Yrsa Sigurðardóttir - Il cerchio del male

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Università d’Islanda. In un mattino di fine ottobre, il silenzio del dipartimento di Storia viene lacerato da un grido. Aprendo la porta di uno stanzino, il direttore si vede crollare addosso un cadavere senza occhi e con una runa magica incisa sul petto. Il corpo è quello di Harald Guntlieb, enigmatico dottorando tedesco con la passione per il cupo periodo della caccia alle streghe. Ma chi era veramente Harald? Per la polizia, che chiude frettolosamente il caso con l’arresto di un piccolo spacciatore, era solo uno stravagante ragazzo ricco in vena di emozioni forti, dalle perversioni sessuali alle modificazioni corporee estreme. Per Matthew Reich, inviato in Islanda dalla famiglia Guntlieb per riaprire le indagini, era uno dei massimi esperti europei di magia nera, grazie a un’inestimabile quanto agghiacciante collezione ereditata dal nonno. Per Thora Gudmundsdottir, l’avvocatessa incaricata di assistere l’affascinante Matthew, era solo un figlio non amato, incamminatosi fra le tenebre per inseguire un miraggio. Non resta dunque che ripercorrere i passi del giovane in un folle labirinto sulle tracce di un libro maledetto, fra antichi sortilegi e moderne rivalità accademiche, per svelare un mistero sempre più tetro, complesso e intrigante…

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La donna posò il testo sulla scrivania. Tutte cose indubbiamente interessanti, ma non si riusciva a capire come un volume di seicento anni prima potesse far luce sull’omicidio di Harald Guntlieb. Guardò l’orologio e si rese conto che le era rimasta solamente un’ora di tempo. Pinzò insieme le pagine, le mise da parte e riprese la cartella con il dossier su Harald: la sesta sezione comprendeva il riassunto dell’indagine di polizia.

A prima vista, quel compendio non poteva certo essere esaustivo dell’intera investigazione, data la sua esiguità. Probabilmente Matthew non era entrato in possesso che di una minima parte di esso, comunque le sembrava alquanto strano che fosse riuscito a ottenere qualcosa senza doverne chiedere il permesso scritto e timbrato. Da una rapida lettura dei verbali di interrogatorio, datati un paio di settimane prima, Thora si rese conto del perché fosse stata assunta per quell’incarico: tutti i testi erano in islandese. Sulle pagine c’erano numerosi appunti e scarabocchi, ed era evidente che Matthew aveva cercato di decifrare il contenuto degli interrogatori. Tra l’altro, nella maggior parte delle pagine compariva, in alto a destra, una breve spiegazione su chi fosse stato interrogato e su che tipo di relazione lo legasse ad Harald. Il grosso dei rapporti si riferiva agli interrogatori di Hugi Thorisson, che ancora si trovava in custodia cautelare in attesa di processo. A Thora parve strano che, fin dall’inizio, Hugi fosse stato interrogato come persona sospettata e non in veste di testimone informato sui fatti. Era chiaro che era emerso qualcosa che aveva immediatamente fatto ricadere i sospetti proprio su di lui.

A quel punto Thora capì come Matthew si fosse procurato quei rapporti investigativi: l’avvocato d’ufficio di un sospettato ha in effetti il diritto di accedere ai documenti in mano agli investigatori, e il legale di Hugi Thorisson li doveva aver consegnati a Matthew. Thora diede una rapida occhiata ai fogli, con la speranza di trovare il nome del difensore. Nei primi interrogatori Hugi non aveva avuto alcuna assistenza legale, come logicamente accade all’inizio di un’investigazione: i sospettati temono spesso che richiederne la presenza possa essere interpretato come un’implicita ammissione di colpevolezza. Ma poi, quando le cose cominciano a prendere una brutta piega e sorgono le prime contraddizioni o reticenze, si rendono conto della gravita della situazione. A quel punto Thora lesse finalmente il nome di Finnur Bogason, che per lei non era nuovo, essendo appunto uno di quei legali che si accollano le nomine d’ufficio quando nessuno li cerca di sua spontanea volontà. Un uomo che non avrebbe certo rifiutato dei soldi per passare a qualcuno la pratica. Felice di vedere confermate le sue intuizioni iniziali, Thora si mise a leggere gli interrogatori.

Le trascrizioni non erano classificate in ordine temporale ma a seconda di chi era stato interrogato. Fra i testimoni sentiti solamente una volta c’erano il custode dell’università, le donne delle pulizie, il proprietario dell’appartamento di Harald, il tassista che aveva trasportato lui e Hugi la sera del delitto e alcuni studenti e insegnanti del dipartimento. Il direttore del dipartimento di Storia, che aveva rinvenuto il cadavere, era stato invece interrogato due volte perché la prima si trovava in un tale stato confusionale da non poter profferire alcunché di attendibile. Thora ebbe compassione di quel pover’uomo; che esperienza terribile, che orrore doveva aver sperimentato quando gli era piombato addosso quel corpo senza vita, come si leggeva tra le righe del secondo interrogatorio.

