Matthew la guardò e sorrise. Ci prendeva certamente gusto a vederla in difficoltà, soprattutto dopo le ripicche di quella mattina. La cosa le faceva saltare i nervi, tanto che decise di mostrargli di che pasta fosse fatta. «Lei ci ha riferito, all’inizio della nostra conversazione, che l’autopsia era stata strana, peculiare, ora non ricordo come l’ha definita esattamente…»
Il medico si sporse in avanti e il suo volto si illuminò. Evidentemente non desiderava altro che scendere in quei particolari. «Non so quanto intimi fossero i vostri rapporti con Harald Guntlieb; forse saprete già cos’aveva combinato.» Diede una veloce scorsa al dossier ed estrasse delle nuove fotografie. «Cioè questo», disse posando sul tavolo, davanti a Thora e Matthew, le foto in questione.
Lei in un primo momento non riuscì a raccapezzarsi su quanto stava vedendo, ma una volta compreso non poté far altro che emettere un suono di disgusto. «Che schifo! Ma che diavolo ha fatto?» si fece sfuggire.
«Domanda alquanto appropriata», rispose il medico. «Harald Guntlieb ha praticato quella che in gergo viene definita ‘metamorfosi’ o body modification , una nuova moda nata all’estero. In un primo momento pensavamo che la condizione della sua lingua rientrasse fra le sevizie subite dal cadavere, ma quando ci siamo accorti che la ferita si era già cicatrizzata da parecchio, abbiamo tratto la conclusione che l’operazione fosse stata praticata molto prima. Un trattamento masochistico assai più sconcertante del piercing nella lingua, questo ci tengo a dirlo.»
Thora guardò quelle fotografie orripilanti. Attanagliata da un attacco di nausea, si alzò dalla sedia. «Scusate», disse a denti stretti e si precipitò verso l’uscita. Dal corridoio sentì che Matthew stava dicendo al medico, con un tono di falsa meraviglia: «Strano, proprio lei che ha partorito due bambini».
Nella sede del Centro Interculturale di Reykjavik c’erano poche persone. Thora aveva scelto la caffetteria dell’associazione perché l’atmosfera che la permeava era più tranquilla e rilassata di quella di altri locali della capitale, e vi si poteva parlare senza dover gridare. Lei e Matthew avrebbero così potuto discutere del caso senza rischiare che i clienti seduti agli altri tavoli li sentissero. Si erano accomodati in un angolo appartato del locale, a un tavolo ricoperto da un bellissimo mosaico di vetro su cui avevano posato la cartella gialla contenente il referto dell’autopsia, che era stata finalmente consegnata a Matthew.
«Ti sentirai meglio dopo una bella tazzina di caffè», disse Matthew impacciato, guardando in direzione della porta dalla quale la cameriera era appena uscita con la loro ordinazione.
«Sto benissimo, grazie», rispose secca Thora. Invece la sensazione di nausea che l’aveva pervasa dentro lo studio del medico legale non le era ancora passata. Era andata di corsa alla toilette del corridoio e aveva cercato di rinfrancarsi lavandosi il viso con l’acqua fredda, ma non era servito a molto. Era sempre stata una persona delicata di stomaco e le era venuto in mente, in quell’occasione, le volte in cui il suo ex marito lasciava aperti in giro per casa i suoi libri di medicina durante gli studi universitari. Ma le foto di quei volumi non si avvicinavano nemmeno lontanamente a quelle che Thora aveva dovuto consultare quella mattina. Forse però la impressionavano di meno perché erano immagini di persone a lei completamente sconosciute, e perciò in un certo senso più astratte. «Non so proprio che cosa mi sia preso. Spero di non aver offeso il dottore», disse con tono un po’ più addolcito.
«Non erano certo delle belle foto», ammise Matthew per incoraggiarla. «Tanti altri avrebbero reagito proprio come te. Non devi affatto preoccuparti per il tuo comportamento dal patologo. Gli ho detto, mentre eri al bagno, che eri appena guarita da un’infezione intestinale e che per questo non eri affatto nelle migliori condizioni per guardare immagini del genere.»
Thora annuì. «Ma che accidenti significavano quelle ultime foto? Che diavolo era, Matthew?»
