Yrsa Sigurðardóttir - Il cerchio del male

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Università d’Islanda. In un mattino di fine ottobre, il silenzio del dipartimento di Storia viene lacerato da un grido. Aprendo la porta di uno stanzino, il direttore si vede crollare addosso un cadavere senza occhi e con una runa magica incisa sul petto. Il corpo è quello di Harald Guntlieb, enigmatico dottorando tedesco con la passione per il cupo periodo della caccia alle streghe. Ma chi era veramente Harald? Per la polizia, che chiude frettolosamente il caso con l’arresto di un piccolo spacciatore, era solo uno stravagante ragazzo ricco in vena di emozioni forti, dalle perversioni sessuali alle modificazioni corporee estreme. Per Matthew Reich, inviato in Islanda dalla famiglia Guntlieb per riaprire le indagini, era uno dei massimi esperti europei di magia nera, grazie a un’inestimabile quanto agghiacciante collezione ereditata dal nonno. Per Thora Gudmundsdottir, l’avvocatessa incaricata di assistere l’affascinante Matthew, era solo un figlio non amato, incamminatosi fra le tenebre per inseguire un miraggio. Non resta dunque che ripercorrere i passi del giovane in un folle labirinto sulle tracce di un libro maledetto, fra antichi sortilegi e moderne rivalità accademiche, per svelare un mistero sempre più tetro, complesso e intrigante…

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«L’irrigidimento post mortem è, come il nome indica chiaramente, l’irrigidirsi di un cadavere dopo l’avvenuto decesso. Si tratta di una situazione patologica causata dai mutamenti biochimici delle proteine contenute nel sistema muscolare in seguito all’abbassamento del grado di acidità delle cellule che fa seguito alla morte. Niente ossigeno, niente glucosio, e il valore pH delle cellule scende. Quando poi la quantità di nucleotidi ATP si abbassa di conseguenza, fino a un livello critico, ha inizio la cosiddetta fase di irrigidimento vera e propria, nella quale l’ATP protegge il corpo dalla fusione di acttina e miosina.»

Thora stava per chiedere ulteriori delucidazioni sugli intriganti concetti di acttina e miosina, quando Matthew le strinse in una morsa il ginocchio, costringendola a emettere un: «Sì, capisco», che era naturalmente un’assurdità. Guardando Matthew con la coda dell’occhio, Thora vide la statua di sale sorridere per la prima volta quella mattina.

Il medico comunque proseguì imperterrito: «L’irrigidimento ha inizio nei muscoli maggiormente utilizzati in vita, trasferendosi di seguito agli altri. Al suo punto culminante, il corpo è ormai diventato completamente rigido, nella posizione in cui si trovava al principio del processo vero e proprio. Tale stato non dura a lungo: in circostanze normali, l’irrigidimento raggiunge l’apice circa dodici ore dopo la morte e comincia poi a decrescere nel giro di trentasei-quarantotto ore dal decesso. Invece nel caso di Harald, la cui causa mortis è stato il soffocamento, tale processo è cominciato un po’ più tardi». Il medico si rimise a scartabellare nel fascicolo, ne estrasse una fotografia e la mostrò ai due. «Come vedete, il cadavere era completamente rigido al momento del suo ritrovamento.»

Matthew fu il primo ad allungarsi per osservare la foto ingrandita. La guardò senza tradire reazione alcuna e la passò a Thora, commentando solo: «Una brutta immagine».

Brutta non era una parola sufficientemente forte per esprimere la visione che si dispiegò davanti agli occhi di Thora. La foto mostrava il corpo di un giovane, lo stesso delle vecchie foto nell’«album di famiglia» già esaminato, disteso sul pavimento, nella stessa posa bizzarra che aveva già intravisto dalle fotografie della polizia investigativa. Ma quelle erano talmente sgranate e mal fotocopiate che si sarebbero potute mostrare alla tivù dei bambini, se paragonate a quelle che ora si presentavano al suo sguardo.

Un braccio della vittima era dritto verso l’alto dal gomito in su, come se stesse indicando qualcosa sul soffitto, eppure non c’era niente che lo sostenesse in quella posizione o su cui poggiasse. Ciò nonostante, dalla foto non poteva sfuggire a nessuno che Harald Guntlieb era morto per davvero: il suo volto era rigonfio e ammaccato, di un colore ripugnante che non era certo colpa di una stampa scadente. Ciò che tuttavia le faceva più ribrezzo erano gli occhi o. per meglio dire, le orbite oculari. Thora si affrettò a riconsegnare la foto a Matthew.