A questi testimoni seguivano i sospettati. Tra di loro c’era naturalmente Hugi Thorisson, che però continuava a ripetere di essere completamente estraneo all’omicidio. Thora si affrettò a leggere la sua testimonianza. Hugi diceva di aver incontrato Harald, la sera in questione, in un party nelle vicinanze di Skerjafjörd, di essersi allontanato con lui, che l’aveva poi salutato; ognuno aveva quindi proseguito per la propria strada, lui in centro e Harald di nuovo al party. Nel primo interrogatorio Hugi non aveva voluto rivelare dove fossero andati insieme, ma solo che avevano fatto un giro in un qualche oscuro cimitero. Nel successivo invece, una volta resosi conto di essere sospettato dell’omicidio, aveva confessato che si erano recati nella sua casa di via Hringbraut, a prendere della droga che Harald voleva acquistare. A quel punto lo spacciatore aveva giurato che, dopo l’acquisto, Harald se n’era andato, mentre lui era rimasto a casa perche si sentiva stanco. Non aveva comunque potuto fornire agli investigatori nessun orario preciso della serata, intontito com’era dall’effetto dell’alcol e degli stupefacenti. Secondo lui Harald era tornato al party, non c’erano dubbi. Dall’insistenza degli investigatori nel chiedere a Hugi dove si fosse trovato la notte tra sabato 29 e domenica 30 ottobre intorno all’una, Thora dedusse che l’autopsia doveva aver stabilito l’ora probabile della morte. Gli investigatori avevano tempestato Hugi di domande sul motivo per cui aveva rimosso gli occhi di Harald dalle orbite e dove li avesse nascosti, ma lui negava disperatamente di averlo fatto e diceva che non aveva nessun occhio con sé se non i suoi personali. Thora non poté fare a meno di compatire quel povero diavolo, se stava dicendo la verità. E aveva il sospetto che così fosse. Benché avesse letto quel fascicolo in fretta, aveva infatti la sensazione che un ragazzo debole e insicuro, come lo spacciatore sembrava essere, non avrebbe mai potuto professare con tanta fermezza la propria innocenza e sopportare, al contempo, l’isolamento in carcere e i severi interrogatori.

Gli amici e i conoscenti di Harald ospiti del famoso party, che avevano deposto come testimoni, erano dieci in totale. Tra loro c’erano quattro dei cinque nomi della lista che compariva prima nel relativo fascicolo.

L’unico nome che mancava era quello dello studente di Medicina Halldor Kristinsson.

Tutti gli ospiti del party raccontavano la stessa storia. La festa era cominciata verso le nove e si era conclusa verso le due di notte, quando erano tornati tutti insieme in città. Harald era sparito verso mezzanotte in compagnia di Hugi, anche se nessuno sapeva spiegarne il perché. I due avevano detto di dover fare un salto da qualche parte ed erano andati via sul taxi prenotato da Hugi. Due ore dopo, non avendo più voglia di aspettarli, gli amici se n’erano andati a loro volta in centro. Alla domanda se non avessero cercato di chiamarli, avevano risposto pressoché all’unanimità: il telefonino di Harald si era scaricato durante la festa e Hugi non aveva risposto alle ripetute chiamate, sia sul cellulare, sia a casa. Stesso risultato con il telefono di Harald, quando qualcuno aveva tentato di raggiungerlo là. Altre domande riguardavano l’orario di ritorno a casa dalle baldorie notturne in centro, anche se, vista l’ora dell’omicidio, venivano rivolte più per correttezza di indagine che per altro. Le risposte indicavano che gli interrogati erano tornati a casa ognuno a un’ora differente, alcuni addirittura non prima delle cinque del mattino. Gli ultimi a rientrare erano stati gli amici della lista, dato che il quinto di essi, lo studente di Medicina, li aveva raggiunti in città in un secondo momento. Thora sfogliò le pagine successive nella speranza che anche lui fosse stato sottoposto a interrogatorio dato che, apparentemente, era l’unico del gruppetto a non essere presente al party all’ora dell’omicidio. Dove si trovava, allora? pensò Thora.

La risposta a quel quesito si trovava alla fine del fascicolo. In effetti, Halldor era stato interrogato ed era venuto alla luce che aveva dovuto lavorare all’Ospedale Universitario di Fossvogur fino a mezzanotte, come gli studenti di Medicina erano soliti fare durante gli studi. Per quello non aveva partecipato alla festa. I suoi turni di lavoro non erano molto frequenti, solo qualche volta al mese, a detta di Halldor, mentre ogni tanto si offriva di sostituire dei colleghi assenti per malattia o altri motivi. In quell’occasione si era portato con sé dei vestiti di ricambio e, dopo una bella doccia all’ospedale, si era recato in città in autobus. Lo studente affermava che la sua macchina fosse in riparazione presso un’officina, della quale diede il nome per eventuali accertamenti. Halldor diceva che, in un primo momento, aveva avuto l’intenzione di cambiare autobus e prendere la coincidenza per Skerjafjörd, dove si teneva la festa, ma che, avendo perso l’ultima coincidenza, alla fine era andato in centro ad aspettare la combriccola al solito bar, piuttosto che prendere il taxi o raggiungerli a piedi.

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