«Quando sei andata via, abbiamo analizzato ogni immagine», disse Matthew. «Sembra che Harald si fosse sottoposto a tutta una serie di deformazioni corporee. A detta del medico legale, alcune risalivano a diversi anni addietro, mentre le più recenti sono di qualche mese fa.»
«Ma perché lo ha fatto?» chiese Thora, che non poteva immaginarsi come una persona, giovane per di più, potesse scegliere di farsi deformare così.
«Lo sa solo Dio il perché», rispose Matthew. «Harald non è mai stato una persona come tutte le altre. Dal giorno in cui entrai in contatto con la sua famiglia l’ho sempre visto immischiato con gruppi estremisti: ecologisti d’assalto, no global militanti… Quando finalmente scelse di studiare Storia all’università pensai che avesse ritrovato il suo equilibrio interiore.» Matthew diede un colpetto alla copertina gialla. «Per quale motivo abbia scelto di fare una cosa del genere, non riesco proprio a capirlo.»
Thora non disse niente mentre continuava a ripensare alle foto e alla sofferenza che Harald aveva dovuto subire. «Ma che cosa si era fatto fare, esattamente?» chiese, affrettandosi ad aggiungere: «Cercherò di resistere, questa volta!»
Nello stesso istante entrò la cameriera con il caffè e le ordinazioni. La ringraziarono e aspettarono che si allontanasse, poi Matthew riprese la parola. «Si tratta di una lunga serie di operazioni chirurgiche e interventi di ogni tipo. La cosa che mi ha colpito di più è stata la forma della sua lingua. Ti sei sicuramente resa conto che una delle foto raffigurava la cavità orale di Harald, no?» Thora annuì e lui continuò: «Se l’era fatta tagliare in due per il lungo. Probabilmente per farla assomigliare alla lingua di un serpente, il che, confesso, gli è riuscito perfettamente».
«Come si fa a parlare normalmente con una lingua del genere?» domandò Thora.
«A quanto afferma il medico, non è improbabile che la sua pronuncia fosse peggiorata dopo un simile trattamento, ma non possiamo dirlo con certezza. Comunque, ci ha tenuto a precisare che quell’operazione non è certo diffusa, ma Harald non era affatto un precursore in materia.»
«Però non se l’è certamente fatta da solo una lingua così. Chi esegue questo genere di operazioni?» chiese Thora stupita.
«Il patologo pensa che si tratti di un intervento recente, non essendosi ancora rimarginata del tutto la cicatrice. Comunque non aveva la benché minima idea di chi potesse essere stato, anche se era convinto che chiunque avesse disposto di farmaci anestetici, pinze e bisturi, avrebbe potuto eseguire una tale operazione a occhi chiusi. E non solo medici, ma anche infermieri di sala operatoria o dentisti cioè chiunque sia in grado di prescrivere antibiotici e antidolorifici, o per lo meno garantirne l’accesso.»
«Che roba da matti!» esclamò Thora. «E tutto il resto? Le sfere, la freccetta, i segni, i corni e Dio solo sa cos’altro ancora… Che cos’erano?»
«Secondo quanto dice il medico, Harald si era fatto inserire tutta quella serie di oggettini sotto l’epidermide per farne risaltare il profilo a fior di pelle, come quei cornetti che gli affioravano dalle spalle. È una pratica che viene chiamata implantation , e sta prendendo piede tra i cultori del piercing estremo. Il patologo afferma di aver rimosso trentadue piccoli oggetti, tra cui anche le sfere di vetro che, come avrai visto nella foto, erano cucite nei genitali.» Matthew diresse il suo sguardo imbarazzato a Thora, che beveva rumorosamente il suo caffè. Lei gli sorrise di rimando per rassicurarlo a sua volta di non essersi affatto scandalizzata. Allora Matthew proseguì: «Inoltre c’erano degli altri simboli, che si collegano tutti alla magia nera e al satanismo. Harald era un vero ‘appassionato’: gli rimanevano ormai pochi spazi sul corpo privi di tatuaggi o ornamenti di qualsiasi tipo». Matthew fece una breve pausa per mangiare una tartina, poi proseguì. «Anzi, sicuramente i tatuaggi tradizionali non gli bastavano per niente, poiché quelli che gli hanno trovato addosso erano delle grandi cicatrici.»
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