«Come vedete, il corpo ha poggiato su qualcosa, probabilmente una parete, e l’avambraccio si è fissato in questa posizione. Senza dubbio saprete già che l’omicidio non è stato perpetrato nel corridoio. Il corpo di Harald è crollato sopra il povero professore nel momento in cui questo ha aperto la porta dello stanzino quel lunedì mattina. A giudicare dalla sua deposizione, forse il cadavere era stato collocato là dentro in modo che fosse appoggiato alla porta. Come risulta evidente dalle foto, la porta dello stanzino si apre verso l’esterno.»

Matthew diede un’occhiata alla fotografia e annuì in silenzio. Thora si accontentò della sua approvazione, non avendo alcuna intenzione di rimettersi a guardare quell’immagine agghiacciante. «Ma ancora lei non ci ha detto a che ora è probabile che Harald sia stato ucciso», insisté Matthew restituendo la foto al medico.

«Sì, scusatemi di nuovo», rispose il medico riprendendo a sfogliare le cartelle. Trovato il documento che cercava, si stiracchiò soddisfatto. «Considerando il contenuto dello stomaco e la presenza di amfetamine nel sangue, l’ora del decesso è stata calcolata tra la 1.00 e la 1.30.» Alzato lo sguardo, il medico si mise a spiegare la cosa con più accuratezza. «L’orario dell’assunzione sia del cibo che della droga era già un dato di fatto. Verso le nove di quella sera sappiamo che Harald aveva mangiato una pizza, mentre per quanto riguarda l’amfetamina, l’avrebbe aspirata attraverso il naso poco prima di abbandonare il party, verso le undici e mezzo.» Detto questo, consegnò a Matthew un’altra foto. «Il processo di digestione di una pizza è uno dei dati sicuri in nostro possesso, registrato e catalogato.»

Matthew guardò la foto senza mostrare reazione di sorta, poi la passò a Thora e sorridendo per la seconda volta quella mattina, disse: «Ti andrebbe una bella pizza?»

Lei afferrò la foto, che mostrava il contenuto dello stomaco del povero Harald. Sarebbe dovuto passare del tempo prima che si facesse una bella pizza per cena! Cercò comunque di camuffare il disgusto e riconsegnò la foto a Matthew.

«Per quanto riguarda invece l’amfetamina, le conclusioni ci sono arrivate dal laboratorio farmaceutico. Assieme alla cartella dell’autopsia troverete la fotocopia del loro rapporto. A dire il vero, è stata rinvenuta anche una pillola di ecstasy nello stomaco, digerita per metà, ma non conoscendo l’ora della sua assunzione non l’abbiamo potuta inserire tra i fattori utilizzati per determinare il momento preciso del decesso.»

«Ottimo», disse Matthew seccamente.

Il medico riprese il filo del discorso. «È anche giusto ricordare che l’autopsia ha messo in luce il fatto che il corpo è stato effettivamente spostato dopo la morte, qualche ora dopo. Lo possiamo vedere da quella sorta di ematoma che di solito si forma nei punti inferiori del corpo non appena la circolazione si blocca e il sangue si raccoglie in basso per la forza di gravità. Così ci siamo accorti che c’erano due serie di necroematomi: più lievi nella schiena, nelle natiche e nei polpacci, più evidenti nelle piante dei piedi, nelle dita delle mani e nel mento. Questo indica che il corpo è rimasto per breve tempo sdraiato sulla schiena e poi è stato alzato in piedi. Inoltre, le scarpe portano ancora i segni di un trascinamento, effettuato tenendo stretto il corpo sotto le ascelle. Il perché di tale azione ci è del tutto ignoto. La spiegazione più plausibile, a mio parere, è che l’omicida abbia ucciso Harald a casa sua, senza potersi liberare subito del cadavere. Magari era troppo ubriaco per farlo. Ma per quale motivo lo abbia poi trasferito fino all’università rimane un mistero. Non si tratta certo del primo posto che possa venire in mente a qualcuno in una situazione così critica.»

«E gli occhi?» domandò Matthew.

Il medico si schiarì la gola. «Gli occhi. Ecco un altro mistero di cui non riesco a trovare una spiegazione. Come certamente saprete, dato che è stato rivelato alla sua famiglia, gli occhi sono stati rimossi dal corpo di Harald dopo la sua morte, il che costituirà un certo sollievo per i parenti, non so se mi spiego. Ma il perché di una tale barbarie non posso certamente comprenderlo.»

«Come si fa, domando io, a staccare gli occhi dalla testa?» chiese Thora, pentendosi quasi subito di aver posto un tale quesito.

«Senza dubbio in molte maniere differenti», rispose immediatamente il medico. «Nel nostro caso, sembra che l’assassino abbia adoperato un oggetto metallico liscio. Tutti gli indizi, anzi la mancanza totale di segni sul volto, non fanno che avvalorare questa ipotesi.» Il medico si mise a scartabellare tra le fotografie in suo possesso.

Thora si affrettò a fermarlo. «Le crediamo sulla parola, non si disturbi.»

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