete credermi che di cose bizzarre ne ho viste ai tempi dei miei studi americani!»
Thora e Matthew attesero in silenzio il proseguo del racconto. Thora era chiaramente molto più emozionata del compagno, che in quel frangente avrebbe potuto benissimo essere scambiato per una statua.
Il medico si schiarì la gola e aprì il fascicolo. «Allora non ci resta altro che dare avvio alla lettura, partendo dalle solite informazioni generali.»
«Cominci pure», grugnì Matthew, mentre Thora non seppe nascondere un gesto di disappunto perché avrebbe preferito sentire subito i dettagli più bizzarri.
«Allora, la causa del decesso è stata asfissia da strangolamento», annunciò il medico tamburellando sulla copertina gialla della cartella. «Quando abbiamo finito vi consegnerò una copia della perizia autoptica, dove potrete procurarvi ulteriori informazioni sulle nostre conclusioni nei minimi particolari, se vi interessa. Ciò che conta ora è la causa specifica della morte, cioè in che modo la vittima è stata strangolata; ebbene, noi riteniamo assai probabile che l’atto finale sia stato compiuto tramite una cintura di finta pelle o una striscia di tessuto. L’autore del delitto deve aver fatto ricorso a tutte le sue forze nello stringere, viste le contusioni lasciate sul collo di Harald. Non è da escludere che la pressione sulle vie respiratorie sia durata più a lungo di quanto bastasse per ucciderlo, per un qualche motivo a noi ancora sconosciuto; forse un eccesso di furia incontenibile.»
«Come fate a saperlo?» chiese Thora.
Il medico scartabellò il fascicolo e ne estrasse due fotografie. Dopo averle posate sulla scrivania davanti a sé, le girò in direzione di Thora e Matthew. Erano particolari del collo di Harald. «Vedete come in alcuni punti la pelle abbia ceduto alla stretta della cintura e in altri no, mentre l’epidermide ha subito dei tagli profondi. Questo significa che la superficie della cintura era qua e là ruvida. Notate inoltre la forma irregolare di ciò che io sto chiamando cintura ma potrebbe essere qualsiasi altra cosa.» Il medico si interruppe e indicò la prima foto. «Un altro aspetto che ci sorprende è il fatto che, qui sotto il collo, ci siano i segni di ferite superficiali meno recenti; non si tratta di lesioni gravi, ma comunque alquanto interessanti…» Guardandoli negli occhi, il medico chiese: «Ne sapete qualcosa voi?»
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